Ho raccontato la battaglia di Mosca.
E il dramma dei bambini durante una guerra.
In un passaggio ho accennato al Generale Panfilov e al sacrificio di molti suoi uomini.
Esiste un’altra storia che riguarda quel giorno.
E quel generale.
Una storia, tutta da raccontare
E’ il 7 novembre 1941.
Mentre a Mosca i soldati sfilano in parata per ordine di Stalin, i panzer tedeschi stanno avanzando.
La loro marcia verso Mosca sembra inarrestabile. La Wehrmacht è ormai a soli 100 chilometri dalla città. Solo un miracolo la può salvare.
Nel discorso del 7 novembre Stalin aveva invocato gli eroi che avevano respinto i tartari, i polacchi e Napoleone.
Aleksandr Jaroslavič Nevskij, Dmitry Ivanovich Donskoy, Dmitrij Požarskij e Kuz'ma Minin.
E poi Suvorov e Kutuzov.
Stalin dava voce all’antica Madre Russia
Una parentesi.
E' capitato in questi giorni di sentire alcuni commentatori ed “esperti” dire: ”dobbiamo ricordare che la Russia nella seconda guerra mondiale…” Ricordiamoci che tutti i russi hanno avuto un nonno morto durante la seconda guerra mondiale” ecc. ecc.
Ora.
E’ pur vero che nel famoso discorso alla radio di Londra del 1° ottobre 1939, pure Churchill aveva usato il termine “Russia” per descrivere l’Unione Sovietica. Un discorso che conteneva passaggi importanti sui rapporti tra l'Inghilterra e quella che lui chiamava Russia.
“E’ un rompicapo avvolto in un mistero all’interno di un enigma. La Russia ha perseguito una fredda politica di interessi. Noi avremmo desiderato che gli eserciti russi fossero sulla loro linea attuale come amici e alleati della Polonia, invece che come invasori”.
Ma Churchill lo possiamo giustificare, essendo cresciuto ai tempi della Russia imperiale.
Era sempre stato abituato a chiamare “Russia” l’Unione Sovietica.
Oggi non si può sentire da commentatori o peggio da “esperti”.
La Russia rappresentava la parte più consistente, è vero.
Ma parlare di Russia oggi per definire l’Unione Sovietica di quel periodo è fuorviante.
Significa fare un torto alle 2 repubbliche sovietiche testimoni della maggior parte dei combattimenti sul fronte orientale: l’Ucraina e la Bielorussia (che perse il 25% della popolazione).
Detto questo torniamo alla nostra storia.
Panfilov aveva formato la 316a divisione di fanteria il 14 luglio 1941. Erano tutti coscritti e volontari.
Tra loro i russi erano 4.500, i kazaki 3.500, gli ucraini 2.000. Il 6 ottobre caricati su treni militari e trasferiti a Mosca.
Il 16 novembre 1941 i tedeschi avevano occupato Dubosekovo, ma avevano trovato sulla loro strada proprio la 316a divisione di fanteria del Generale Panfilov.
Di fronte a forze nemiche nettamente superiori i suoi uomini mostrarono un eroismo incredibile.
In quello scontro, come detto, con forze nemiche nettamente superiori, alcuni uomini di Panfilov misero in atto l’impresa più eroica della seconda guerra mondiale.
Fu all'incrocio di Dubosekovo, che da allora divenne noto per “l'impresa dei 28 eroi di Panfilov”.
Quello che accadde lo sappiamo grazie a Vasili Koroteev, un reporter di guerra del giornale dell’Armata Rossa, Krasnaia Zvezda.
Fu lui a raccontare quello che avvenne quel 16 novembre quando un gruppo di soldati sovietici si trovò di fronte 54 carri armati tedeschi.
28 soldati sovietici.
Di fronte a loro 54 carri armati tedeschi.
I 28 distrussero 18 carri armati tedeschi e 800 nazisti prima di essere uccisi. Veri eroi.
Stalin li nominò nel 1942 “Eroi dell’Unione Sovietica”, inserendo “i 28 figli coraggiosi” nell’inno municipale di Mosca.
28 figli coraggiosi che finirono in tutti i libri di storia russi. Non solo.
Furono eretti monumenti, come le cinque statue alte 12 metri vicino al luogo dello scontro, nella regione di Mosca, creati parchi in loro onore, come ad Almaty, in Kazakhstan.
Di più.
