Erano membri di una piccola comunità religiosa cristiana, ma in Iran quella è una religione considerata impura, e così erano fuggiti da quel Paese.
Lui, la moglie e le loro due bambine di 7 e 11 anni.
Destinazione Australia.
Erano finiti in quel deserto, precisamente nel centro di detenzione per migranti di Woomera.
Sì, proprio quella, la Zona Proibita.
Grande come l’Inghilterra, dove si erano svolti tra il 1955 e il 1963 dei test nucleari condotti proprio dal Regno Unito.
Gli aborigeni che abitavano quella zona?
Presi di peso e trasferiti in altre regioni.
Comunque loro quattro erano scappati da un inferno, l'Iran, ed erano finiti in un altro inferno.
Forse peggiore.
Un centro per rifugiati gestito da una compagnia privata.
Dopo un anno e mezzo ancora attendevano di sapere del loro destino.
Stavano male, malissimo, dal punto di vista psicologico, soprattutto l’undicenne.
Lei si stava lasciando andare: non mangiava più, non si pettinava più.
Si bagnava e si sporcava di notte e di giorno.
Avrebbe avuto bisogno di un supporto psicologico, ma a Woomera chi aveva bisogno di quel tipo di assistenza doveva aspettare.
Visita medica ogni sei mesi.
Lo psichiatra aveva scritto nel rapporto che dovevano avere assistenza quotidiana trasferendoli subito in un altro centro.
Dopo tante insistenze il Dipartimento per l’immigrazione li aveva trasferiti dal deserto dell’Australia alla periferia di Melbourne.
Ma dopo due settimane nessuno li aveva ancora visitati.
Ripetendo che la gente come loro non aveva nessun diritto.
Non capisco.
Quella sera stavano mangiando in sala mensa mentre la piccola di 11 anni era nella cella.
La piccola non mangiava da giorni. Era debole.
Non abbastanza da non poter arrotolare il lenzuolo. Fortunatamente troppo debole per fare un nodo che potesse resistere al suo peso.
Venuto a conoscenza dell’accaduto un avvocato dell’Asylum Seeker Resource Centre era corso a vedere la bambina. Ma niente da fare.
Non gli era stato concesso di vederla.
Non conosco che fine ha fatto quella famiglia.
Forse è ancora in uno di quei centri. Non so.
Questa è una delle tante storie uscite dai centri di detenzione per richiedenti asilo australiani.
Il centro di Woomera è stato chiuso nel 2003 dopo continue violazioni dei diritti umani.
Violenze, abusi sessuali, minacce fisiche e psicologiche.
I richiedenti asilo di Woomera furono trasferiti in un nuovo centro costruito a Baxter, in una zona desertica.
Con le stesse leggi assurde, le stesse condizioni.
Il centro protetto da un muro di cemento e da una recinzione elettrificata.
Le celle senza finestre.
Come prescrive la legge, gli uomini e donne richiedenti asilo vanno separati, così se di diversa etnia.
Vietate le visite, nessuna scuola per i bambini.
Con continue violenze.
Il centro non aveva strutture di primo soccorso.
La detenzione con durata indefinita.
“Non aveva”, perché anche il centro di Baxter è stato chiuso.
Grazie a me, e alla mia storia.
Sì, perché sono stata rinchiusa in quel centro per dieci mesi.
Come c’è finita in quel posto una bionda tedesca come me?
Mettetevi comodi, perché è una lunga e triste storia.
Mi chiamo Cornelia e come detto sono nata in Germania, ma trasferita con tutta la famiglia in Australia.
A Sydney precisamente, dove ho studiato e dove ho iniziato, nel 1993, a lavorare come assistente di volo.
Lo so, ora l’ho capito, che quella setta mi avrebbe distrutto.
Ho saputo dopo del perché ci chiedevano, per entrare nella setta, di comunicare i nostri segreti più profondi. Quando qualcuno minacciava di andarsene veniva ricattato.
Dovevamo inoltre chiudere con le nostre famiglie e dare loro una parte dei nostri soldi.
Fu durante quel periodo che scoprii di essere malata. Un continuo avanti e indietro dagli ospedali.
La diagnosi? Prima un disturbo bipolare, poi la schizofrenia.
