“Abolire i pantaloni rossi? Mai! I pantaloni rossi sono la Francia”.A pronunciare queste parole fu, nel 1913, il ministro della guerra del mio Paese, Eugène Etienne. Arrivò la guerra e i pantaloni continuarono ad essere rossi. Lo stesso colore della guerra franco-prussiana (1870)
In realtà i pantaloni rossi erano in uso fin dal 1829.
Il colore rosso aveva lo scopo di riconoscere meglio i soldati in combattimento, quando la coltre di fumo della polvere da sparo rendeva irriconoscibili i soldati. Poi le cose erano cambiate.
Non so che tipo di guerra avessero in mente i nostri governanti.
In quella guerra il rosso era il colore ideale per un tiro al bersaglio.Soprattutto dopo aver sostituito la polvere nera che offuscava i campi di battaglia dopo una scarica, con la polvere senza fumo dei proiettili
Quel rosso costò la vita a migliaia di “poilus”.
Già, ci chiamavano così, noi fanti francesi della prima guerra mondiale.
“Pelosi” perché molti di noi contadini portavano barba e baffi.
E amavano il Pinard, vino a buon mercato.
Non furono però tutti quei morti a convincere il governo francese a cambiare il colore rosso.
Fu quando scoprirono che il colore rosso, che serviva a colorare i pantaloni, era prodotto in Germania.
Ma proprio a causa di quel rosso, io ero già morto.
Mi chiamo Lucien Bersot, fabbro e affettuoso marito, padre di una bambina.
Ero nato il 7 giugno 1881 ad Authoison in Haute-Saône da una famiglia di piccoli agricoltori.
Facevo il maniscalco quando venni arruolato all’inizio del conflitto.
Arruolato nel 60° Reggimento di Fanteria.
Nonostante il mio pensiero fosse rivolto a mia moglie e a mia figlia, col desiderio costante di andare in licenza per poterle rivedere, ero un bravo soldato, coraggioso e solidale con i compagni.
Per questo mi spettavano quei pantaloni.
Nel gennaio del 1915 avevamo perso 1.500 uomini in combattimento, vicino a Soissons nell'Aisne.
Faceva freddo, molto freddo e io avevo in dotazione solo quel paio di pantaloni di tela bianca estivi, forniti con il pacco consegnato durante l’arruolamento.
Rabbrividivo di freddo nella trincea.
Così l’11 febbraio chiesi al sergente Fourrier Boisson i pantaloni di lana rossi identici a quelli indossati dai miei compagni.
Dovevate vedere la mia contentezza quando il maresciallo-furiere mi consegnò i pantaloni.
Tutto bene, quindi?
Per niente. I pantaloni non solo erano sporchi di fango, ma a brandelli, ricoperti di sangue.
Non ne aveva altri, mi disse, ma io mi rifiutai di indossarli.
Volevo come tutti un pantalone sano e pulito.
Era un mio diritto, accidenti.
La cosa non piacque al maresciallo.
Che chiamò il tenente André, comandante della compagnia.
Anche lui mi ordinò di indossare quei pantaloni. Rifiutai, mai avrei indossato i pantaloni di un soldato morto. Ridotti in quello stato, poi.
Questo rifiuto mi costò otto giorni di carcere.
Sarebbe finita lì, ma la cosa arrivò all’orecchio del comandante del reggimento, il colonnello Auroux. Ritenendo troppo lieve la punizione, Auroux mi portò davanti alla Corte Marziale.
Voleva dare un esempio alle nuove reclute appena arrivate.
Un esempio di disciplina militare.
Era il 12 febbraio 1915.
L'accusa? “Rifiuto dell’obbedienza”.
Non capivo.
Io avevo combattuto il nemico, avevo rischiato la vita per il mio Paese.
Volevo solo pantaloni di lana.
Solo dei semplici pantaloni di lana.
Fu del tutto inutile.
Auroux era appena arrivato dalle truppe coloniali, e non aveva ancora acquisito il pieno controllo delle truppe.
Inoltre aveva l’ossessione per la disciplina.
Cosa c’era di meglio che “l’esempio” di un soldato disobbedente come me per rinsaldare la disciplina.
