"Hominem te esse memento" continua a ripetergli l’auriga dietro di lui.
“Ricordati che sei solo un uomo”.
Strani questi Romani.
Forse per evitare che l’Imperatore Aureliano, mentre viene acclamato dalla folla romana, si monti troppo la testa nella gloria di questo momento.
Grazie Johannes per avermi dato la parola.
Per raccontare, in questo momento particolare, quello che sono stata. Un consiglio prima.
Oggi voi non avete l’auriga, ma un naso da pagliaccio in tasca farebbe comodo a qualcuno di voi.
Quando uno comincia a montarsi la testa...
Detto ciò, Roma è in festa. Ci sono tutti, popolani e patrizi ad assistere al trionfo dell’Imperatore Aureliano sul suo carro imperiale per la via Sacra di Roma.
Ma tutti guardano me, e le catene d’oro che mi trattengono.
Non ho mai abbassato lo sguardo, neppure per un attimo.
Che ci faccio, nel 274 d.C., incatenata dietro l’Imperatore?
Cosa ho fatto, io, Zenobia, regina di Palmira, imperatrice d’Oriente, discendente di Cleopatra, perché la mia sconfitta debba essere celebrata con un trionfo tanto sontuoso?
E’ una storia lunga Johannes.
Iniziata nella periferia dell’Impero, precisamente a Palmira, nella provincia romana di Siria.
Palmira, proprio quella città, chiamata “la sposa del deserto”, che alcuni anni fa è stata profanata da quei fanatici dell’ISIS.
Nel III secolo una città splendida, tanto da competere con la stessa Roma per la bellezza dei monumenti e per la ricchezza. Le case erano tutte a peristilio, quel cortile contornato da colonne sulle quali si poneva il tetto.
E poi il teatro, e i templi in stile ellenico.
Come detto siamo nel III secolo,il secolo della crisi di Roma, il periodo dell’Anarchia Militare,dove è facilissimo conquistare la porpora imperiale, ma praticamente impossibile mantenerla a lungo. In mezzo la lotta in Oriente contro i Parti del Re Shaour I, della stirpe sasanide
L’Imperatore Valeriano, che non era un militare, ma un amministratore, aveva subito una clamorosa sconfitta contro i sasanidi, venendo tra l’altro catturato.
L’aiuto dato da Settimio Odenato, principe di Palmira, all’imperatore romano, gli era valso il titolo di “dux romanorum”.
Palmira era un entità indipendente, seppur sottomessa a Roma. Autonominatosi “re dei re” Settimio Odenato aveva continuato a combattere i Parti, spina nel fianco di Roma, costringendoli al declino. E allargando il suo regno fino alla Siria, la Cilicia, l’Arabia e alla Mesopotamia
Ma sai, suo moglie era molto più ambiziosa.
Voleva molto di più. Ad ostacolarla non c'era solo suo marito, Settimio Odenato, ma anche il figlio maggiore Hairan, avuto da una precedente moglie. Le venne in aiuto il nipote di Odenato, Maconio che odiava il re per averlo esiliato.
«Scusa Zenobia se intervengo. Tutto vero quello che dici. Il re Odenato, la moglie che voleva di più, il nipote (qualcuno dice che fosse il cugino, ma non importa). Hai tralasciato un piccolo particolare.
Che poi tanto piccolo non è.
La moglie che voleva di più, eri tu».
"Ma che stai a guardà er capello?"
Sì, quella moglie ero io, quella che oggi è incatenata per le vie di Roma.
E’ vero, avevo progetti ambiziosi, ma era forse un male?
Quando Maconio si autoproclamò imperatore, dopo aver ucciso Odenato e il nipote o cugino, io lo feci uccidere.
Il mio sogno? Svincolarsi una volta per tutte dal controllo di Roma.
E così mi autoproclamai Imperatrice dei Romani, regina dei re di Palmira, discendente della dinastia egizia dei Tolomei.
Tutto in un colpo solo. Non male vero?
Non fare quella faccia Johannes.
Mi rappresentate come una donna bellissima, carnagione scura, denti bianchissimi, grandi e penetranti occhi neri e lunghi capelli corvini. Troppo buoni, ma ero molto altro. Parlavo il greco, l’aramaico e l’egiziano.
Il latino poco, ma tanto lo si parlava solo in ambito militare.
