Un vero peccato.
Il fotografo di guerra Robert Capa era con una delle prime ondate di truppe sulla spiaggia di Omaha Beach.
Sto parlando dello sbarco in Normandia.
Le spiagge erano state chiamate in gergo Utah, Omaha, Gold, Juno e Sword.
Dicevo, un vero peccato.
Capa scattò infatti 106 fotografie quel giorno, durante lo sbarco.
Magari in uno di quegli scatti c’ero anch'io. Magari.
Peccato quell’errore di un tecnico nel laboratorio fotografico della rivista Life a Londra.
Solo 11 fotografie si sono salvate.
E pure sfocate.
Il fotografo ha detto che la sfocatura era stata una sua scelta. Non so, mi sembra strano.
Comunque so solo che quel giorno, che si sarebbe poi rivelato fondamentale per le sorti del conflitto, io ero presente.
E fui pure una pedina fondamentale.
Mi presento.
Mi chiamo Paddy e in quei giorni eravamo aggregati alla Prima divisione americana.
Io ero uno dei più giovani e facevo parte di uno speciale distaccamento della RAF, la Royal Air Force inglese, composto da 30 aviatori.
Pronti a tutto.
.
Un reparto a cui venivano affidate informazioni fondamentali.
Il nostro compito?
Consegnare quelle informazioni segrete nel luogo giusto, e al momento giusto.
Una missione pericolosa sempre.
Direi quasi impossibile, soprattutto quel giorno.
Partendo dalle coste francesi avrei dovuto raggiungere la base militare di Hampshire, sulla costa meridionale dell'Inghilterra, per consegnare loro un plico con tutte le notizie relative allo sbarco.
Informazioni fondamentali per le sorti del conflitto.
In quella missione avevo ben poche alternative.
O arrivavo in tempo in Inghilterra per portare le prime notizie sullo sbarco in Normandia o ci lasciavo le penne.
Altre alternative non c’erano.
Almeno, io non ne vedevo.
La distanza dalle coste francesi alla base militare inglese di Hampshire? 230 miglia.
Molti i pericoli.
La principale minaccia era sicuramente la Brigata tedesca aggregata alla Luftwaffe addestrata per intercettare quelli come noi, in volo per trasportare informazioni
E poi c’era la contraerea.
Sapevate che in Normandia, assegnato proprio alle batterie contraeree tedesche, c’era il vostro Walter Michele Armando Annicchiarico? Come chi è? Quell’attore, anche comico, come si chiama, Walter Chiari ecco.
Era già un burlone allora.
Al teatro di Cremona, durante la guerra, faceva le imitazioni di Hitler.
E prendeva pure in giro i tedeschi con una parlantina tedesco-lombarda.
I tedeschi non la prendevano bene.
Farinacci invece si divertiva.
Che ci faceva Walter Chiari lì con i tedeschi in Normandia?
Come molti altri, dopo l'8 settembre, era stato chiamato alle armi e arruolato nella Decima Flottiglia Mas.
Con un certo Ugo Tognazzi realizzava vignette satiriche per il settimanale del corpo.
Poi si era offerto come volontario per difendere le sorti dell’Asse. Raccontano che fosse un burlone pure lì.
Ma torniamo a noi. Dove eravamo rimasti?
Ah sì, alla mia missione.
Iniziò esattamente il sei giugno del 1944.
Le ore? Le 8.15 del mattino.
Mentre le truppe alleate sbarcavano su quelle spiagge io decollavo dalla costa francese per raggiungere l’Inghilterra.
Ci si misero pure le pessime condizioni meteorologiche a mettermi in difficoltà durante il volo.
Ma io dovevo assolutamente consegnare quel plico.
Il plico conteneva un importante messaggio in codice con informazioni vitali sui progressi in battaglia delle forze alleate.
Nonostante la contraerea, e una formazione tedesca che cercò di intercettarmi, raggiunsi la costa inglese in sole quattro ore e 50 minuti.
Un record.
56 miglia all’ora, la bellezza di 90 chilometri orari.
Il miglior tempo possibile per quanto riguardava la consegna di notizie in codice.
Un record ancora imbattuto.
Dopo la guerra sono stato decorato con la medaglia Dickin, equivalente alla Victoria Cross.
Il mio vecchio istruttore John McMullan lo diceva sempre che ero il migliore, mentre mi allenava nella base militare segreta a Ballykinlar, nella contea di Down.
Durante gli addestramenti mi portava persino in mare aperto con un sommergibile.
Durante il percorso mi costruivo una mappa della zona per orientarmi e ritornavo sempre da lui.
Come dite?
Perché mi allenava così?
Ero un piccione viaggiatore, come diavolo doveva allenarmi?
Un allenamento tremendo che serviva per sfuggire alla Brigata tedesca aggregata alla Luftwaffe e formata da «squadriglie» di falchi.
Venivano addestrati apposta per intercettare “piccioni da combattimento”.
Per quella missione sono stati tanti i riconoscimenti che ho ricevuto.
La mia città natale Carnlough, nella contea di Antrim in Irlanda del nord, mi ha dedicato una targa.
Una targa in onore di un piccione non è una cosa molto frequente, dai.
Pensate che nel 2005 mi hanno pure dedicato un film d’animazione.
Il titolo? "Valiant, Piccioni da combattimento". Tranquilli, non sono stati utilizzati dei veri piccioni.
E’ un film britannico realizzato interamente in grafica computerizzata.
Alla fine della guerra Paddy si stabilì a Carnlough insieme al capitano Andrew Hughes che lo ha accudito e coccolato per il resto dei suoi giorni.
