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Dec 4, 2022 11 tweets 5 min read Read on X
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Celebrata come vittoria dei manifestanti, raccontata addirittura come inizio della fine della Repubblica Islamica, la propagandata disgregazione della "polizia morale" è invece lo stratagemma tattico con cui il regime tenta di sedare le proteste in #Iran.
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Nella speranza di insinuare dubbi nella classe media, forse addirittura di far cessare il sostegno internazionale alle proteste, nella consapevolezza che i soli giovani non basteranno a scardinare il sistema di potere, #Tehran "vende" ai moderati del Paese la parvenza di un
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risultato: "Accontentatevi", sembra dire, "togliamo di strada gli uccisori di #MahsaAmini. Fine dei giochi, l'#hijab resta".
La scommessa è che gli uomini che da giorni abbassano le saracinesche dei loro negozi, le madri preoccupate di trovarsi a dover piangere la morte dei
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propri figli, come tante altre madri prima di loro, accetteranno il compromesso, cessando i disordini, sconsigliando i più giovani dall'iniziarne di nuovi.
La realtà, per chi ha voglia e pazienza di analizzarla, è dunque un'altra: la Pattuglia Irshad, com'è nota in Iran la
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"polizia morale", viene sciolta - o meglio, sospesa - forse su carta. Restano in vigore gli altri innumerevoli sistemi di controllo della popolazione a disposizione del regime, così com'è probabile verranno rimpinguate le schiere dei pasdaran, proprio utilizzando gli ex
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vigilanti da ricollocare.
Nessun cedimento, allora, al massimo un escamotage che non pregiudica l'intenzione del regime di usare il pugno duro. Presa d'atto della minaccia esistenziale portata nei suoi confronti dai manifestanti, poiché venire a patti sarebbe per Khamenei
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non solo inutile, ma pure dannoso. Chi scende in strada non invoca riforme: chiede il rovesciamento del regime, e non si fermerà fino a quando non lo avrà ottenuto. O fino a quando non avrà perso la propria vita nel perseguimento del proprio obiettivo.
Attenzione però alla
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retorica inversa, quella di chi annuncia un giorno sì e l'altro pure l'imminente fine del regime. Oltre quarant'anni di dittatura sono ruggine difficile da smaltire: non sarà un cavallone ad abbattere il castello di Khamenei, ma soltanto l'alta marea.
Anche qui: la decantata
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rivoluzione non-violenta è utile soltanto ad ottenere cuoricini social. L'eventuale regime change passerebbe attraverso un inevitabile bagno di sangue, per mezzo di qualcosa di molto simile ad una guerra civile. Per arrivarvi occorre probabilmente ancora del tempo.
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Prove generali sono attese a partire da domani: le organizzazioni di quartiere dei giovani iraniani hanno indetto proteste di massa. Se il popolo interpreterà l'annuncio della procura generale sulla polizia morale per quel che è, un pannicello caldo, un inganno, le prossime
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giornate squasseranno l'Iran, aprendo la strada, allora sì, ad una difficile ma possibile rivoluzione.

steadyhq.com/it/dangelodario

Continuerò ad aggiornarvi. Chi ritiene utile il mio lavoro sappia che dalla sua iscrizione passa la sopravvivenza del Blog.
#IranRevoIution

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Mar 31
1/4🚨🇺🇦🇺🇸🇷🇺 "UNA STORIA MAI RACCONTATA"

Un misterioso convoglio senza insegne, in una mattina di primavera apparentemente come tutte le altre, è ora fermo all'angolo di una strada della capitale ucraina. A bordo, due uomini di mezza età, vestiti in abiti civili, vorrebbero non attirare l'attenzione: la loro missione è già iniziata.

Un viaggio segreto: il motore di questa storia. E pure il primo passo dell'incredibile inchiesta di Adam Entous, reporter investigativo del New York Times, per oltre un anno sulle tracce di una "storia mai raccontata".

Oltre 300 interviste, ascoltando funzionari governativi, ufficiali militari, agenti dei servizi di intelligence occidentali: sono gli ingredienti di uno degli articoli più importanti dall'inizio della guerra in Ucraina, gli elementi fondamentali di un racconto denso di retroscena e dietro le quinte inediti, imprescindibile per capire come - e fino a che punto - l'America sia stata coinvolta segretamente nella difesa dall'invasione lanciata da Vladimir Putin.