Mi piaceva andare a cavallo, cacciare e bere vino. Senza mai eccedere comunque.
Durante le campagne belliche non solo stavo in mezzo ai miei soldati, ma li guidavo personalmente.
Il termine “regina guerriera” è nato proprio da questo.
I primi territori a cadere furono l’Arabia e la Giudea. Ma il mio grande capolavoro fu la conquista dell’Egitto, che era sotto il controllo di Roma.
E’ pur vero che a Roma avevano altro a cui pensare.
Quando alla fine toccò all'imperatore Claudio il Gotico, lui comprese che non poteva perdere il “granaio del mondo”.
La sua morte improvvisa mi aiutò.
La guarnigione romana stanziata in Egitto passò dalla mia parte.
Entrai trionfante ad Alessandria, la mia “città ancestrale”.
La mia sfortuna?
La salita al trono di Aureliano nel 270 d.C.
Lui era un vero generale. Con un Impero diviso in tre, fu costretto inizialmente a riconoscermi il titolo di “Augusta”, imperatrice d’Oriente.
Ancora non sapevo che lo aveva fatto solo per prendere tempo.
Sistemate le cose in Occidente si sarebbe ripreso quello che avevo sottratto a Roma. E così fece. Mentre la mia immagina finiva sulle monete coniate ad Alessandria d’Egitto, Aureliano mandò in Egitto il fido Marco Aurelio Probo.
Non gli fu difficile riconquistare quei territori.
L’anno seguente fu lo stesso Aureliano a muoversi col suo esercito.
Riconquistò ad una a una tutte le città, impedendo ai suoi uomini di saccheggiarle.
Di città in città spinse il mio esercito fin dentro le mura della città da cui tutto era cominciato: la mia Palmira.
Aureliano poteva contare su un esercito straordinario. L’unica speranza era ottenere l’aiuto di un nemico di Roma: il re Shapur I. Ci voleva un ambasciatore formidabile. E chi meglio di me, Zenobia.
Mentre cercavo di raggiungerlo, i cavalieri di Aureliano mi intercettarono.
E con la promessa di misericordia, i cittadini di Palmira decisero di arrendersi. Promessa mantenuta, ma fui portata ad Ermesa per essere processata.
Scaricai la colpa sui miei generali e sui miei consiglieri, che vennero condannati a morte.
Ma la mia sorte era ormai segnata.
Sono stata portata a Roma e ora sono qui, incatenata sulla Via Sacra.
La forza di Roma ha avuto la meglio, ma seppur per un breve periodo, sono riuscita a sconfiggere il più grande Impero dell’antichità.
Non conosco il mio destino, ma tanto mi basta.
Diverse le versioni sul destino da Zenobia.
Secondo alcune fonti morì durante la traversata, secondo altre si lasciò morire una volta arrivata a Roma. Altre che morì per una brutta malattia.
Altre ancora uccisa da Aureliano per decapitazione.
Per gli amanti del lieto fine c’è pura la versione che vede l’Imperatore Aureliano innamorarsi di lei.
Vinto dal suo fascino le assegnò una villa a Tivoli assegnandola in sposa ad un senatore.
Qualunque sia stato il suo destino lei rimarrà sempre Zenobia, "la regina guerriera"
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Una poesia di Gianni Rodari recita: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.” Come dargli torto. Credo che nella guerra l’essere umano dia il peggio di sé.
In alcuni casi, andando oltre.
Lo chiamano “fuoco amico”.
Che poi di amico non ha proprio un bel niente.
E’ solo la dimostrazione, quando non è malasorte, di quanto l’intelligenza umana sia limitata.
Uccidere migliaia di persone “amiche” per negligenza o stupidità, quasi sempre restando impuniti.
Chi non ricorda la battaglia di Verdun.
La Prima Guerra mondiale aveva visto l’utilizzo di “armi chimiche” o gas asfissianti come venivano chiamati. Ma erano anche lacrimogeni, urticanti e velenosi.
Ne avevano paura tutti.
Anche quelli che li utilizzavano.
Ci mancava pure il film. Con tutti quegli Oscar poi.
Lo so che su Wikipedia è scritto chiaro “il film è tratto dall'omonima opera teatrale…”, ma sapete quanta gente pensa sia un film storico? Ma dai.
Dovevate scriverlo a chiare lettere: OPERA DI FANTASIA.