Non sopportavo gli ospedali e quando mi portarono nel reparto psichiatrico del Manly Hospital, mi diedi alla fuga.
Che avrei dovuto fare?
Avevo paura della setta e quando la polizia mi fermò dissi che mi chiamavo Anna e che ero tedesca, anche se avevo la cittadinanza australiana.
Così mi classificarono "una tedesca via di testa".
E incarcerata nel Centro correzionale femminile di Brisbane.
Avevo comportamenti strani, è vero, ma provate voi a stare mesi senza i farmaci che mi avevano prescritto per la schizofrenia.
Uno psichiatra tentò di dire loro che avevo quella malattia, ma per loro continuavo ad essere solo una persona entrata illegalmente in Australia.
E l’entrata illegale significava una cosa sola.
Un centro di detenzione dell’immigrazione.
Nel mio caso proprio il centro di Baxter.
Accadde nell’ottobre del 2004.
Dato il mio comportamento finii presto in isolamento. Con me nel centro c’erano iraniani, afgani e iracheni.
Alcuni di loro erano lì da anni.
Ogni loro richiesta respinta. Non capivo.
Come non capivo perché mi avevano rinchiuso in una cella e mi facevano uscire solo quattro ore al giorno. Non capivo.
Che ci facevo in quel posto?
Perché trattavano le persone in quel modo?
Non c’è molto da aggiungere alla sua storia.
Lei si chiamava e si chiama Cormelia Rau, con cittadinanza tedesca e australiana, finita nel centro di detenzione dell’immigrazione di Baxter.
Finita all’inferno.
Uscita mesi dopo grazie ad un articolo sul The Age di Melbourne
L’articolo si intitolava "La donna misteriosa al Baxter potrebbe essere malata".
Furono i genitori a riconoscerla e far sì che la figlia venisse liberata.
Rau ha ricevuto $ 2,6 milioni di risarcimento per detenzione illegale.
Dopo questa storia, l’ennesima, anche il centro di Baxter è stato chiuso. Ma non è cambiato niente.
Ci sono altri Woomera, altri Baxter in giro per l’Australia.
Come il centro per rifugiati sull'sola di Manus, che presto chiuderà.
O il centro che si trova sull’isola di Nauru.
E’ su questa piccola isola di Nauru che dozzine di paesi, Nazioni Unite e gruppi per i diritti, tra cui Amnesty International e Human Rights Watch, hanno documentato e condannato la detenzione illegale di immigrati.
Lui è Omid, 23 anni, rifugiato iraniano detenuto a Nauru.
Sta urlando: "Siamo malati e sfiniti! Hanno distrutto le nostre vite! Conduciamo vite miserabili! Ci torturano da tre anni! ".
Subito dopo si è dato fuoco.
E' morto dopo 31 ore di agonia. Senza cure.
Quanti richiedenti asilo ci sono nei centri immigrazione in Australia? Circa 1.500.
Quanti a Nauru? Aspettando una risposta? Circa 200. Quanti giorni ci vogliono in media per avere una risposta, quasi sempre negativa, dal Centro Immigrazione Australiano? 500 giorni.
Se va bene.
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“Abolire i pantaloni rossi? Mai! I pantaloni rossi sono la Francia”.A pronunciare queste parole fu, nel 1913, il ministro della guerra del mio Paese, Eugène Etienne. Arrivò la guerra e i pantaloni continuarono ad essere rossi. Lo stesso colore della guerra franco-prussiana (1870)
In realtà i pantaloni rossi erano in uso fin dal 1829.
Il colore rosso aveva lo scopo di riconoscere meglio i soldati in combattimento, quando la coltre di fumo della polvere da sparo rendeva irriconoscibili i soldati. Poi le cose erano cambiate.
Non so che tipo di guerra avessero in mente i nostri governanti.
In quella guerra il rosso era il colore ideale per un tiro al bersaglio.Soprattutto dopo aver sostituito la polvere nera che offuscava i campi di battaglia dopo una scarica, con la polvere senza fumo dei proiettili
Per noi piloti inglesi della RAF furono un vero e proprio tormento. Nemmeno i tedeschi riuscirono a crearci così tanti problemi.
