«La cucina macrobiotica zen».
È questo il libro, o meglio, il ritrovamento di questo libro, che ha scatenato l’inchiesta giudiziaria.
Che ci faceva in giro? Indagando, la magistratura ne ha trovati altri.
Sulle bancarelle, nelle cantine, nell’immondizia. Tutti libri del ‘900.
Tutti col timbro del fondo.
Originali. Preziosi. Rari.
Come un’edizione de «I miserabili», o i disegni di Frank Lloyd Wright.
Pensate che a Porta Portese è stata trovata una copia rara de «La figlia di Iorio» di Gabriele D’Annunzio. L’ambulante l’aveva venduta a venti euro.
Tutti libri che erano in mio possesso e che prima della mia morte avevo donato all’Accademia di San Luca. Migliaia di volumi: cataloghi di mostre, monografie d’arte, opere letterarie, collane, enciclopedie, dizionari, edizioni di pregio.
Tutto raccolto in centinaia di scatoloni.
C’era persino una limitata porzione della biblioteca personale di mio marito, Paolo Monelli.
Un valore economico enorme, un valore culturale incalcolabile.
Mai catalogato, mai inventariato, malgrado i ripetuti cospicui contributi pubblici, comunali e statali.
Che strazio.
Non mi meraviglia. Qualcuno pagherà, ma ormai migliaia di opere sono state rovinate dall’umidità e dai topi. Forse è il caso di parlarvi di me, di quello che sono riuscita a fare, degli ostacoli che ho dovuto superare.
Mi chiamo Palma Bucarelli, “la signora dell’arte italiana”.
Nata a Roma il 16 marzo 1910.
Papà Giuseppe quel giorno piantò una piccola palma nel giardino di casa, vicino Trastevere.
Mamma Ester era di una bellezza straordinaria. Amava la poesia, il teatro, le belle cose.
Da piccola mi iscrisse a un concorso di bellezza al Teatro Apollo
Lei era certa di una mia vittoria. C’erano 650 bambine. Vinsi, naturalmente.
Un’infanzia da girovaga la mia.
Seguivamo papà e il suo lavoro.
Come funzionario di prefettura trascorremmo un periodo persino in Libia.
Come mamma, amavo le cose belle.
Per questo mi laureai in Storia dell’Arte, all’Università La Sapienza, allieva del grande Pietro Toesca.
Per la tesi mi chiese di girare il mondo, ma io amavo le forme di Francesco de' Rossi, detto Il Salviati.
Naturalmente feci di testa mia.
E la mia tesi fu pubblicata.
Fu durante un corso di perfezionamento che conobbi Giulio Carlo Argan.
Non sarà solo un compagno di studi, ma un caro amico per tutta la vita.
Amavo disegnare e dipingere ad acquarello.
E poi l’incontro con Arduino Colasanti, nel 1932.
La prima relazione amorosa che mi è stata attribuita. Una delle tante. Non mi sono mai occupata di certe dicerie.
La sua morte però, nel 1935, lasciò in me un profondo senso di vuoto.
Partecipai a un concorso a Bologna per un posto di professore di storia d’arte moderna.
Senza successo.
Andò meglio nel 1933 a un concorso per un posto ministeriale.
Vincendolo, mi ritrovai ispettrice dei beni artistici per lo Stato alla Galleria Borghese. Il mio primo lavoro. Misi tutta la mia passione nel catalogare tutte quelle opere straordinarie.
Ero una donna testarda, volitiva, “azione e passione” era il mio motto.
Lui non mi piaceva per niente.
Per quello, con quell’obbligo assurdo d’indossare un segno distintivo del fascismo, non mi presentati ad un incontro col Duce. L'unica.
Diverso il rapporto con la Claretta, l’amante del Duce. Sono stata pure ospite a casa sua.
Anche se Bottai mi aiutò all’inizio della mia carriera, fascista non lo sono mai stata. Si diceva in giro che fossi la sua amante. Mai smentito.
Ma non avevano uno straccio di prova.
Non era vero, ma non mi interessava mettermi a discutere.
Tutti sapevano che il mio vero amore era l’arte antica, la mia vera passione invece quella contemporanea.
Il resto non mi interessava. Avevo altro per la testa. Anche se con quel regime ci dovevo convivere.