Tutta colpa di quel russo, Aleksandr Sergeevič Puškin, e del suo microdramma.
Da lì la pièce teatrale in due atti scritta da Peter Shaffer.
E ora questo film.
Tutto per cercare di convincere la gente che io quello lo odiavo. Tanto da ucciderlo.
Io provare invidia per quello? Ma quando mai.
Ero uno dei musicisti più importanti di tutta Europa. Quale autore scelse l’imperatrice Maria Teresa D’Austria per l’inaugurazione del Nuovo Regio Ducal Teatro nel 1778?
Il sottoscritto.
Con l'opera lirica "L'Europa riconosciuta"
Il 4 agosto 1578 per il Portogallo fu un giorno infausto.
Per il più grave lutto della sua storia.
Il giorno in cui lui era morto, intendo, o meglio, scomparso.
Lui, Don Sebastiano I, 24 anni, fior fiore della nobiltà lusitana.
Sedicesimo re del Portogallo e dell'Algarve.
Sicuramente morto nella battaglia di Alcazarquivir, in Marocco, contro l’esercito islamico del sultano Abd al-Malik.
Come poteva pensare di battere i 50.000 cavalieri del sultano con i suoi 20.000 uomini.
Era stata una carneficina.
Il suo corpo? Mai ritrovato.
Dopo la sua morte era salito al trono il suo prozio, il cardinale Enrico.
Ma Sebastiano era troppo amato dal suo popolo.
Era nato così un movimento chiamato “sebastianismo", che sperava nel ritorno del re scomparso per riportare il Paese al suo antico splendore.
Io ci credevo veramente Johannes.
Ho pensato fin dall’inizio di aver scoperto qualcosa di universale, qualcosa che avrebbe unito i popoli del mondo. Dalla torre di Babele in poi in molti si erano cimentati nel semplificare il linguaggio.
Io pensai veramente di esserci riuscito.
Mi chiamo François Sudre e sono nato in Francia, ad Albi nel 1787.
Dopo aver studiato al Conservatorio mi ero messo a insegnare musica. Quando presi la decisione di impegnarmi nella creazione di un linguaggio universale, mi trasferii a Parigi. L’inizio fu più che soddisfacente.
La prima prova con un mio studente.
Ci vollero poche lezioni per dialogare tra noi.
Io facevo domande con un violino nella mia camera da letto, lui rispondeva in un’altra camera con un pianoforte.
Avevo realizzato il primo sistema per tradurre le lettere in note musicali.
Per anni sono stato la principale attrazione del quartiere Sankt Pauli, ad Amburgo.
Venivano da tutto il mondo a sentirmi raccontare le mie imprese. E che imprese.
Non ero stato solo un abilissimo mangiatore di spade, un clown, un acrobata, un palombaro e un prestigiatore.
Ero stato molto di più. Quella storia poi.
Era la conclusione della serata che tutti aspettavano. Un racconto incredibile, ma soprattutto vero, con tanto di documenti che lo attestavano.
Il mio nome? Otto Witte.
La mia professione? Artista di circo ed ex re d’Albania.
Avete capito bene. Ex re d’Albania.
Lo so che siete impazienti anche voi di sentire la mia storia. Mettetevi comodi.
Dovete sapere che nel 1912, dopo anni di dominio ottomano, l’Albania aveva proclamato la propria indipendenza.
Mancava da decidere solo il nome del futuro Re.
Giorni fa vi ho raccontato di Heinrich Himmler, l’uomo che si vestiva da sultano turco e che amava i bordelli e le osterie (qui bit.ly/3G7o2C4). Milioni le vittime di quell’orrore, ma di alcune di loro si parla poco, anzi pochissimo. Parlo dei figli dei gerarchi nazisti.
Nati tra il 1927 e il 1944 hanno saputo dell’orrore solo dopo la guerra e malgrado l’orribile realtà, hanno avuto reazioni diverse.
Crescendo qualcuno ha rinnegato tutto, altri praticamente niente, altri si sono chiusi in un devastane mutismo derivato dai sensi di colpa.
Lei, Gudrun, figlia unica di Marga e Heinrich Himmler, ha sempre fatto parte del partito dei nostalgici.
Fino alla sua morte.
Passando tutta la sua vita a difendere suo padre, malgrado fosse stato il principale organizzatore di quell’orrore.