Quella che segue, è una storia di coraggio e di errori. Di amicizia e fratellanza. Di tradimenti e di rimpianti. È la storia di come la Casa Bianca abbia tentato di salvare Kyiv, probabilmente invano; di come l'Ucraina abbia cercato di difendersi, poi di vincere la guerra, rischiando di perdere tutto ciò per cui ha lottato. È una storia di uomini. Di ucraini, di americani.Image
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🚨🇺🇦🇺🇸🇷🇺 Il viaggio segreto e il generale americano "eroe dei fumetti"

Sulle auto senza insegne che lasciano furtivamente Kyiv, ad un paio di mesi dall'ingresso delle truppe russe nel Paese, un commando britannico armato fino ai denti è incaricato di scortare all'aeroporto polacco di Rzeszów-Jasionka due generali ucraini di alto rango.

Sono loro gli uomini di mezza età vestiti in abiti civili, le piccole storie da cui ha origine una vicenda incredibilmente più grande.

Ad attenderli, sulla pista di decollo, c'è un aereo cargo C-130. Deve trasportarli a Clay Kaserne, quartier generale dell'esercito americano in Europa a Wiesbaden, in Germania. La loro missione? Forgiare uno dei segreti più gelosamente custoditi della guerra in Ucraina.

Il tenente generale ucraino Mykhaylo Zabrodskyi, uno dei due passeggeri, ricorda per filo e per segno il suo primo incontro con il generale americano Christopher T. Donahue, comandante del 18° corpo aviotrasportato. Nel mondo clandestino delle forze speciali, è una specie di celebrità. Al fianco di squdre operative della CIA ha dato la caccia ai capi terroristi più pericolosi fra Iraq, Siria, Libia e Afghanistan. E sì, ha modi schietti, forse perfino rudi, ma è quello che il comandante delle forze americane in Europa, il generale Cavoli, definisce "una sorta di eroe dei fumetti".

Di lui ci si può fidare.

Così il messaggio di Donahue arriva dritto al punto. Squadernate le mappe dell'est e del sud dell'Ucraina sotto assedio, dove le forze russe surclassano quelle di Kyiv, il generale a stelle e strisce chiarisce il suo punto di vista: "Potete urlare ‘Slava Ukraini’ quanto volete con gli altri. A me non importa quanto siete coraggiosi. Guardate i numeri". Non si tratta di una provocazione fine a sé stessa. Piuttosto di una proposta: stabilire una partnership di intelligence, strategia, pianificazione e tecnologia. L'arma segreta dell'amministrazione Biden per salvare l'Ucraina e proteggere l'ordine mondiale minacciato da Vladimir Putin. "Non ti mentirò mai. Se tu mi menti, abbiamo chiuso", dice il generale Donahue al collega ucraino alla fine di quell'incontro. "La penso esattamente allo stesso modo", risponde Zabrodskyi.Image
3/4🚨🇺🇦🇺🇸🇷🇺Tanti, tantissimi, retroscena sul Blog. Questo il sommario:

- Gli ucraini e la diffidenza iniziale verso gli americani.
- Il rapporto difficile fra Milley e Zaluzhny
- Le linee rosse della Casa Bianca: "Non toccate Gerasimov".
- Lo scetticismo di Milley: "Gli ucraini non vinceranno mai".
- "Battete la Russia e vi renderemo pallini blu per sempre": la promessa degli americani.
- Zelensky e il piano cambiato all'ultimo momento in funzione dell'Assemblea generale dell'ONU
- La rivalità fra Zaluzhny e Syrsky: "È un generale russo...".
- La Casa Bianca e la probabilità al 50% di un colpo nucleare.
- Zelensky e il piano alle spalle degli USA.
- Lloyd Austin e la riflessione fra le strade di Kyiv.
- Le ultime lacrime del capo del Pentagono.