Feci una piccola parentesi a Napoli, a frequentare il salotto di Benedetto Croce.
Fu l’amico Paolo Monelli, che diventerà mio marito nel 1963, a intercedere presso Bottai, in quel momento ministro dell'educazione nazionale.
Era il 1937 quando venni richiamata nella capitale.
Assumendo, nel luglio del 1941, la direzione della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, prima direttrice donna di un museo pubblico in Italia.
Molti ritenevano fosse una pazzia affidare a una donna un incarico di tale portata. Che teneri.
La mia direzione è durata fino al 1975.
“Mostrando agli Americani che l’arte in Italia non si era fermata a Caravaggio”.
Superando tutti gli ostacoli.
Come quando nel gennaio 1944 caricai su un camion, con i vetri rotti. 672 dipinti e 63 sculture esposte alla Galleria per sottrarle alla Gestapo.
Nascondendole prima nei sotterranei di Palazzo Farnese a Caprarola, poi una volta scoperta, portando tutto a Castel Sant'Angelo.
Dopo la guerra capii che l’arte italiana aveva bisogno di aria nuova. Fu così che portai a Roma i Picasso, i Mondrian, i Klee, i Pollock, i Kandinsky.
Sinceramente non so se le critiche fossero dettate dalle mie scelte o dal fatto di essere una donna.
Fatto sta che me ne hanno dette di tutti i colori. Definita persino la “signorina delle croste” da Guttuso e pure da De Chirico.
Ogni mia scelta contestata.
Come nel caso dell’esposizione del Grande Sacco di Burri.
Arrivando persino in Parlamento.
Con il socialdemocratico Preti ad urlare che quelle opere erano «sacchi di spazzatura».
Sempre meglio della signora di Torino, via.
O quando presi la decisione di esporre le scatolette di “Merda d’artista “realizzate da Piero Manzoni.
Una provocazione, che tanta gente non capì.
L’artista era morto da qualche anno e mi pareva giusto esporre qualcosa di suo.
Denunciata, finii in tribunale. Senza conseguenze.
Per la cronaca ho saputo che nel 2016 uno di quei barattoli di latta, la numero 69 è stata venduta per 275.000 euro. Non avevo dubbi.
Che i politici capiscano poco di arte, intendo.
Ungaretti, diceva che ero “bella come una gatta siamese”. Non so.
So che affrontavo a viso aperto le polemiche come una leonessa.
Divertendomi un mondo tra l’altro.
“Ho sempre saputo che i miei nemici hanno torto. Ma ben vengano anche loro, fanno pubblicità”.
Palma Bucarelli è morta a Roma il 25 luglio 1998 all’età di 88 anni.
Una donna che in un mondo maschilista ha saputo assumersi ogni responsabilità.
Combattendo contro regolamenti assurdi e pressioni politiche.
Riuscendo, contro tutti, a creare la Gnam che aveva in mente.
Grazie a @mariabeatrice77 e a @FrankRosso86 per avermi chiesto di raccontare la storia di Palma Bucarelli, “la signora dell’arte italiana”.
Una storia di libertà e determinazione.
Con un fascino, da togliere il fiato.

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23 Nov
Non sei obbligato ad ascoltare la storia della mia vita Johannes. So che ti costa fatica e so quello che provi ogni volta che leggi queste storie.
Sai già che la mia è una di quelle che tocca nel profondo.
Se non vuoi ascoltarla ti basta un click.
E io me ne vado.
Vedo che sei ancora qui.
Quindi mi sento autorizzato a raccontare quello che è accaduto in quei giorni.
Di come tutto possa precipitare da un momento all’altro quando meno te lo aspetti.
La mia infanzia? Come quella di tanti altri.
Sono nato a Caposele, in provincia di Avellino al confine con quella di Salerno, il 29 gennaio 1927.
Una splendida terra la mia. E molto generosa.
Tanto da regalare la sua principale ricchezza ai pugliesi. Le sorgenti di Santa Maria della Sanità e del fiume Sele.
Read 25 tweets
22 Nov
“Le dittature, tanto di destra come di sinistra, non mi sono mai andate a genio. Purtroppo ci sono persone a cui piacciono i dittatori”.
Non mi tirai indietro quando fu indetto quel referendum. L’esito era incerto. Io molto conosciuto.
"Rey del metro cuadrado" mi chiamavano.