E’ morto nel 1954.
Paddy, Il piccione viaggiatore che beffò i falchi di Hitler.
Uno dei tanti eroi della seconda guerra mondiale.
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
Mamma si chiamava Franzisca Grünwald, una bella infermiera di ventisei anni.
Papà un ufficiale medico di trentatré anni di nome Albert Salomon.
Il luogo? Un ospedale di fortuna sul fronte di guerra in Francia.
Come riuscì a conquistarlo?
Fu grazie a uno starnuto.
Quel giorno Albert stava operando un soldato, le mani occupate, poi uno starnuto e il naso che cola.
Fu mamma, la bella infermiera, a estrarre il suo fazzoletto per pulirgli il naso.
E fu in quel preciso momento che lui si accorse di lei. E se ne innamorò.
Un breve fidanzamento e nel 1916 il matrimonio a Berlino.
Una cerimonia religiosa ebraica e poi il ritorno al fronte per lui. Per lei una casa vuota.
Papà tornò dal fronte giusto in tempo per vedermi nascere. Era il 16 aprile 1917.
Oggi ci rido sopra.
E forse un sorriso verrà anche voi alla fine della storia, ma vi assicuro che ho rischiato di brutto.
Ma proprio brutto brutto.
E’ un miracolo che oggi, che di anni ne ho ottantasette, sia qui a raccontare cosa accadde in quei giorni. Partendo dall’inizio.
Era il 1928 quando i coniugi Levinsons, cantanti lirici dell'Opera di Riga, in Lettonia, si trasferirono a Berlino.
Ormai famosi, la Deutsche Oper aveva offerto loro un contratto principesco che mai avrebbero potuto rifiutare.
E fu a Berlino, il 17 marzo 1934 che nacque Hessy, a due passi dalla Porta di Brandeburgo.
Per i miei genitori una bambina bellissima.
E sinceramente anch’io sono d'accordo.
E non lo dico solo perché quella bambina, Hessy, ero io. Ero bella, dai. Ma proprio bella bella.
Mi chiamo Werner e oggi sono stato scelto come immagine per un manifesto di reclutamento nella Wehrmacht.
Siamo nel 1939 e indosso la divisa tedesca, pronto a partire per l’invasione della Polonia.
Sono stato scelto come “il soldato tedesco ideale, puro ariano”.
Vi state forse chiedendo com'è fatto un perfetto soldato tedesco, ariano puro?
Come me.
Occhi azzurri, zigomi alti, mento cesellato, scatola cranica stretta e allungata.
E uno sguardo glaciale.
Niente a che vedere con quelli di razza inferiore riconoscibili dal naso adunco, bocca larga, capelli ricci rossi, labbra carnose e corpo villoso.
Almeno così sono identificati i tedeschi non ariani, di razza impura.
Perché non ho mai vinto le Olimpiadi? Bella domanda. So solo che a ogni partecipazione era sempre la solita storia: “non corrisponde agli schemi tradizionali”.
Mi chiedo, ma quale progresso puoi ottenere seguendo solo schemi tradizionali, facendo sempre le solite cose?
Se parliamo di sport.
Dick Fosbury ha seguito uno schema tradizionale? Ulrich Salchow, svedese, primo campione Olimpico nel 1908, ha seguito uno schema tradizionale facendo il primo salto Salchow nel 1909? Ma per piacere. Chi sono?
Sono Surya Bonaly. E questa è la mia storia.
Sono nata sull’isola della Riunione, nell'oceano Indiano.
Papà e mamma giravano il mondo con un furgone.
In India e in Pakistan avevano visto tutta quella miseria.
Potevano avere figli, ma loro decisero diversamente.
Avevo 18 mesi quando mi adottarono.
Un dilettante.
Eppure avete avuto nei confronti della sua vicenda parole di ammirazione.
“Bellissima storia”, “storia geniale”, “carinissima storia”, “fantastica storia”.
Della mia di vicenda, vi garantisco, è stato detto ben altro.
Non ricordo nessuna ammirazione. Anzi.
Va bene, prendo atto, ma per quanto mi riguarda vi garantisco di non avere nessuna colpa per quello che è avvenuto durante la mia vita lavorativa.
Mi ritengo solo fortunata, quello sì.
Una fortuna iniziata fin dalla nascita.
Nella pampa argentina, nei pressi di Bahia Blanca.
Dove sono nata il 2 ottobre 1887, prima di nove figli. Mi chiamo Violet Constance Jessop.
I miei genitori venivano dall’Irlanda.
Ero ancora piccola quando la mia vita venne segnata da due disgrazie: la tubercolosi e la morte di mio padre, un allevatore di pecore.
Già. Alla fine sono stato chiamato “l’inaffondabile”.
E sinceramente, se mi hanno affibbiato quel nomignolo, un fondo di verità c’è.
Ma è proprio grazie a quell’appellativo che oggi posso raccontarvi la mia storia.
Non ricordo chi mi imbarcò nel mio primo viaggio in mare sulla nave da battaglia Bismarck.
Era il maggio del 1941.
La Bismarck era battezzata così in onore del cancelliere Otto von Bismarck.
Una nave tedesca, varata il 14 febbraio 1939.
C’erano tutti ad assistere al suo varo.
Hitler, Raeder, Keitel, Göring, Goebbels, Hess, Ribbentrop, Himmler, Bormann e von Schirach.
Un vessillo della nuova potenza nazista.
Veloce, ben corazzata, con grande autonomia.