“Männer zur linken! Frauen nach rechts!”, uomini a sinistra! Donne a destra! E perché mai?
Nevicava quella domenica di gennaio quando il treno merci ci aveva scaricato dopo un viaggio di 36 ore.
659 ebrei olandesi.
Esattamente 240 uomini e bambini e 419 donne e bambine.
Partiti dal campo di transito olandese di Westerbork stipati all’inverosimile.
Un sollievo una volta arrivati, con la possibilità di sgranchirmi le gambe finalmente. E tante domande. Dove sono arrivato? E’ un posto che non ho mai sentito. Lo chiamano Auschwitz.
E poi.
Cosa ci fa quel mucchio di valigie abbandonate nella neve? Dove sono i proprietari?
Sicuramente verranno a riprendersele.
Ho 40 anni, e indosso un soprabito. Sono sporco.
E stanco, dopo tutte quelle ore in quel treno gelido senza cibo, acqua e servizi igienici.
Vi giuro che io non ne so nulla.
Di quello che stanno dicendo quei prigionieri.
Indicano il fumo e parlano di odore.
Dicono che i tedeschi stanno gasando le persone a migliaia per poi trasformare i cadaveri in polvere.
Mai sentita questa cosa prima di oggi. Non è vero, dai.
Con me c’erano anche mia moglie Johanna, e i nostri gemellini di quattro anni, Paul e Robert, ma ci hanno separati.
Non so dove li hanno portati.
Ci hanno detto alla partenza che saremmo finiti in un posto per un lavoro.
Non so nemmeno quanto pesante sarà questo lavoro
In attesa mi presento.
Mi chiamo Eddy Hamel e sono nato a New York City nel 1902.
I miei genitori, olandesi, si erano trasferiti ad Amsterdam quando io ero ancora piccolo.
E’ tra i suoi canali che ho cominciato a tirare calci ad un pallone.
Era il 1922 quando entrai a far parte della più grande squadra di calcio olandese, l’Ajax.
Giocai in quella squadra otto anni, disputando 125 partite e realizzando otto reti.
Non lasciatevi ingannare dal numero delle reti.
Perché io ero speciale.
Velocità, dribbling lungo il fianco destro e poi quei passaggi dal fondo che mandavano in rete costantemente i miei compagni. Giocavo ala destra e i tifosi durante l'intervallo delle partite passavano alla tribuna di fronte per continuare a vedermi da vicino. Uno spettacolo.
E poi il ginocchio distrutto.
E quel lavoro come impiegato presso un grossista di grano, allenando e giocando tra i veterani dell’Ajax.
Poi l’arrivo dei tedeschi.
Era il 27 ottobre del 1942 quando fui fermato da due ufficiali del dipartimento di polizia di Amsterdam.
Perché non indossavo la stella che mi identificava come ebreo.
Lo dissi ai funzionari che ero nato a New York. Pensavo avessero un occhio di riguardo per gli americani. Fu tutto inutile.
Mi arrestarono e con la mia famiglia inviato a Westerbork.
Avevo sposato Johanna nell'agosto del 1929 in una sinagoga di Amsterdam.
Quando nacquero Paul e Robert, io allenavo tre squadre. Rispetto all’Ajax almeno mi pagavano.
Di solito pesce, un cesto di anguille o di aringhe. Dovevate vedere la gente sul treno quando tornavo a casa.
Quando erano arrivati i nazisti cacciarono noi ebrei anche dai club sportivi. Non potevo più allenare.
Il quartiere ebraico trasformato in un ghetto sigillato con filo spinato. Abitavamo al secondo piano, al 145 Rijnstraat (non lontano da Anna Frank e famiglia)
E poi l’arresto, perché non indossavo la stella.
Ricordo il primo pasto ad Auschwitz.
"Una specie di zuppa di erbe con foglie di colore nero". E nelle settimane seguenti solo pezzetti di pane e una patata cruda. In quella baracca eravamo in mille.
Mille esseri umani stipati.
Io avevo il numero 98289.
E’ durata poco la mia permanenza lì.Tre mesi, per colpa di un maledetto ascesso in bocca. Ci portarono in una stanza e ci dissero di metterci nudi. Capii cosa stava per accadere. La chiamavano la "selezione".
I sani a destra, per continuare a lavorare.
I malati a sinistra.
E io avevo la faccia gonfia per quel maledetto ascesso. Passai per il camino.
Andai incontro alla morte senza sapere che fine avessero fatto mia moglie Johanna, e i nostri gemellini di quattro anni, Paul e Robert.
Eddie Hamel morì senza sapere.
Che la moglie e i gemellini erano stati inviati alle camere a gas appena scesi con lui dal treno.
Non seppe mai dei genitori e di sua sorella Estella giustiziati a Sobibor.
E della sorella Hendrika uccisa anche lei ad Auschwitz.
Quella domenica di gennaio quando Eddie Hamel arrivò ad Auschwitz con la sua famiglia si fermarono altri due treni in quel posto.
Trasportavano in totale 5.284 ebrei.
4.510 furono inviati direttamente alle camere a gas. Tra loro, 1.207 bambini
Questa è la storia di Eddie Hamel, giocatore ebreo dell’Ajax.
Che arrivato a Auschwitz pensò che i forni crematori fossero solo una leggenda.