Tutto ad un tratto i nostri apparati di navigazione smettevano di funzionare, le bussole impazzivano e governare l’aereo diventava difficile.
Le prime avvisaglie si erano palesate già nel 1917.
Lo aveva scritto il quotidiano britannico The Spectator.
Sia la Royal Naval Air Service che l’anno successivo la Royal Air Force avevano subito i loro sabotaggi.
Non bastavano le tensioni della guerra aerea cui eravamo sottoposti.
Ogni volta che ci alzavamo in volo la preoccupazione per un eventuale loro intervento rendeva difficile l’espletamento del nostro lavoro.
Erano un pericolo continuo.
Una poesia di Gianni Rodari recita: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.” Come dargli torto. Credo che nella guerra l’essere umano dia il peggio di sé.
In alcuni casi, andando oltre.
Lo chiamano “fuoco amico”.
Che poi di amico non ha proprio un bel niente.
E’ solo la dimostrazione, quando non è malasorte, di quanto l’intelligenza umana sia limitata.
Uccidere migliaia di persone “amiche” per negligenza o stupidità, quasi sempre restando impuniti.
Chi non ricorda la battaglia di Verdun.
La Prima Guerra mondiale aveva visto l’utilizzo di “armi chimiche” o gas asfissianti come venivano chiamati. Ma erano anche lacrimogeni, urticanti e velenosi.
Ne avevano paura tutti.
Anche quelli che li utilizzavano.
Ci mancava pure il film. Con tutti quegli Oscar poi.
Lo so che su Wikipedia è scritto chiaro “il film è tratto dall'omonima opera teatrale…”, ma sapete quanta gente pensa sia un film storico? Ma dai.
Dovevate scriverlo a chiare lettere: OPERA DI FANTASIA.
Tutta colpa di quel russo, Aleksandr Sergeevič Puškin, e del suo microdramma.
Da lì la pièce teatrale in due atti scritta da Peter Shaffer.
E ora questo film.
Tutto per cercare di convincere la gente che io quello lo odiavo. Tanto da ucciderlo.
Io provare invidia per quello? Ma quando mai.
Ero uno dei musicisti più importanti di tutta Europa. Quale autore scelse l’imperatrice Maria Teresa D’Austria per l’inaugurazione del Nuovo Regio Ducal Teatro nel 1778?
Il sottoscritto.
Con l'opera lirica "L'Europa riconosciuta"
"Hominem te esse memento" continua a ripetergli l’auriga dietro di lui.
“Ricordati che sei solo un uomo”.
Strani questi Romani.
Forse per evitare che l’Imperatore Aureliano, mentre viene acclamato dalla folla romana, si monti troppo la testa nella gloria di questo momento.
Grazie Johannes per avermi dato la parola.
Per raccontare, in questo momento particolare, quello che sono stata. Un consiglio prima.
Oggi voi non avete l’auriga, ma un naso da pagliaccio in tasca farebbe comodo a qualcuno di voi.
Quando uno comincia a montarsi la testa...
Detto ciò, Roma è in festa. Ci sono tutti, popolani e patrizi ad assistere al trionfo dell’Imperatore Aureliano sul suo carro imperiale per la via Sacra di Roma.
Ma tutti guardano me, e le catene d’oro che mi trattengono.
Non ho mai abbassato lo sguardo, neppure per un attimo.
Il 4 agosto 1578 per il Portogallo fu un giorno infausto.
Per il più grave lutto della sua storia.
Il giorno in cui lui era morto, intendo, o meglio, scomparso.
Lui, Don Sebastiano I, 24 anni, fior fiore della nobiltà lusitana.
Sedicesimo re del Portogallo e dell'Algarve.
Sicuramente morto nella battaglia di Alcazarquivir, in Marocco, contro l’esercito islamico del sultano Abd al-Malik.
Come poteva pensare di battere i 50.000 cavalieri del sultano con i suoi 20.000 uomini.
Era stata una carneficina.
Il suo corpo? Mai ritrovato.
Dopo la sua morte era salito al trono il suo prozio, il cardinale Enrico.
Ma Sebastiano era troppo amato dal suo popolo.
Era nato così un movimento chiamato “sebastianismo", che sperava nel ritorno del re scomparso per riportare il Paese al suo antico splendore.