Nel 2016 è stato proiettato in contemporanea in 123 sale di Mosca il film "I 28 di Panfilov”, l’ultimo di una serie di film patriottici russi.
"Una storia che tutti i giovani russi devono conoscere a memoria".
Oggi in Russia tutti si inchinano al coraggio di quei 28 uomini.
Peccato che sia una storia completamente inventata. E i presupposti di una clamorosa balla furono messi nero su bianco proprio dagli storici sovietici.
Ricordate la 316a divisione di fanteria di Panfilov? Diecimila uomini che si scontrarono con la 2a Divisione Panzer tedesca?
In quella circostanza gli uomini di Panfilov non riuscirono ad assicurare nessuna vera difesa a protezione di Mosca.
Non ci fu nessun eroismo da parte di 28 soldati sovietici.
Tutti i carri armati tedeschi (si dice, meno 1, forse 2) proseguirono indisturbati verso la capitale.
Una storia quindi, frutto solo della fantasia di quel Vasili Koroteev, reporter di guerra del giornale dell’Armata Rossa, Krasnaia Zvezda.
Fu il procuratore capo militare Nikolai Afanasiev nel 1948 a stabilire con certezza che l’evento non era mai avvenuto.
Ritrovando persino due dei “28 coraggiosi” caduti. Che erano ancora vivi.
Il primo, Danil Kuzhubergenov, fu condannato per simulazione e codardia come traditore della patria (dopo aver firmato una confessione dove sosteneva di non essere mai stato nell’area dello scontro).
Il secondo, Ivan Dobrobabin, tornò alla sua città natale in Kirghizistan nel 1944 e trovò un monumento che lo commemorava come eroe di guerra caduto.
“Accidenti, ma quello sono io”, disse.
Fu subito arrestato e mandato in un gulag per 15 anni.
Insomma. Tutto inventato. Probabilmente il cronista, dopo la morte del generale Panfilov avvenuta il 18 novembre (colpito da una scheggia di una mina di mortaio tedesca), aveva pensato bene di confezionare una leggenda per sollevare gli animi nel momento più duro dell’assedio.
Diciamo che i tedeschi furono veramente fermati ma, più che dal generale Ivan Vasilyevic Panfilov, dal Generale Inverno.
E la storia inventata?
Nel 2015 anche il direttore dell'archivio di stato Sergei Mironenko dichiarò pubblicamente che la storia era inventata.
Gli rispose il ministro della Cultura Medinsky.
“È mia profonda convinzione che anche se questa storia è stata inventata dall'inizio alla fine ..., è una leggenda sacra che è semplicemente impossibile infangare. E le persone che cercano di farlo sono dei veri idioti".
Già.
Perché la propaganda ha sempre bisogno di eroi.
Falsi o veri che siano non ha nessuna importanza.
In fondo, come diceva Joseph Goebbels, Ministro del Reich per l'Istruzione pubblica e la Propaganda: “La propaganda è un'arte, non importa se questa racconti la verità”.

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Mar 8
Sono arrabbiata, è vero.
Ma non per il pari merito che hanno decretato i giudici. Quella è solo un’ingiustizia.
E’ già successo nella gara precedente, quando i giudici mi hanno fatto perdere alla trave l’ennesima medaglia d’oro.
Troppe le pressioni per favorire le sovietiche.
Sono arrabbiata per ben altro.
Qualcosa di molto più profondo e importante, che tocca profondamente il mio cuore.
Mio e di tutto il mio popolo.
Non ce l’ho con lei, la sovietica Larisa Petrik che è con me sul gradino più alto del podio.
Sarà un piccolo gesto, ma lo devo fare. Image
Mi chiamo Vera e sono nata a Praga durante la guerra, esattamente il 3 Maggio 1942.
Avevo 14 anni quando mi appassionai alla ginnastica artistica.
A 16 avevo già vinto il mio primo argento ai mondiali.
E da quel giorno non mi fermai più, medaglia dopo medaglia.
Read 20 tweets
Mar 8
Non potevo mancare. Come al funerale di tuo marito. Sapevi che solo le formiche e gli uomini seppelliscono i loro morti?
Non ho nemmeno ascoltato le parole di conforto, in fondo non era solo il tuo funerale.
Era anche il mio.
Ricordando la prima volta che ti avevo incontrata.
Ero rimasto incantato davanti a quel manifesto che reclamizzava la tua tournée.
Eri proprio tu. Ed era prevista una tappa anche ad Amburgo, la mia città.