Peccato che quelle parole “davanti al nemico” messe dopo la parola disobbedienza, ce le aveva aggiunte lui. In questo modo il reato diventò gravissimo.
Con una sentenza senza appello, mi condannarono a morte.
Elie Cottet-Dumoulin e Mohn André, miei compagni, intervennero in mia difesa.
Non solo non furono ascoltati, ma vennero condannati a 10 anni ai lavori forzati nel Nord Africa.
Altri si rifiutarono di far parte del plotone di esecuzione.
La mia fucilazione fu il 13 febbraio.
Solo due giorni dopo la sua richiesta di pantaloni di lana rossi.
La moglie venne informata il 18 febbraio mentre era per strada. Un dolore indescrivibile.
Non solo per la perdita del marito, ma per le angherie della gente che dovette sopportare da quel giorno.
La vedova di un traditore non meritava aiuti o solidarietà. Solo ribrezzo per un marito che si era rifiutato di combattere.
Inoltre le vedove dei traditori non avevano diritto alla pensione di guerra.
Per questo fu costretta a fare anche i lavori più umili, come la lavandaia.
Ma solo e sempre di notte, per non dover subire le ingiurie della gente.
Ogni volta che la moglie chiedeva di poter avere il corpo del marito, per dargli degna sepoltura, l'esercito opponeva rifiuti di ogni genere.
Questo, fino al 12 luglio 1922.
Dopo la guerra grazie ad una campagna avviata dal giornale “Germinal” e grazie al ricorso di un giovane avvocato, si arriverà ad una revisione del processo e alla completa riabilitazione di Lucien Bersot. Riconosciuto vittima di una palese e grave ingiustizia.
Condannato a morte per un crimine non previsto dai tribunali speciali.
Inoltre fu trovata un’altra gravissima irregolarità.
Il colonnello Auroux aveva voluto presiedere il Consiglio di Guerra, svolgendo così contemporaneamente il ruolo di accusatore e di magistrato giudicante.
Insomma, Lucien Bersot era morto per il capriccio del suo comandante.
La moglie riuscirà ad avere il corpo di suo marito solo nel 1924. E anche la pensione di guerra.
Lucien è sepolto nel cimitero di Besançon.
Il colonnello Auroux non subì alcuna conseguenza giudiziaria.
Una divisa francese, più adatta ai combattimenti sia nel colore che nella resistenza alle intemperie verrà approvata nel 1915 su disegno dello stilista Paul Poiret. Una divisa di colore grigio-blu (bleu horizon).
Adottata da tutti i soldati francesi solo nel 1916.
La Prima guerra mondiale. Una guerra assurda.
Lucien Bersot fu uno dei seicento soldati francesi “fucilati come esempio”.
Una formula adottata dai tribunali speciali di tutti i Paesi. Compresa l’Italia.
Come per gli otto soldati italiani, appena arrivati sul fronte del Pasubio
Fucilati per “abbandono di posto dinanzi al nemico”.
Loro, otto soldati, otto meridionali, erano stati inviati in un paese vicino.
Non conoscevano la zona, le strade, i sentieri.
Era notte. E si erano persi.
Fucilati, perché si erano semplicemente persi.

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Jan 20
Quel film con me protagonista ebbe un successo incredibile.
Era il 1985 e fu il primo film ad essere programmato in più di 2.000 sale cinematografiche statunitensi.
Il presidente degli Stati Uniti d'America Ronald Reagan mi lodò come un simbolo dell'esercito americano.
La trama.
Ero ai lavori forzati, a spaccare pietre in un penitenziario di Washington, quando arrivò il Colonnello Trautman a propormi la libertà.
In cambio dovevo tornare in Vietnam per una nuova missione. Liberare alcuni prigionieri statunitensi.
E così avevo fatto.
Ma era solo un film. Precisamente Rambo II.
E il Presidente Ronald Reagan volle eleggermi come possibile eroe nazionale.
«Così sapremo chi chiamare quando ce ne sarà bisogno».
Già.
Non era bastato subire una sonora sconfitta militare. Image
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Jan 18
Per noi piloti inglesi della RAF furono un vero e proprio tormento. Nemmeno i tedeschi riuscirono a crearci così tanti problemi.
Tutto ad un tratto i nostri apparati di navigazione smettevano di funzionare, le bussole impazzivano e governare l’aereo diventava difficile.
