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“Morire sì, tocca a tutti prima o poi.
Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso. Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
Oggi è il 2 giugno del 1942. E sono 77.
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo. E Irene? Non ho sue notizie dal giorno della sentenza. Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Chissà se è vero che la testa continua a vivere per qualche tempo, dopo che è stata tagliata dal corpo.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Niente. Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
Martha mi mancava. Da morire. Con lei avevo condiviso quarant’anni della nostra vita, tra gioie e affanni, e un male incurabile me l’aveva portata via nell’aprile del 1928.
La solitudine era una brutta bestia e nemmeno Dio riusciva a consolarmi.
E poi quella lettera.
Arrivò nel dicembre del 1932.
“Caro Leo (…) sono ai tuoi piedi per implorarti di occuparti della prima sistemazione per mia figlia Irene che, dopo aver abbandonato l’università, ha deciso, naturalmente contro il parere mio e di Clara, di dedicarsi alla fotografia artistica…”
A scrivermi l’amico d’infanzia Kurt Seidel trasferitosi a metà degli anni venti in una cittadina al confine con la Polonia.
«Ci mancava solo questa» pensai. Ma poi dissi alla mia segretaria di inviare un telegramma. “Messaggio ricevuto. Stai tranquillo. Provveduto sistemazione.”
A quel tempo ero uno stimato commerciante di Norimberga, vedovo. E avevo sessant’anni. Lo avevo promesso all’amico Kurt e preparai per Irene la mansarda. Due stanze molto luminose, bagno e cucina che avevo acquistato anni prima con l’intenzione di farne una specie di foresteria.
Ero parecchio impegnato in quei primi giorni di gennaio. C’era da chiudere la contabilità dell’anno precedente, i fornitori volevano gli arretrati e i clienti tardavano a pagare. Quando sentii bussare alla porta del mio ufficio.
«Avanti». «La signorina desidera?».
«Il signor Kaufmann? Sono Irene, Irene Seidel.»
Irene. L’ultimo volta la ricordavo con le treccine bionde, allegra e un po’ petulante, che voleva sempre salire sulle mie spalle.
«Ma quale signor Kaufmann! Un tempo mi chiamavi “zio Leo”, non ricordi?
Dopo i saluti la feci accompagnare nel suo appartamento. No, non era più quella ragazzina. Era ormai una donna di vent’anni con dei grandi occhi azzurri e i capelli biondo rame, raccolti dietro le orecchie. Ricordo che le chiesi di cenare con me, per raccontarmi dei suoi genitori
L’avevo seguita con lo sguardo, ma solo per un attimo.
“Ma non ti vergogni? Potrebbe essere tua figlia” pensai.
Mi misi a ridere ricordando le continue minacce di mia madre di andare all’inferno.
Il miglior antidoto alle tentazioni della carne?
Guardare la mia segretaria, la mia cara, vecchia, signorina Koch.
Comunque quella sera cenai con Irene.
Erano ormai anni che non mettevo piede in quel locale. Prima lo frequentavo almeno due volte a settimana in compagnia di mia moglie o di qualche buon amico.
Altro che ragazzina. Era venuta a Norimberga per studiare fotografia, ma soprattutto per essere assolutamente indipendente.
Le avevo offerto di rimanere nell’appartamento senza pagare l’affitto e aveva rifiutato.
Per pagarmi avrebbe trovato un lavoro.
Irene fu un raggio di sole nella mia vita.
Mi usava come soggetto fotografico. Impazzava nel mio ufficio, portando allegria e scompiglio. Lei era gentile con me.
Ed io ricambiavo con piccole attenzioni.
Cioccolatini, sigarette, giornali e qualche piatto pronto da scaldare quando tornava dalle lezioni di fotografia. E fiori.
Poi nel 1935 le leggi razziali di Norimberga. Decretando l’inferiorità biologica degli ebrei imponevano misure per evitare “contaminazioni” con gli ariani.
Perché c’è una cosa che non vi ho detto.
Io, “lo zio Leo” sono ebreo, Presidente della Comunità ebraica di Norimberga.
Irene invece ariana.
Nemmeno le leggi razziali riuscirono a intaccare la nostra amicizia.
Ma le disgrazie, per noi ebrei, erano solo all’inizio.
Malfrado tutto la nostra amicizia resisteva.
Poi arrivò per Irene quella “convocazione urgente” nella sede del partito nazista.
Con l’accusa di avere una relazione con un ebreo. L’ebreo ero io. Secondo loro avevamo violato l’art. 2 delle leggi di Norimberga.
“Le relazioni extraconiugali tra ebrei e cittadini di sangue tedesco o affini sono proibite”.

Ma la nostra non era stata una relazione.
Dando credito alle voci, alle dicerie, ai pettegolezzi, il giudice emise la condanna capitale, senza alcuna prova.
Quella che vi ho raccontato a grandi linee è la storia di Lehmann detto Leo e Irene raccontata in modo splendido da Giovanni Grasso nel suo primo romanzo "Il caso Kaufmann”. @_giovannigrasso
Da leggere, per capire come nasce e quali conseguenze può avere la macchina dell odio.
Molto più di un romanzo. Una chiave di lettura su come l’odio possa entrare nella vita di tutti i giorni travolgendo le persone.
Nel libro i protagonisti hanno mantenuto il nome, non il cognome.
I dialoghi e alcuni degi episodi sono immaginari, non la vicenda giudiziaria.
I veri protagonisti della storia si chiamavano Lehmann Katzenberger e Irene Seiler.
Sulla base di maldicenze e calunnie lui venne arrestato. La loro amicizia era frutto di un rapporto fatto di stima, affetto. Solo quello.
Al processo nessuna prova. Solo “si diceva”.
Eppure...
Leo Katzenberger fu ghigliottinato nella prigione di Stadelheim a Monaco di Baviera il 3 giugno 1942 per il reato di “inquinamento razziale” previsto dalle leggi naziste di Norimberga.
Irene Seiler fu condannata a 4 anni di carcere duro per aver negato la relazione con un ebreo.
Nel 1947, in uno dei processi di Norimberga, Irene Seiler si è presentata come testimone contro i giudici di quel tribunale speciale, tra cui Oswald Rothaug.
Condannato all'ergastolo, è stato rilasciato nel dicembre 1956.
E’ morto a Colonia nel 1967 all'età di 70 anni.
La contaminazione del nostro sangue, (…) è oggi premeditatamente perseguita dagli Ebrei. Questi parassiti dai capelli neri violano di proposito le nostre ingenue, giovani, bionde ragazze, compiendo un atto dalle irreparabili conseguenze.
(Adolf Hitler, Mein Kampf 1925)
“Gli eventi non si ripetono. Ma i meccanismi storici sono sempre gli stessi. Oggi viviamo un momento di crisi dei valori e di disorientamento generale, specie nei giovani. L’antidoto contro questo momento di crisi è la cultura”.
(Giovanni Grasso, giornalista e saggista)
Dal film "Vincitori e vinti" del 1961 la testimonianza di Irene Seiler durante uno dei processi di Norimberga del 1947.
Ad interpretare Irene nel film la splendida Judy Garland.
bit.ly/2D1Rr5r
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