Finalmente avrei potuto ascoltarti.
Ascoltare Clara. L’idolo della mia giovinezza.
La pianista più ammirata in Europa.
Ed ero presente in quella sala gremita.
Ti confesso che non ricordo nemmeno quello hai suonato. Ero come in estasi.
Le tue mani su quella tastiera del pianoforte creavano una musica celestiale.
Non mi conoscevi ancora, ma immaginai che tu stessi suonando per me. Image
Read 25 tweets
Mar 8
Lo so, ho letto che qualcuno si diverte a fare una specie di classifica di chi meglio ha rappresentato un’arte come la pittura. Da Leonardo da Vinci a Michelangelo Buonarroti, da Vincent Van Gogh a Pablo Picasso.
E poi ancora. Rembrandt, Monet, Dalì, Cezanne, Goya e Renoir. ImageImage
Strano, nessuna donna.
E se vi chiedessi di elencare delle donne italiane che hanno lasciato un segno indelebile come pittrici? Tranquilli. Le pittrici non abbondano nemmeno nei libri di storia dell’arte.
Tempo fa Johannes vi ha raccontato di Artemisia Gentileschi. Una grande. Image
Ma prima di lei c’è stata una donna che è riuscita a fare la stessa carriera in quel mondo esclusivamente maschile. Di più.
Una donna che è riuscita a coniugare la sua carriera di artista con il suo ruolo di donna e madre.
Il suo nome? Lavinia Fontana.
Che poi sarei io. Image
Read 14 tweets
Mar 8
Allo scoppio della seconda guerra mondiale mi diagnosticarono un’artrosi all’anca.
Per il progressivo peggioramento della mia malattia trascorsi tutto il periodo della guerra a Parigi, chiusa nel mio appartamento, al Palais-Royal.
Senza mai smettere di scrivere.
Ho trascorso anni inchiodata dall’artrite su una poltrona speciale che mi faceva anche da letto e che mi permetteva di scrivere e leggere fino a tarda ora addormentandomi spesso sulla pagina.
"Era come una bambina. Le bimbe non dovrebbero morire” scriveranno dopo la mia morte. Image
Vero. Avevo trovato il segreto dell’eterna giovinezza che mi aveva portato alla ribalta del successo.
Bambina, fino alle 20.30 di oggi 3 agosto 1954.
Addormentata per sempre, rovesciata sui cuscini del grande letto stringendo la mano a Maurice, mio marito. Accanto al mio gatto. Image
Read 13 tweets
Mar 6
Ieri ho raccontato la prima parte dell'attacco a Mosca iniziato il 30 settembre 1941 da parte delle truppe tedesche. (Leggete qui bit.ly/3Ciwv4r ).
I bambini furono i primi ad essere allontanati.
Seguirono le opere d’arte.
A Mosca sono pronti a resistere.
Il 26 ottobre un telegramma avvisò i tedeschi che stava per arrivare Mussolini in visita alla periferia di Mosca.
Lo aspetteranno invano.
Von Bock riprese l’offensiva il 1° novembre.
Voleva entrare a Mosca il 7 novembre.
Ma il 30 ottobre le condizioni meteo peggiorarono.
Von Bock ancora non sapeva che l’Alto Comando nazista aveva dato ordine alla Seconda Armata di piegare verso destra. Direzione Voronez.
Tanto non l’avrebbe capito.
Disponeva di 1.500.000 uomini e di 1.000 carri armati. Tanto bastava.
Read 25 tweets
Mar 5
Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali indipendenti russi, ha pubblicato le foto di alcuni bambini in una stazione di polizia a Mosca.
Ha scritto che erano lì in quanto i genitori sono stati arrestati per aver deposto fiori davanti all'ambasciata ucraina.
Bambini. Mosca.
Subito rilasciati, ha scritto lo stesso giornale.
Come se cambiasse qualcosa.

Bambini. Kiev.
E il pensiero va a quei bambini che stanno soffrendo per la guerra. Per loro una catastrofe immane.
Solo perché qualcuno non ha imparato niente dalla storia
Niente.
Era stato il sindaco della città, Vassilij Pronin, a dare l’ordine.
Un ordine che spezzò il cuore alle famiglie.
Tutti i bambini dovevano essere consegnati alle autorità per poterli trasferire a oriente.
I bambini erano il futuro della Russia.
Avevano la precedenza su tutti.
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