Ma morire così: schernito, umiliato, con il marchio di criminale e vecchio libidinoso. Mi avessero detto prima di nascere che sarebbe finita così, avrei senz’altro declinato l’invito: no grazie, avanti un altro. Io aspetto tempi migliori…”
I giorni passati in cella dopo la condanna, intendo. E Irene? Non ho sue notizie dal giorno della sentenza. Ho saputo che è rinchiusa in un carcere femminile di massima sicurezza, insieme a ladre, assassine, prostitute e comuni criminali.
Perché sto per essere ghigliottinato?
Cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Niente. Ma è una lunga storia.
Iniziata nel 1932.
“Caro Leo (…) sono ai tuoi piedi per implorarti di occuparti della prima sistemazione per mia figlia Irene che, dopo aver abbandonato l’università, ha deciso, naturalmente contro il parere mio e di Clara, di dedicarsi alla fotografia artistica…”
«Ci mancava solo questa» pensai. Ma poi dissi alla mia segretaria di inviare un telegramma. “Messaggio ricevuto. Stai tranquillo. Provveduto sistemazione.”
«Avanti». «La signorina desidera?».
Irene. L’ultimo volta la ricordavo con le treccine bionde, allegra e un po’ petulante, che voleva sempre salire sulle mie spalle.
«Ma quale signor Kaufmann! Un tempo mi chiamavi “zio Leo”, non ricordi?
“Ma non ti vergogni? Potrebbe essere tua figlia” pensai.
Mi misi a ridere ricordando le continue minacce di mia madre di andare all’inferno.
Il miglior antidoto alle tentazioni della carne?
Comunque quella sera cenai con Irene.
Erano ormai anni che non mettevo piede in quel locale. Prima lo frequentavo almeno due volte a settimana in compagnia di mia moglie o di qualche buon amico.
Le avevo offerto di rimanere nell’appartamento senza pagare l’affitto e aveva rifiutato.
Per pagarmi avrebbe trovato un lavoro.
Mi usava come soggetto fotografico. Impazzava nel mio ufficio, portando allegria e scompiglio. Lei era gentile con me.
Ed io ricambiavo con piccole attenzioni.
Poi nel 1935 le leggi razziali di Norimberga. Decretando l’inferiorità biologica degli ebrei imponevano misure per evitare “contaminazioni” con gli ariani.
Io, “lo zio Leo” sono ebreo, Presidente della Comunità ebraica di Norimberga.
Irene invece ariana.
Nemmeno le leggi razziali riuscirono a intaccare la nostra amicizia.
Ma le disgrazie, per noi ebrei, erano solo all’inizio.
Poi arrivò per Irene quella “convocazione urgente” nella sede del partito nazista.
Con l’accusa di avere una relazione con un ebreo. L’ebreo ero io. Secondo loro avevamo violato l’art. 2 delle leggi di Norimberga.
Ma la nostra non era stata una relazione.
Dando credito alle voci, alle dicerie, ai pettegolezzi, il giudice emise la condanna capitale, senza alcuna prova.
Da leggere, per capire come nasce e quali conseguenze può avere la macchina dell odio.

Nel libro i protagonisti hanno mantenuto il nome, non il cognome.
I dialoghi e alcuni degi episodi sono immaginari, non la vicenda giudiziaria.
Sulla base di maldicenze e calunnie lui venne arrestato. La loro amicizia era frutto di un rapporto fatto di stima, affetto. Solo quello.
Al processo nessuna prova. Solo “si diceva”.
Eppure...
Ad interpretare Irene nel film la splendida Judy Garland.
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