#18luglio#diariodipace. Parole usate senza rendersi conto che fanno la vita e la morte, che fanno la #guerra. Questo è ciò che accade quando “#pace” diventa in modo scellerato “resa”, “filoputinismo”, pace dei “pacifinti”, degli “amici di Putin”. 1/14
Facciamo un esercizio, per una volta. Facciamo che ognuno si tiene le sue idee e ci concentriamo solo sulle parole. Perché a forza di dire che “#pace” è essere dalla “parte di Putin” sta succedendo qualcosa di mai visto prima in tale scala. 2/14
A forza di dire che chi vuole la pace è “amico di Putin” stiamo togliendo inevitabilmente ogni dignità e ogni possibilità alla #pace negoziata. Ma non la stiamo togliendo solo in #Ucraina, anche nel resto del mondo. Perché sul “fare pace” stiamo facendo caos semantico. 3/14
Il papa ha usato una parola precisa “negoziato”, che non è “pacifismo”, non è neanche “pace”, è la chance di aprire un dialogo. Ma poiché negoziare nella polarizzazione di questi tempi, è diventato anche lui “#pace” e dunque “resa”, l’unica possibilità resta la vittoria. 4/14
Le ragioni per cui nei conflitti non si negozia subito (prima o poi lo si fa), sono tante. Una di queste è l’impopolarità. Spesso le prime fasi negoziali sono segrete anche perché inaccettabili. Quando “#pace” o “negoziato” diventano “resa”, li stiamo rendendo impossibili. 5/14
Vorrei che chi usa le parole cosi, chi associa “#pace” all’”amicizia con i tiranni” se ne assumesse anche la responsabilità, quella di rendere inaccettabile agli occhi dell’opinione pubblica qualunque forma di fine della guerra che non prevede ancora più morti. 6/14
La “pace”, da leggere la voce di Norberto Bobbio sulla @Treccani , non è facile da definire ed è molte cose. Di certo la pace non è solo l’assenza di guerra, non è che si ottiene con un accordo e non è assolutamente data con una vittoria militare. La #pace è un processo. 7/14
La “pace” è aspirazione universale a un mondo senza guerra, ma anche sforzo di far finire un singolo conflitto armato, “pacificazione”, che non la fanno neppure sempre i pacifisti obiettori nonviolenti. (Nel mio libro racconto di un soldato che fa #peacemaking ).@peoplepubit 8/14
Ma senza il #pacifismo – che è una cosa concretissima - temo, che nessuna #pace si sarebbe mai fatta, senza la pressione e le soluzioni che viengonk dall’opinione pubblica. Per questo è grave rendere la “pace” una roba da “vili”, da gente che non difende la “libertà” 9/14
“Fare la pace” è un percorso difficile che non è in nessun modo una resa, l’esatto contrario, e non vuole dire cedere all’invasore, o piegarsi a un mondo senza #libertà. La “pace” alla fine è sempre negoziata e quando non lo è, è ancora più raro che duri. 10/14
La #guerra non finisce con una vittoria se non se ne estirpano le cause: la gente continuerà ad odiarsi, ad armarsi e ad uccidersi. Lo dimostra quando è difficile la riconciliazione post conflitto o il disarmo degli ex combattenti. 11/14
L’andamento di una guerra è poi imprevedibile e basta guardare all’Afghanistan per capirlo. Non li avevamo sconfitti i Talebani nel 2001? Talmente vinti che a Bonn a fare la pace neanche li abbiamo fatti sedere.
12/14
Ridurre parole complesse come “pace”, “pacifismo”, “pacificazione”, “negoziato” che richiedono in modi molti diversi competenze, sapere, tecniche, a favolette per utopisti amici degli autocrati è irresponsabile. 13/14
“Fare la pace” è realismo, credere che la “guerra porti la pace”, un’utopia, una cosa ampiamente smentita dalla storia. Ma iniziano con le cose semplici, con un dizionario, con il cercare il significato di quelle parole che usiamo come sinonimi. 14/14
1/17 #5luglio. #Diariodipace.
Il confine si è sbiadito fino a perdersi tra le montagne, ma resta inciso nella pietra, memoria della #ValleStura e di quel sangue che è stato tributo alla frontiera dell’odio.
2/17 Valloriate, Piemonte di Cuneo, si affaccia su un ruscello. Una vecchia casa con il tetto spiovente e ornata da un terrazzo di legno che sembra scricchiolare ad ogni passo, ne sente di certo il gorgoglio: luglio 1893, si legge su una targa di intonaco bianco bordata di rosso.
3/17 Alla fine dell’800, la valle era già stata troppe volte attraversata dal rumore della #guerra, dal passaggio dei soldati, per via di quell’odio che aveva opposto popoli fratelli, l’uno contro l’altro.
L’Italia, quando ancora non era Italia e la Francia, dall’altra parte.
Una serata preziosa. Cosa ha condotto all’epilogo che ha travolto l’#Afghanistan dopo vent’anni di guerra? Dobbiamo rileggere la storia, guardare quella sofferenza e imparare. A #NuoviMondiFestival ho avuto la possibilità di porre questa domanda e molte altre a @pontecorvoste
Un percorso non facile e doloroso, ma necessario,quello del libro “L’ultimo areo da Kabul” di @pontecorvoste e del dialogo di Valloriate, attraverso gli errori commessi da un Occidente che ha sempre guardato con le sue lenti L’ #Afghanistan di storia e cultura profonde, complesse
La storia dell’#Afghanistan insegna molto e la dobbiamo ascoltare per sperare nella #pace lì e altrove.
Insegna, per esempio, che una vittoria militare, anche rapida, non è vittoria a lungo termine e non è necessariamente pace.