Perché "per poter credere a una cosa del genere, devi smettere di essere umano" (un sopravvissuto)
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Caro Johannes, ho letto che anche da voi ci sono i campi di concentramento.
Ho visto gente sfilare per strada vestita con quelle pettorine a righe che indossavamo noi in quell’inferno.
Avevano in mano anche del filo spinato. Mi dispiace.
Soprattutto per quelle donne.
Sai. Ricordo ancora quando hai “voluto” leggere le nostre storie.
Non ti bastava sapere a grandi linee cosa erano stati quei campi di concentramento per noi donne.
Hai voluto conoscere anche i minimi particolari. Vomitare, fu per te una liberazione. I tuoi lettori sono avvisati
Noi donne non fummo trattate peggio degli uomini come ha scritto qualcuno. Fummo trattate diversamente, quello sì, in quanto donne.
Dalla rasatura delle parti intime a quelle luride baracche. O “gabbie per conigli” come le chiamavamo. Con quelle coperte ricoperte di escrementi.
C’è chi descrive la realtà nella sua interezza.
E poi c’è chi fa solo propaganda, che è una descrizione parziale e spesso falsa della stessa realtà.
La propaganda mira a influenzare le opinioni e il comportamento altrui, a vantaggio di qualcuno, per determinati obiettivi.
Quante tecniche esistono per creare falsi messaggi, per fare della propaganda credibile?
A decine.
Si va dalla "conventio ad tacendum", dove si scelgono le notizie da dare e quelle da nascondere, al “ricorso alla paura” per creare qualche ipotetico nemico.
Del “ricorso alla paura” fu maestro Goebbels, che riuscì a convincere milioni di tedeschi che qualcuno voleva la loro morte.
(si servì delle idee e dei libri di Theodore N. Kaufman, uomo d'affari e scrittore ebreo americano)
Un vero peccato.
Il fotografo di guerra Robert Capa era con una delle prime ondate di truppe sulla spiaggia di Omaha Beach.
Sto parlando dello sbarco in Normandia.
Le spiagge erano state chiamate in gergo Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword.
Dicevo, un vero peccato.
Capa scattò infatti 106 fotografie quel giorno, durante lo sbarco.
Magari in uno di quegli scatti c’ero anch'io. Magari.
Peccato quell’errore di un tecnico nel laboratorio fotografico della rivista Life a Londra.
Solo 11 fotografie si sono salvate.
E pure sfocate.
Il fotografo ha detto che la sfocatura era stata una sua scelta. Non so, mi sembra strano.
Comunque so solo che quel giorno, che si sarebbe poi rivelato fondamentale per le sorti del conflitto, io ero presente.
E fui pure una pedina fondamentale.
Mamma si chiamava Franzisca Grünwald, una bella infermiera di ventisei anni.
Papà un ufficiale medico di trentatré anni di nome Albert Salomon.
Il luogo? Un ospedale di fortuna sul fronte di guerra in Francia.
Come riuscì a conquistarlo?
Fu grazie a uno starnuto.
Quel giorno Albert stava operando un soldato, le mani occupate, poi uno starnuto e il naso che cola.
Fu mamma, la bella infermiera, a estrarre il suo fazzoletto per pulirgli il naso.
E fu in quel preciso momento che lui si accorse di lei. E se ne innamorò.
Un breve fidanzamento e nel 1916 il matrimonio a Berlino.
Una cerimonia religiosa ebraica e poi il ritorno al fronte per lui. Per lei una casa vuota.
Papà tornò dal fronte giusto in tempo per vedermi nascere. Era il 16 aprile 1917.
Oggi ci rido sopra.
E forse un sorriso verrà anche voi alla fine della storia, ma vi assicuro che ho rischiato di brutto.
Ma proprio brutto brutto.
E’ un miracolo che oggi, che di anni ne ho ottantasette, sia qui a raccontare cosa accadde in quei giorni. Partendo dall’inizio.
Era il 1928 quando i coniugi Levinsons, cantanti lirici dell'Opera di Riga, in Lettonia, si trasferirono a Berlino.
Ormai famosi, la Deutsche Oper aveva offerto loro un contratto principesco che mai avrebbero potuto rifiutare.
E fu a Berlino, il 17 marzo 1934 che nacque Hessy, a due passi dalla Porta di Brandeburgo.
Per i miei genitori una bambina bellissima.
E sinceramente anch’io sono d'accordo.
E non lo dico solo perché quella bambina, Hessy, ero io. Ero bella, dai. Ma proprio bella bella.
Mi chiamo Werner e oggi sono stato scelto come immagine per un manifesto di reclutamento nella Wehrmacht.
Siamo nel 1939 e indosso la divisa tedesca, pronto a partire per l’invasione della Polonia.
Sono stato scelto come “il soldato tedesco ideale, puro ariano”.
Vi state forse chiedendo com'è fatto un perfetto soldato tedesco, ariano puro?
Come me.
Occhi azzurri, zigomi alti, mento cesellato, scatola cranica stretta e allungata.
E uno sguardo glaciale.
Niente a che vedere con quelli di razza inferiore riconoscibili dal naso adunco, bocca larga, capelli ricci rossi, labbra carnose e corpo villoso.
Almeno così sono identificati i tedeschi non ariani, di razza impura.