Su #Stonewall e le rivolte che segnarono per sempre il destino della comunità #LGBTQ+ la storia spesso si confonde con la leggenda. Nessuno sa chi scagliò il primo pugno, ma c’è chi dice sia stata lei, e lei dice di essere stata la prima: Stormé DeLarverie, donna lesbica e nera.
Stormé DeLarverie nacque nel 1920 a New Orleans dalla relazione clandestina tra sua madre, donna afroamericana che lavorava come domestica, e il datore di lavoro, uomo bianco. La sua data di nascita è sconosciuta, ma lei adorava festeggiare il suo compleanno la vigilia di Natale.
Stormé capì di essere lesbica all’età di 18 anni, dopo un’adolescenza difficile in cui alla discriminazione per il colore della pelle si sommava quella per il suo aspetto “androgino”. Dopo il diploma si trasferì a Chicago, e iniziò ad esibirsi come cantante.
Qui incontra l’amore della sua vita, una ballerina di nome Diana, con la quale rivelò di essere stata insieme per circa 25 anni, fino alla morte della danzatrice, negli anni ‘70. Per tutto il resto della sua vita, Stormé non si separò mai da una fotografia della sua amata Diana.
La sua fisicità vigorosa e il suo aspetto mascolino le fecero guadagnare un posto di fiducia nella scorta di alcuni mafiosi di Chicago, che la vollero come bodyguard.
Iniziò anche ad esibirsi come drag king nella Jewel Box Revue, primo spettagolo en travesti dell’Apollo Theatre. Qui sfoggiava baffi e suit su misura, e fu d’esempio e ispirazione a molte altre donne lesbiche dell’epoca, che iniziarono a indossare abiti tradizionalmente maschili.
Si arriva alla notte del 28 Giugno 1969, e qui storia e mito si confondono. Secondo i racconti di chi era presente, Stormé DeLarverie era allo #Stonewall Inn a lavorare come buttafuori quando il raid della polizia iniziò nelle prime ore del mattino.
Stormé fu portata fuori dal bar per essere identificata – una legge americana obbligava le donne a vestire con almeno tre indumenti femminili, il travestitismo era vietato – ma nel tentativo di fare resistenza fu colpita alla testa da un manganello. La ferità inizio a sanguinare.
La folla davanti al locale cominciò a manifestare il proprio disappunto. Stormé guardò la ressa di gente: “perché non fate qualcosa?”, urlò, nel tentativo di incitare a un moto d’orgoglio. Fu allora che la folla esplose in un boato che diede inizio alla rivolta contro la polizia.
È verosimile che questa storia sia realmente accaduta, e la stessa Stormé, negli anni, si è assunta i meriti di aver spinto il popolo di Stonewall a reagire. Tuttavia, è probabile che non ci fu un solo episodio scatenante ma più eventi che, insieme, condussero alla ribellione.
#Stonewall cambiò per sempre Stormé, che in seguito diventò una feroce attivista. Si dotò di un porto d’armi e decise di pattugliare i quartieri intorno ai bar per lesbiche, le “sue bambine”, per fermare la “uglyness” (bruttezza) dell'omofobia contro la sua comunità.
Per Stormé rivendicare la propria identità era stato difficile, e non voleva che nessunə fosse mai discriminatə per questo. Considerava il quartiere come territorio di sua giurisdizione, si aggirava per le strade come una “supereroina lesbica”: androgina, alta, scura, bellissima.
Stormé diventò un punto di riferimento per il #Pride, e continuò a lavorare come buttafuori nei locali di sole donne fino all’età di 85 anni. Continuò ad esibirsi, spesso in occasione di raccolte fondi per donne vittime di abusi. Morì nel sonno, a Brooklyn, il 24 Maggio 2014.
La fierezza con la quale Stormé DeLarverie si è battuta a #Stonewall, e lungo tutta la sua vita, deve ricordarci che quando la “bruttezza” tenta di inquinare la nostra comunità, deve risuonare nel nostro orgoglio quella domanda che ha cambiato tutto:
“Perché non fate qualcosa?”
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Elios, Maudit, Morgana, Camilla, Cloe, Sasha, Naomi, Chiara. E altre due persone, senza neanche un nome.
Sono le dieci vittime di transfobia dell’ultimo anno in Italia. Alcune storie le conosciamo, altre le abbiamo dimenticate, o vorremmo farlo. Io non voglio dimenticarle.