Insomma, chi non vuole perdersi questa storia straordinaria, clicchi qui. Stasera fidatevi: ne vale la pena👇

dangelodario.it/2025/03/31/una…Image
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Mar 22
🚨🇺🇸 Questa mattina vi sarà forse capitato di leggere alcune delle dichiarazioni pronunciate da Steve Wiktoff nel programma di Tucker Carlson. Da quel che ho visto in giro, quanto è stato riportato dai nostri media non è in grado di intercettare la portata di questa intervista. Senza esagerazioni: credo si tratti di uno dei colloqui più interessanti - e dal nostro punto di vista preoccupanti - degli ultimi mesi. Per capire è necessario prima comprendere il ruolo di Witkoff, la sua provenienza, il suo background. A questo proposito arrivano in nostro soccorso le parole di David Ignatius, una delle firme di maggior prestigio del Washington Post, non certo un estimatore di Trump. Sul conto di Witkoff, l'editorialista scrive: questo immobiliarista miliardario di New York che ha incontrato Vladimir Putin due volte nelle ultime settimane "non è Henry Kissinger, ma gode di ottimi voti da parte di un ex alto funzionario della sicurezza nazionale USA, che me lo ha descritto come 'un buon negoziatore - esperto, duro, in grado di affrontare chiunque'". La mia sensazione, dopo aver guardato e analizzato 92 minuti di intervista, è che Witkoff sia una persona animata da buone intenzioni, che interpreti il suo ruolo come "inviato di Trump", prim'ancora che come inviato della Casa Bianca, ma che il suo approccio ai problemi del mondo potrebbe causare diversi guai. Non tanto in Medio Oriente, dove la strategia delineata risulta ambiziosa ma possibile da realizzare mescolando fortuna e impegno, quanto in Europa. Dalle parole di Witkoff emerge una visione condizionata da fake news, semplicistica, per certi versi ingenua. Se non si tratta di una tattica negoziale (e onestamente non vedo perché dovrebbe), non credo finirà bene. Seguitemi, c'è tanta carne al fuoco in questo thread.

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🚨🇺🇸 Partiamo dalle basi. Steve Witkoff non nasconde la sua venerazione nei confronti di Donald Trump. È comprensibile: è l'uomo che ha cambiato la sua vita. Witkoff non ha problemi ad ammetterlo: "Ho imparato il mestiere da lui, sono entrato nel settore immobiliare grazie a lui. Volevo essere lui. Tutti volevano essere lui. Facevo l'avvocato, l'ho visto arrivare con questo stile da spadaccino e ho detto: 'Dio, voglio essere lui'. Per me era il Michael Jordan del settore immobiliare".

In più occasioni, durante l'intervista, Witkoff ribadisce il concetto: porto avanti questo approccio in questa determinata area del Pianeta "perché è così che vuole il Presidente, è lui che è stato eletto". Ciò significa esporsi alle critiche, a maggior ragione quando alcune posizioni risultano controverse, in rottura rispetto alla tradizione diplomatica a stelle e strisce: "All'inizio non mi piaceva", ammette Witkoff, "poi una sera ho iniziato a riflettere su ciò che mi disse una persona quando è morto mio figlio, Andrew: 'Niente potrà farti più male di questo'. È un brutto club del quale essere membri. E ho iniziato a fare come il presidente Trump, a non interessarmi di ciò che dice la gente". Perché è importante: perché chiarisce ulteriormente il profilo di negoziatore di Witkoff. Orientato verso il risultato, impermeabile alle critiche esterne, fedele solo al Presidente.Image
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🚨🇺🇸🇮🇱 Adesso i temi principali, presi singolarmente. Si comincia da Israele. È qui che Witkoff ha costruito la fama di "dealer" vincente, che si è guadagnato il diritto di negoziare con Vladimir Putin: lo ha fatto siglando un cessate il fuoco a Gaza, chiudendo un accordo che l'amministrazione Biden non era stata in grado di sigillare fino all'avvento dell'amministrazione Trump.

