Una nuova tecnica consente la profilazione molecolare dei tipi cellulari nel sistema vascolare cerebrale e amplia e arricchisce la comprensione della fisiopatologia del morbo di Alzheimer.
La salute vascolare è fondamentale per il normale funzionamento della barriera ematoencefalica e del cervello stesso. Nonostante la sua importanza, è mancata una mappa molecolare dettagliata della vascolarizzazione del cervello umano.
Si è quindi sviluppato un metodo per isolare e sequenziare i trascrittomi di numerosi tipi cellulari nel sistema vascolare cerebrale per profilare campioni post mortem di ippocampo e corteccia di 9 persone con malattia di Alzheimer e 8 persone senza deterioramento cognitivo.
Precedenti studi di associazione sull'intero genoma hanno collegato l'espressione di alcuni geni a un aumentato rischio di AD. In tale studio si è scoperto che 30 dei primi 45 geni di questo tipo sono espressi nel sistema vascolare del cervello umano.
Oltre alla microglia, anche altri tipi di cellule vascolari e perivascolari possono esprimere tali geni. Ma perché vengono studiati questi vasi sanguigni? Per decenni gli scienziati hanno riconosciuto che il cervello delle persone che muoiono a causa del morbo...
..mostra gravi danni alla rete di vasi sanguigni che alimenta il cervello. Alcuni hanno anche ipotizzato che l'insufficienza vascolare legata all'età potrebbe contribuire a malattie neurodegenerative.
Questo nuovo studio, basato su una nuova tecnica, ha permesso di rivelare che ben due terzi dei fattori di rischio genetici più comuni per la malattia di Alzheimer sono espressi da queste cellule vascolari associate.
Inoltre, alcuni di questi fattori di rischio sono stati osservati solo nelle cellule vascolari umane e non nei modelli animali di neurodegenerazione. Vi starete chiedendo a che serve esaminare il ruolo della vascolarizzazione cerebrale in questi casi.
Da un po' di tempo si è notato che quando osserviamo il cervello di topi anziani e ancor di più negli esseri umani, ci sono molti cambiamenti molecolari e cellulari nella vascolarizzazione cerebrale, ma questi non sono stati realmente caratterizzati.
Le persone che bevono troppo alcol hanno alterazioni della struttura e delle dimensioni del cervello associate a disturbi cognitivi. Ma, secondo un nuovo studio, anche un consumo modesto (poche birre o bicchieri di vino a settimana) può comportare rischi per il cervello.
Uno studio e analisi dei dati di oltre 36.000 soggetti, guidata da un team di scienziati dell'Università della Pennsylvania, ha rivelato che il consumo di alcol (da leggero a moderato) era associato a riduzioni del volume cerebrale generale.
Ovviamente il legame è diventato più forte quanto maggiore è il livello di consumo di alcol. Ad esempio, nei cinquantenni quando il consumo medio tra gli individui aumenta da un'unità di alcol (circa mezza birra) al giorno a due unità (un bicchiere di vino)..
Ogni singola segnalazione non è un evento avverso da vaccino. Si tratta, in primis, di un nesso temporale e si dovrà poi verificare la possibilità che vi sia un nesso causale con la vaccinazione. Sono due cose distinte.
Un allegato che gira in rete contiene, secondo molti, i dati delle "reazioni avverse" rilasciati da presunti "hacker". L'allegato in questione riporta, invece, i dati di farmacovigilanza, ciò che un soggetto (vaccinato) riporta ai medici.
Chiunque può effettuare una segnalazione e infatti i dati possono essere "inquinati" da segnalazioni false. Ecco perché i database di sorveglianza dichiarano che gli eventi avversi non si possono considerare, di per sé, dovuti ai vaccini.
#Cobicistat, un farmaco utilizzato nel trattamento contro HIV, potrebbe essere efficace nella lotta a Sars-Cov-2. Questo è il risultato di uno studio (specifico che è uno studio in vitro e in un modello animale) pubblicato su mBio dell'American Society of Microbiology.
Come agisce Cobicistat? Blocca la fusione del virus nella cellula bersaglio, bloccando la corretta formazione della Spike. Su un modello animale di criceto, il farmaco si è dimostrato in grado di attenuare la progressione della malattia potenziando l'effetto del remdesivir.
La Spike deve essere "processata" (attivata) per poter agire come chiave. Si ha l'attivazione di due subunitá (S1 e S2) che permettono al virus di entrare all'interno della cellula. Come? La S1 contiene il Receptor Binding Domain che riconosce l'enzima di conversione dell'hACE2.
Il caffè è una bevanda che può influire enormemente sulle performance mentali (concentrazione, risveglio, memoria ecc) ma solo recentemente sono stati analizzati gli effetti che un suo consumo moderato può causare sulle connessioni cerebrali.
Il team di scienziati della School of Medicine di Minho, grazie all’utilizzo della risonanza magnetica funzionale (fMRI), hanno confrontato le connessioni e la struttura cerebrale di 31 consumatori abituali di caffè e di 24 persone che non lo bevono, in tre situazioni.
Mentre erano a riposo (senza aver assunto caffeina), durante l’esecuzione di un compito mentale e subito dopo aver sorseggiato una tazza di caffè. I risultati hanno evidenziato come alcune aree cerebrali risultassero più efficienti nei bevitori di caffè.
Un'infiammazione acuta del cervello induce molteplici conseguenze cerebrali ma non altera il meccanismo di accumulo della proteina amiloide, implicata nella malattia di Alzheimer. Lo dimostra, per la prima volta, uno studio.
Attraverso lo studio di numerosi marcatori di infiammazione e amiloide, la ricerca mirava a valutare l'impatto di un'infiammazione acuta nell'indurre un accumulo di amiloide. I pazienti sono stati sottoposti ad analisi del liquido cerebrospinale per iter diagnostico di encefalite
Si pensava che le persone si ammalano di Alzheimer perché hanno una intensa infiammazione sistemica e lo studio dimostra che, in realtà, non è così. Se fosse vero, dovremo trovare nelle persone che hanno un'infiammazione un'alterazione del livello di amiloide.
Spudoratamente falso. La protezione "migliore" è quella ibrida, ovvero infezione + richiamo vaccinale ma l'infezione naturale è sconsigliata per i rischi associati e per la risposta immunitaria "eterogenea".
Incontrando il virus "per intero", l'organismo produrrà anticorpi diretti contro tutte le proteine che costituiscono il virus, quindi anche contro quelle proteine che non hanno alcun ruolo nel meccanismo di infezione e attacco del virus.
Si forma, in parole povere, un cocktail di anticorpi (alcuni neutralizzanti e altri no) e questo dipende da molteplici aspetti. Bisogna ribadire che l'infezione da Sars-Cov-2, in alcuni individui, può ridurre la risposta immunitaria innata.