Elios, 15 anni, era una persona non binaria. Amava leggere, soprattutto la mitologia e i grandi classici. Elios non era accettatə dalla madre e dalla scuola. Si è buttatə dal quarto piano di una palazzina, l’anno scorso, ma la notizia è stata diffusa solo lo scorso 17 ottobre.
Maudit, 29 anni, era una persona agender. Si è toltə la vita il 30 marzo scorso. Era unə poeta e si batteva contro lo stigma dell’HIV, gli stereotipi di genere e per la normalizzazione del ciclo mestruale delle persone trans*. Scriveva: “lasceremo che oggi siate voi a guardarlə”.
“A volte mi chiedo: cosa c’è di male? Io mi sento una donna, vorrei truccarmi, vestire al femminile. Vorrei avere più spazio, essere tranquilla… non avere paura. Non so più che fare, mi sento in un labirinto senza uscita.”
Chiara, ragazza trans di 19 anni, si è tolta la vita.
Chiara era una ragazza trans di 19 anni. Il 24 ottobre, a Napoli, si è tolta la vita nella sua stanza, mentre la mamma non era in casa. A darne la notizia, il servizio Gay Help Line (800.713.713), numero verde contro l’omobitransfobia che Chiara aveva già contattato due anni fa.
A un operatore di Gay Help Line, Chiara raccontò la violenza, il bullismo e l’emarginazione che subiva da tempo, dopo aver fatto coming out come ragazza transgender, al punto di dover lasciare la scuola. Chiara, però, continuava a essere offesa per strada, e non accettata a casa.
Lo scorso 5 ottobre, Naomi Cabral è stata ritrovata senza vita in una camera d’albergo ad Ardea (Roma). Oggi, un uomo di 35 anni è stato arrestato con l’accusa di omicidio: avrebbe soffocato la donna.
Naomi, 47 anni di origini argentine, era una donna trans.
Il corpo della donna fu rinvenuto nel pomeriggio dello scorso 5 ottobre da una sua amica, allarmata dal fatto che Naomi non si fosse presentata a un appuntato che le due avevano quel giorno. Naomi era nuda sul letto, la porta della stanza era aperta. Era morta già da qualche ora.
L'evento destò parecchio scalpore nella provincia romana, date le circostanze sospette nelle quali fu rivenuto il corpo. Naomi, poi, non aveva molti amici nella zona: era una donna piuttosto solitaria, sulle sue, in pochi la conoscevano bene. Pare, inoltre, che si prostituisse.
Un’amica, presente alla manifestazione di studenti e studentesse de La #Sapienza, mi manda questi video. Manganellate, colpi violentissimi contro persone disarmate. Lei sta bene. Il ragazzo nell’ultimo video, no.
L’antifascismo non è mai stato un pericolo. Il fascismo, sì.
La settimana scorsa, un ragazzo di 28 anni originario del Pakistan si è tolto la vita all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Gradisca d’Isonzo, un’ora dopo il suo arrivo.
Dal 2019, 5 migranti si sono tolti la vita nella struttura-lager: un campo di morte.
I CPR sono luoghi di trattenimento di stranieri in attesa di espulsione. Sebbene dovrebbero garantite assistenza e dignità, la realtà è altra: i CPR sono luoghi disumani. Quello di Gradisca d'Isonzo, poi, lo è di più: persone costrette in gabbia, tutto il giorno, sempre.
Condizioni brutali: spazi ristretti, condizioni igieniche al limite, cibo di scarsa qualità, poche (inesistenti) ore d'aria. Molte persone trattenute ricorrono all'autolesionismo, pur di attirare l'attenzione e uscire momentaneamente. E, poi, c'è chi decide di togliersi la vita.
Nell’ultimo anno, assieme ad un gruppo di psicologhe e di volontariə, sono stato in alcune scuole medie e superiori della mia città per parlare di comunità #LGBT+ e omotransfobia per il progetto “A scuola per conoscerci”.
Voglio raccontarvi la mia esperienza.
Iniziamo presentandoci: nome, età, pronomi. La psicologa spiega cosa fa parte della nostra identità: sesso, identità e ruolo di genere, orientamento sessuale. Cosa significa fare coming out. Cosa sono il bullismo, l’omofobia, l’isolamento sociale. Che è importante intervenire.
Poi la psicologa fa un passo indietro, la scena diventa mia e dellə altrə volontariə. Rispondiamo alle loro domande, anonime o meno, scritte su un pezzetto di carta o pronunciate a voce alta. È importante che loro sappiano che questo è uno spazio sicuro.