Novaya Gazeta, uno dei pochi giornali indipendenti russi, ha pubblicato le foto di alcuni bambini in una stazione di polizia a Mosca.
Ha scritto che erano lì in quanto i genitori sono stati arrestati per aver deposto fiori davanti all'ambasciata ucraina.
Bambini. Mosca.
Subito rilasciati, ha scritto lo stesso giornale.
Come se cambiasse qualcosa.

Bambini. Kiev.
E il pensiero va a quei bambini che stanno soffrendo per la guerra. Per loro una catastrofe immane.
Solo perché qualcuno non ha imparato niente dalla storia
Niente.
Era stato il sindaco della città, Vassilij Pronin, a dare l’ordine.
Un ordine che spezzò il cuore alle famiglie.
Tutti i bambini dovevano essere consegnati alle autorità per poterli trasferire a oriente.
I bambini erano il futuro della Russia.
Avevano la precedenza su tutti.
E così decine di migliaia di bambini erano stati strappati dalle braccia dei loro genitori e caricati su treni merci diretti a est.
In quell’anno, il 1941, Mosca aveva quattro milioni di abitanti.
Era estate, anche se a giugno era caduto ancora qualche fiocco di neve.
I tedeschi sembravano già inarrestabili.
Avevano superato il Dniepr.
Si preparavano a combattere tra Vyazma e Bryansk. Le mura del Cremlino non erano poi così lontane.
Per quello era stato dato l’ordine di evacuare tutti i bambini.
Uno strazio per le famiglie.
I genitori avevano portato i loro bambini nel quartiere di Lefortovo.
Lì si trovavano le stazioni di Kazanskij e di Kursky.
Ad attenderli non c’erano solo funzionari del partito, ma anche medici e assistenti.
Vennero formati piccoli gruppi e poi, caricati sui treni.
Una volta sui treni la partenza verso est.
Con calma, molta calma. Piano, molto piano.
Venti, se andava bene solo trenta chilometri al giorno.
E poi soste infinite per recuperare un po’ di acqua calda dai pentoloni che si trovavano nelle stazioni, per farne delle bevande calde.
Alcuni treni diretti a Tambov impiegarono anche quindici giorni per coprire i 470 chilometri che li separavano dalla capitale.
Alcuni treni non arrivarono mai a destinazione, colpiti dall’aviazione tedesca che li scambiava per tradotte militari.
Nessun bambino portava al collo il nome dei suoi genitori.
Non c’era stato il tempo.
Erano sì in una lista affidata al capotreno, ma spesso la locomotiva veniva colpita e quei documenti andavano perduti.
In quel caso nessuno poteva risalire ai genitori di quei poveri bambini.
Molti erano piccolissimi.
Riuscivano a malapena a dire il loro nome.
E quando qualcuno, all’arrivo, chiese loro qualcosa dei genitori o dove abitavano le risposte erano solo: “la mamma è bionda”.
"Mio papà mi fa sempre giocare in braccio”.
Solo lacrime. Niente di più.
L’ordine di Stalin era stato perentorio.“Compagni, fratelli, sorelle, amici! Questa è una guerra totale. Non dobbiamo lasciare al nemico che terra bruciata!”
E così era stato. I contadini iniziarono a spostarsi a est con le loro mucche. Niente doveva essere lasciato all'invasore
Dopo i bambini iniziarono a essere trasferite le opere d’arte.
Partì tutta la collezione della Galleria Tret'jakov, le opere del Museo di Storia, del museo di pitture moderne.
E poi i volumi più preziosi delle Università.
Gli spartiti, e gli strumenti del Conservatorio.
Poi si cominciò a mimetizzare la città. I tetti e le facciate dei palazzi furono verniciati con colori mimetici. Il lastricato delle piazze dipinto in modo che sembrassero tetti con tegole rosse. Dall’alto gli aerei tedeschi quello vedevano. La Moscova ricoperta di assi di legno.
I tedeschi stavano avanzando e Mosca si svuotò.
Due terzi dei suoi abitanti lasciarono la città.
Portandosi dietro tutte le loro cose?
No. Chiusero semplicemente la porta, con pochissime cose e un po’ di cibo, si diressero verso la stazione di Kazanskij.
Anche le fabbriche non dovevano essere prese dai tedeschi.