Le prime avvisaglie si erano palesate già nel 1917.
Lo aveva scritto il quotidiano britannico The Spectator.
Sia la Royal Naval Air Service che l’anno successivo la Royal Air Force avevano subito i loro sabotaggi.
Non bastavano le tensioni della guerra aerea cui eravamo sottoposti.
Ogni volta che ci alzavamo in volo la preoccupazione per un eventuale loro intervento rendeva difficile l’espletamento del nostro lavoro.
Erano un pericolo continuo.
Read 18 tweets
Jan 17
Erano membri di una piccola comunità religiosa cristiana, ma in Iran quella è una religione considerata impura, e così erano fuggiti da quel Paese.
Lui, la moglie e le loro due bambine di 7 e 11 anni.
Destinazione Australia.
Erano finiti in quel deserto, precisamente nel centro di detenzione per migranti di Woomera.
Sì, proprio quella, la Zona Proibita.
Grande come l’Inghilterra, dove si erano svolti tra il 1955 e il 1963 dei test nucleari condotti proprio dal Regno Unito.
Gli aborigeni che abitavano quella zona?
Presi di peso e trasferiti in altre regioni.
Comunque loro quattro erano scappati da un inferno, l'Iran, ed erano finiti in un altro inferno.
Forse peggiore.
Un centro per rifugiati gestito da una compagnia privata.
Read 25 tweets
Jan 15
Una poesia di Gianni Rodari recita: “Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra.” Come dargli torto. Credo che nella guerra l’essere umano dia il peggio di sé.
In alcuni casi, andando oltre.
Lo chiamano “fuoco amico”.
Che poi di amico non ha proprio un bel niente.
E’ solo la dimostrazione, quando non è malasorte, di quanto l’intelligenza umana sia limitata.
Uccidere migliaia di persone “amiche” per negligenza o stupidità, quasi sempre restando impuniti.
Chi non ricorda la battaglia di Verdun.
La Prima Guerra mondiale aveva visto l’utilizzo di “armi chimiche” o gas asfissianti come venivano chiamati. Ma erano anche lacrimogeni, urticanti e velenosi.
Ne avevano paura tutti.
Anche quelli che li utilizzavano.
Read 25 tweets
Jan 14
Ci mancava pure il film. Con tutti quegli Oscar poi.
Lo so che su Wikipedia è scritto chiaro “il film è tratto dall'omonima opera teatrale…”, ma sapete quanta gente pensa sia un film storico? Ma dai.
Dovevate scriverlo a chiare lettere: OPERA DI FANTASIA.
Tutta colpa di quel russo, Aleksandr Sergeevič Puškin, e del suo microdramma.
Da lì la pièce teatrale in due atti scritta da Peter Shaffer.
E ora questo film.
Tutto per cercare di convincere la gente che io quello lo odiavo. Tanto da ucciderlo.
Io provare invidia per quello? Ma quando mai.
Ero uno dei musicisti più importanti di tutta Europa. Quale autore scelse l’imperatrice Maria Teresa D’Austria per l’inaugurazione del Nuovo Regio Ducal Teatro nel 1778?
Il sottoscritto.
Con l'opera lirica "L'Europa riconosciuta"
Read 16 tweets
Jan 13
"Hominem te esse memento" continua a ripetergli l’auriga dietro di lui.
“Ricordati che sei solo un uomo”.
Strani questi Romani.
Forse per evitare che l’Imperatore Aureliano, mentre viene acclamato dalla folla romana, si monti troppo la testa nella gloria di questo momento.
Grazie Johannes per avermi dato la parola.
Per raccontare, in questo momento particolare, quello che sono stata. Un consiglio prima.
Oggi voi non avete l’auriga, ma un naso da pagliaccio in tasca farebbe comodo a qualcuno di voi.
Quando uno comincia a montarsi la testa...
Detto ciò, Roma è in festa. Ci sono tutti, popolani e patrizi ad assistere al trionfo dell’Imperatore Aureliano sul suo carro imperiale per la via Sacra di Roma.
Ma tutti guardano me, e le catene d’oro che mi trattengono.
Non ho mai abbassato lo sguardo, neppure per un attimo.
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