Soprattutto adesso che nella Striscia sono ripresi i combattimenti, mentre in Libano esiste il rischio di una nuova fase della guerra, Witkoff non si sottrae ad un giudizio sul governo israeliano, ammettendo di non essere sempre d'accordo con l'approccio di Netanyahu, ma riconosce: "Non saremmo stati in grado di ottenere ciò che stiamo ottenendo se Bibi non avesse eliminato Nasrallah, se non avesse decapitato i vertici di Hamas. Si dice che sia più concentrato sui combattimenti che sugli ostaggi. Capisco questa valutazione ma non sono necessariamente d'accordo con essa. Penso che voglia riportare a casa gli ostaggi, se può farlo, ma lui pensa che esercitare pressione su Hamas sia il solo modo per farlo".

La questione che si pone in Israele, quella che assilla una fetta corposa della società israeliana, è ora la seguente: quando finirà tutto questo? Quando saremo liberi di proseguire con le nostre vite senza doverci preoccupare di combattere? La visione di Witkoff è impregnata di ottimismo: "Penso che il Libano possa realmente normalizzare i suoi rapporti con Israele. Intendo con un trattato di pace. Lo stesso Jolani, in Siria, sembra una persona molto diversa da quella che era. Le persone cambiano: io ho 68 anni, non sono la persona che conoscevo 30 anni fa. Immagina se il Libano normalizzasse i rapporti, se la Siria facesse lo stesso e i sauditi firmassero un accordo, condizionato alla fine dei combattimenti a Gaza. Sarebbe epico". L'attualità ci ricorda che raggiungere uno scenario del genere non sarà semplice, ma è un fatto che sia molto più probabile oggi che in passato, quando a capo di Hezbollah (e in controllo del Libano) vi era Hassan Nasrallah e a guidare la Siria il dittatore Bashar al-Assad.Image
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Mar 16
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🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Da giorni ci chiedevamo come fosse andato l'incontro al Cremlino fra l'inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff e Vladimir Putin. A raccontarlo, in un giro di interviste rilasciate alla CNN e alla CBS, è stato oggi Witkoff in persona.

Premessa: che siamo d'accordo oppure no, le sue parole sono importanti. Le sue impressioni, e in particolare quelle dell'uomo che lo ha inviato fino a Mosca, Donald Trump, contano più delle nostre. Dunque, avviso ai lettori del Blog: qualche dichiarazione vi andrà probabilmente di traverso, ma non possiamo permetterci di ignorare quanto detto.

Buona lettura.🧵👇Image
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🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Witkoff esordisce sulla CNN spiegando di aver parlato con Putin per "qualcosa come 3 o 4 ore"; descrive il suo incontro con il presidente russo come "positivo". Ma quando Jake Tapper lo sollecita, lo incalza, chiedendogli se adesso è finalmente chiaro che l'ostacolo per la pace è Vladimir Putin, risponde quanto segue: "Penso che Putin abbia indicato di accettare la filosofia del presidente Trump. Il presidente Trump vuole vedere la fine di questo conflitto. Credo che anche il presidente Putin e Zelensky vogliano lo stesso".

Witkoff, insomma, mette Putin e Zelensky sullo stesso piano. Nonostante il leader ucraino abbia accettato la tregua e il leader russo no.
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🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Non è un punto banale. Ed è certamente singolare che Witkoff decida di metterci la faccia, di rischiare una pessima figura pur di proteggere l'onorabilità di Vladimir Putin. Nello sforzo, l'ambasciatore USA arriva a rifilare un commento piccato ad un alleato storico degli Stati Uniti come la Francia, in particolare al suo Presidente, Emmanuel Macron.

Succede questa volta sulla CBS, quando Margareth Brennan gli fa notare che giusto ieri l'inquilino dell'Eliseo ha osservato: Putin non è genuino nella ricerca della pace.

Witkoff a questo punto si irrigidisce: "Beh, io...senta, non so cosa abbia detto il Presidente Macron. Penso che sia spiacevole quando le persone fanno questo tipo di valutazioni e non hanno, necessariamente, una conoscenza di prima mano. Ma non ho intenzione di commentare ciò che ha detto, perché non so cosa abbia detto. Io so quello che ho sentito, il linguaggio del corpo a cui ho assistito".
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Mar 12
🚨🇷🇺🇺🇦🇺🇸 Un documento di estrema importanza. Redatto a febbraio, ottenuto da un servizio di intelligence europeo e visionato dal Washington Post. Soprattutto: preparato per il Cremlino da un think-tank di Mosca noto per la sua vicinanza ai servizi segreti russi. Perché conta? Perché delinea chiaramente la strategia di Vladimir Putin nei negoziati con gli Stati Uniti e con l'Ucraina. Analizziamo gli aspetti principali.