Era il 1988 e il mio Paese, il Cile, da anni era un paese triste, che non sorrideva più.
Molti sparivano nel nulla. La tortura all’ordine del giorno. Una continua violazione dei diritti umani.
Per quello intervenni in quel referendum, schierandomi pubblicamente per il NO.
La Costituzione entrata in vigore nel 1981 stabiliva che fosse effettuato un referendum al termine del primo mandato presidenziale.
Votare "SI" significava confermare Pinochet, il "No" avrebbe portato a nuove elezioni.
Come potevo tirarmi indietro?
Non lo avevo mai fatto.
Read 17 tweets
20 Nov
Caro Johannes, ho letto che anche da voi ci sono i campi di concentramento.
Ho visto gente sfilare per strada vestita con quelle pettorine a righe che indossavamo noi in quell’inferno.
Avevano in mano anche del filo spinato. Mi dispiace.
Soprattutto per quelle donne.
Sai. Ricordo ancora quando hai “voluto” leggere le nostre storie.
Non ti bastava sapere a grandi linee cosa erano stati quei campi di concentramento per noi donne.
Hai voluto conoscere anche i minimi particolari. Vomitare, fu per te una liberazione. I tuoi lettori sono avvisati
Noi donne non fummo trattate peggio degli uomini come ha scritto qualcuno. Fummo trattate diversamente, quello sì, in quanto donne.
Dalla rasatura delle parti intime a quelle luride baracche. O “gabbie per conigli” come le chiamavamo. Con quelle coperte ricoperte di escrementi.
Read 12 tweets
18 Nov
“Männer zur linken! Frauen nach rechts!”, uomini a sinistra! Donne a destra! E perché mai?
Nevicava quella domenica di gennaio quando il treno merci ci aveva scaricato dopo un viaggio di 36 ore.
659 ebrei olandesi.
Esattamente 240 uomini e bambini e 419 donne e bambine.
Partiti dal campo di transito olandese di Westerbork stipati all’inverosimile.
Un sollievo una volta arrivati, con la possibilità di sgranchirmi le gambe finalmente. E tante domande. Dove sono arrivato? E’ un posto che non ho mai sentito. Lo chiamano Auschwitz.
E poi.
Cosa ci fa quel mucchio di valigie abbandonate nella neve? Dove sono i proprietari?
Sicuramente verranno a riprendersele.
Ho 40 anni, e indosso un soprabito. Sono sporco.
E stanco, dopo tutte quelle ore in quel treno gelido senza cibo, acqua e servizi igienici.
Read 18 tweets
12 Nov
C’è chi descrive la realtà nella sua interezza.
E poi c’è chi fa solo propaganda, che è una descrizione parziale e spesso falsa della stessa realtà.
La propaganda mira a influenzare le opinioni e il comportamento altrui, a vantaggio di qualcuno, per determinati obiettivi.
Quante tecniche esistono per creare falsi messaggi, per fare della propaganda credibile?
A decine.
Si va dalla "conventio ad tacendum", dove si scelgono le notizie da dare e quelle da nascondere, al “ricorso alla paura” per creare qualche ipotetico nemico.
Del “ricorso alla paura” fu maestro Goebbels, che riuscì a convincere milioni di tedeschi che qualcuno voleva la loro morte.
(si servì delle idee e dei libri di Theodore N. Kaufman, uomo d'affari e scrittore ebreo americano)
Read 25 tweets
9 Nov
Un vero peccato.
Il fotografo di guerra Robert Capa era con una delle prime ondate di truppe sulla spiaggia di Omaha Beach.
Sto parlando dello sbarco in Normandia.
Le spiagge erano state chiamate in gergo Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword.
Dicevo, un vero peccato.
Capa scattò infatti 106 fotografie quel giorno, durante lo sbarco.
Magari in uno di quegli scatti c’ero anch'io. Magari.
Peccato quell’errore di un tecnico nel laboratorio fotografico della rivista Life a Londra.
Solo 11 fotografie si sono salvate.
E pure sfocate.
Il fotografo ha detto che la sfocatura era stata una sua scelta. Non so, mi sembra strano.
Comunque so solo che quel giorno, che si sarebbe poi rivelato fondamentale per le sorti del conflitto, io ero presente.
E fui pure una pedina fondamentale.
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