Furono letteralmente smontate dagli operai e reinsediate negli Urali, nel bacino del Volga e in Siberia.
Per poter riprendere da subito la produzione furono 498 le fabbriche smontate e reinsediate più a est.
In totale furono 210.000 gli operai che su 71.000 vagoni merci seguirono gli impianti.
Il 19 settembre il comandante tedesco von Rundstedt aveva portato l’armata sud ad accerchiare le cinque armate del generale Budënnyj, occupando Kiev e presentandosi alle porte di Char'kov.
Il 2 ottobre le truppe Hitleriane del centro iniziarono l’offensiva.
Una dopo l’altra tutte le città sulla strada per Mosca caddero nelle mani tedesche.
A Mosca nemmeno se ne accorsero.
Che i tedeschi fossero ormai arrivati a soli 100 chilometri dalla città, intendo.
Nel frattempo, il comando supremo Superiore Sovietico composto da Stalin, Molotov, Voroshilov, Budyonny e Zhukov, aveva fatto partire con un treno, destinazione una miniera negli Urali, tutti i documenti più importanti della Difesa.
Non solo.
Alla stazione di Kazanskij era arrivato, scortatissimo, un carico prezioso, che venne caricato su un treno blindato.
Era l’oro della Banca di Stato e tutte le decorazioni più preziose.
Poi toccò al personale dei ministeri partire, insieme al nucleo centrale della polizia.
A Mosca rimasero solo gli uomini e le donne indispensabili. Oltre ai profughi che arrivavano in città. E naturalmente i soldati.
Operai cominciarono a portare nei punti strategici centinaia di rotaie.
Tagliate, venivano poi saldate, contro l’avanzare dei carri armati tedeschi.
Per sbarrare il cammino ai panzer tedeschi, le donne iniziarono a scavare degli enormi fossati.
Cominciava a fare freddo e la terra era durissima. Affondare la pala nel terreno non era per niente facile. Ma doveva esser fatto.
Quattro le linee difensive.
“Mosca è in pericolo imminente” disse il segretario dei Soviet di Mosca ai presenti ad una della ormai consuete riunioni.
Come a Leningrado il cibo era razionato.
Di carne ce n’era pochissima.
E allora si mangiava polvere di uova e pesciolini salati.
Dalla “Tana del lupo” di Rastenburg fu inviata una domanda al generale tedesco Von Bock.
“Quando Hitler potrà entrare trionfalmente a Mosca?”.
La risposta di Von Bock fu alquanto evasiva.
Il tempo stata peggiorando. L’inverno era alle porte.
Le strade via via si trasformarono in un mare di fango. Mentre i sovietici continuavano a far saltare i ponti intorno a Mosca, i carri armati, i cavalli e i soldati tedeschi affondavano come nelle sabbie mobili.
Hitler era impaziente.
Molto impaziente.
E questa è la prima parte della difesa di Mosca.
I bambini sono stati i primi a lasciare la città.
Non sanno se potranno mai ricongiungersi ai loro genitori. Chi è rimasto a Mosca è pronto a difenderla.
A qualunque costo.
Come farebbe chiunque con la propria città.
A domani

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Mar 7
Ho raccontato la battaglia di Mosca.
E il dramma dei bambini durante una guerra.
In un passaggio ho accennato al Generale Panfilov e al sacrificio di molti suoi uomini.
Esiste un’altra storia che riguarda quel giorno.
E quel generale.
Una storia, tutta da raccontare ImageImage
E’ il 7 novembre 1941.
Mentre a Mosca i soldati sfilano in parata per ordine di Stalin, i panzer tedeschi stanno avanzando.
La loro marcia verso Mosca sembra inarrestabile. La Wehrmacht è ormai a soli 100 chilometri dalla città. Solo un miracolo la può salvare.
Nel discorso del 7 novembre Stalin aveva invocato gli eroi che avevano respinto i tartari, i polacchi e Napoleone.
Aleksandr Jaroslavič Nevskij, Dmitry Ivanovich Donskoy, Dmitrij Požarskij e Kuz'ma Minin.
E poi Suvorov e Kutuzov.
Stalin dava voce all’antica Madre Russia Image
Read 24 tweets
Mar 6
Ieri ho raccontato la prima parte dell'attacco a Mosca iniziato il 30 settembre 1941 da parte delle truppe tedesche. (Leggete qui bit.ly/3Ciwv4r ).