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🚨🇷🇺🇺🇦🇺🇸 Il documento afferma anzituto che la Russia dovrebbe lavorare per indebolire la posizione negoziale degli Stati Uniti, contribuendo ad alimentare le tensione fra l'amministrazione Trump e altri Paesi, da quelli dell'Unione Europea fino all'insospettabile Cina. Gli stessi sforzi del presidente Trump per stringere un accordo di pace entro 100 giorni dal suo insediamento vengono definiti come "impossibili da realizzare". Di più: "Una risoluzione pacifica della crisi ucraina", secondo il dossier, "non può avvenire prima del 2026".Image
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🚨🇷🇺🇺🇦🇺🇸 Una missione di peacekeeping? Niente da fare. Il documento respinge qualunque proposta di contingente sul territorio ucraino: la forza sarebbe "sottoposta a seria influenza occidentale". Insiste poi sul riconoscimento della sovranità russa sui territori ucraini occupati e si spinge oltre, proponenedo un'ulteriore divisione del territorio di Kyiv per la creazione di una "zona cuscinetto" nel nord-est del Paese al confine con le regioni russe di Bryansk e Belgorod, oltre che un'area smilitarizzata nel Sud, vicino alla Crimea, e inclusa la regione di Odesa. C'è altro? Sì.Image
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Feb 8
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🚨🇮🇱 Le notizie che arrivano da Israele sono preoccupanti. Le condizioni dei 3 ostaggi rilasciati oggi da Hamas sono peggiori di quello che avremmo sperato. Facciamo un punto nave con tutte le informazioni fin qui a nostra disposizione.

dangelodario.it/2025/02/08/aff…Image
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🚨🇮🇱 Fonti sanitarie israeliane confermano la presenza di una grave malnutrizione per tutti e tre gli ostaggi. Chiamano in causa quella che i medici definiscono "cachessia", un grave stato di deperimento associato a malattie croniche. Le ossa facciali esposte, la massa muscolare ridotta, le profonde occhiaie, sono tutti segnali evidenti di persone che hanno attraversato l'inferno a Gaza. Si stima che i tre, nei 15 mesi di prigionia, possano aver perso fino al 30% del proprio peso corporeo.Image
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🚨🇮🇱 Da Tel Aviv specificano che i primi controlli effettuati dai medici prevedono analisi del sangue e degli elettroliti presenti nell'organismo. Uno dei rischi da evitare in questa fase è il sovraccarico calorico: dopo un periodo di privazione così prolungato, l'organismo non è in grado di gestire una quantità importante di cibo e calorie. L'approccio verso il cibo sarà estremamente graduale, con un monitoraggio costante dei livelli elettrolitici, della funzionalità degli organi e della salute del cuore. Israele ha mobilitato non a caso specialisti in nutrizione, cardiologia, neurologia e recupero dei traumi per reintrodurre con cura il cibo e monitorare eventuali complicazioni.Image
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Feb 7
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🚨🇮🇱 Sono dichiarazioni esplosive. Sono le parole dell'uomo che ha preso parte al processo decisionale che a partire dal 7 ottobre ha cambiato il volto del Medio Oriente. Sono notizie. Sono atti d'accusa. Sono rimpianti. Sono racconti di dolore e di paura.

E sono risposte, risposte ad alcune delle domande che torturano il passato recente di Israele, che ne condizionano il presente, che plasmeranno il suo futuro.

Di quanto detto da Yoav Gallant nelle ultime ore si parlerà a lungo. Un thread veramente imperdibile, ricco di retroscena. Buona lettura. 🧵👇Image
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🇮🇱 La mattina del 7 ottobre e "il più grande rimpianto della mia vita"

Il racconto comincia dal 7 ottobre - e come potrebbe essere altrimenti? - da quello che Gallant definisce "il più grande rimpianto della mia vita". Quale, di preciso? Quello di non essere stato svegliato nel cuore della notte: "Mi è stato impedito l'ultimo punto di intervento. Sono abituato a essere svegliato di notte. Lo hanno fatto molte volte. L'ho sempre preso sul serio. Ho sempre dato ordini rigorosi. So con certezza che avrei fatto una cosa, basandomi su tutta la mia esperienza di vita. Avrei detto loro: 'Sento la vostra valutazione della situazione e quello che state facendo. Supponiamo che la vostra valutazione sia sottostimata, quali misure operative e quali forze state impiegando per garantire la sicurezza nel caso in cui vi stiate sbagliando e la situazione sia più grave?' (...) La conseguenza sarebbe stata l’invio immediato di più aerei e truppe di terra, soprattutto dei comandanti'".

La sua gestione della crisi inizia alle 6:29 del mattino, con una telefonata di sua figlia: "Mi dice: 'Ci sono sirene d’allarme a Tel Aviv'. Un minuto dopo chiamo il Capo di Stato Maggiore e lui mi dice: 'È da Gaza: non sono solo razzi, c'è anche qualcosa via terra, sto entrando in una valutazione della situazione'. Cambio i miei vestiti da ciclismo – stavo per andare a fare un giro in bici – e indosso gli abiti neri. (...) Non sono tornato a casa per i successivi 3 mesi. Quando arrivo alla Kirya, il quartier generale della difesa, vedo che c’è una grande confusione. (...) L'atmosfera di pesantezza e fallimento è evidente. Tuttavia, le persone stanno lavorando. Per prima cosa guardo il capo di stato maggiore: lavora, dà ordini, riunisce il comando. È impegnato nella gestione del sistema militare e non lo disturbo in quel momento. Ma entro nella sua sala durante la valutazione della situazione prima delle 8:00 del mattino e vedo che c'è una sensazione di incomprensione. Nessun panico, ma una chiara mancanza di chiarezza su ciò che sta accadendo dappertutto. Se io sono sotto shock? No. Durante la valutazione delle 8:00 dico a tutti: 'Questa è una guerra. Aprite tutti i magazzini, tutto ciò che abbiamo, mobilitate chiunque possibile, sia riservisti che truppe regolari. Mandateli a sud – lo stanno già facendo – ma anche a nord, perché non credo che Hamas inizi una guerra senza che Hezbollah sia coinvolto'. Quando troviamo i computer e gli hard disk di Hamas, a dicembre e poi a febbraio, diventa assolutamente chiaro che Hamas contava sull'intervento di Hezbollah".Image
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🇮🇱 Netanyahu sotto shock: "Metteranno gli ostaggi sui tetti delle case"

Gallant riferisce dettagli molto importanti sulla reazione di Bibi Netanyahu all'attacco del 7 ottobe. Nelle settimane successive al massacro posto in essere da Hamas, diversi report parlano di un primo ministro israeliano quasi paralizzato dallo shock. Lo stesso Joe Biden, quando chiude la prima comunicazione con Tel Aviv, si rivolge ai suoi consiglieri con un messaggio che suona più o meno così: Bibi non sembra Bibi, devo andare in Israele.

L'allora ministro della Difesa fornisce un quadro più circostanziato, ma non se la sente di affermare che Netanyahu mancasse della lucidità necessaria per guidare il Paese: "Penso che il Primo Ministro fosse di umore molto cupo, non solo quel giorno, ma anche l'11 ottobre e prima dell'offensiva di terra. (...) Non assegno voti al Primo Ministro su come ha operato o meno. Quando lo incontro, le cose funzionano, ma (...) dal primo giorno, nelle prime settimane, certamente fino alla conclusione del primo accordo sugli ostaggi, ha trasmesso un senso di pessimismo al quale io non ho mai aderito.

In vista dell'operazione di terra a Gaza, diceva: 'Ci saranno migliaia di morti. Useranno gli ostaggi come scudi umani. Li metteranno sui tetti, agli ingressi delle case'. (...) Gli ho detto: 'Noi e Hamas condividiamo solo una cosa: vogliamo entrambi proteggere gli ostaggi. Loro perché li usano come leva, noi perché sono i nostri figli'".Image
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