I bambini furono i primi ad essere allontanati.
Seguirono le opere d’arte.
A Mosca sono pronti a resistere. Image
Il 26 ottobre un telegramma avvisò i tedeschi che stava per arrivare Mussolini in visita alla periferia di Mosca.
Lo aspetteranno invano.
Von Bock riprese l’offensiva il 1° novembre.
Voleva entrare a Mosca il 7 novembre.
Ma il 30 ottobre le condizioni meteo peggiorarono.
Von Bock ancora non sapeva che l’Alto Comando nazista aveva dato ordine alla Seconda Armata di piegare verso destra. Direzione Voronez.
Tanto non l’avrebbe capito.
Disponeva di 1.500.000 uomini e di 1.000 carri armati. Tanto bastava.
Read 25 tweets
Mar 3
Odessa.
“Per me, la Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!” urlò il ragionier Fantozzi.
Urlò Kotiomkin al posto di Potëmkin perché non erano stati concessi i diritti dell’originale.
Così pure per il regista, Sergej M. Ejzenštejn, diventato Sergei M. Einstein.
E così quella frase ha reso cult un film.
Senza nemmeno la necessità di vederlo.
In pratica, uno fra i migliori film del '900 “non visti”.
Eppure è una delle opere più influenti della storia del cinema, presentato la prima volta il 21 dicembre 1925 al teatro Bol'šoj di Mosca.
Read 19 tweets
Mar 1
Questa è la seconda e ultima parte che racconta l’assedio di Leningrado durante la seconda guerra mondiale.
(Leggi qui la prima parte bit.ly/36EFbpM ).
La città è ormai assediata, ma gli abitanti non hanno intenzione di scappare, anzi.
Vogliono resistere.
La situazione alimentare è in mano a un funzionario inviato per l’occasione.
Si chiama Dmitri V. Pavlov.
Si dimostrerà una persona capace nella gestione di quell’emergenza.
Prima del gelo fa raccogliere le patate da tutti i campi sotto il fuoco dell’artiglieria tedesca.
Requisisce malto e avena nelle birrerie.
Fa elaborare dai chimici un impasto di cellulosa da aggiungere al pane.
Il pane è immangiabile, ma quello c’è. Distribuisce e tiene sotto controllo le tessere annonarie.
E intanto arriva il primo inverno, 1941-1942.
E con esso la paura
Read 25 tweets
Feb 28
A San Pietroburgo una nonnina è stata fermata perché aveva un cartello con scritto “No alla guerra”.
Mentre veniva portata via continuava a ripetere: "Ragazzi, sono una sopravvissuta all'assedio (blokada) di Leningrado".

Perché ripeteva quella frase? Quale il significato? Image
L’assedio di Leningrado.
Chissà se quei poliziotti conoscono la storia di quell’assedio.
Lei era solo una bambina, ma magari i suoi genitori facevano parte delle 470.000 persone decorate al valore dopo l'assedio.

Leningrado, il vecchio nome di San Pietroburgo.
Fondata il 27 maggio 1703, quando Pietro il Grande fece iniziare gli scavi della fortezza dei Santi Pietro e Paolo.
Pietro il Grande amava l’Europa tanto da vivere e studiare per un certo tempo sotto mentite spoglie nei Paesi Bassi.
Si innamorò di quei luoghi. Image
Read 25 tweets
Feb 25
La gente non l’aveva presa bene.
Il mio ingaggio, intendo.
Era il 1949 e il Manchester City aveva un problema: sostituire la leggenda Frank Swift che aveva ormai 36 anni.
Avevano pensato a me.
Ero preparato alle proteste.
Le ferite della seconda guerra mondiale ancora aperte.
Quando firmai l’ingaggio la voce si sparse e la comunità ebraica di Manchester diventò furiosa.
I giornali invasi da lettere e telefonate di protesta. “Nazista”, “Criminale di guerra” mi urlavano durante gli allenamenti. Non mi volevano.
In fondo li capivo.
Tutto era cominciato a Brema il 22 ottobre 1923.
Un periodo difficile.
La Germania di Weimar in un’economia depressa, il marco carta straccia e file infinite davanti ai negozi per trovare qualcosa da mangiare.
E’ in quel giorno che sono nato.
Io, Bernhard Carl Trautmann.
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