Le domande scottanti del mercoledì mattina: dove mai avrà comprato il suo cappuccio verde Robin Hood? Questa e altre curiose storie a colori in una nuova puntata di #artistantecolore
Il commercio più fiorente dell’Inghilterra, fin dai romani e anche dopo la scoperta dell’America, era costituito dalla lana. La lana europea di maggior pregio proveniva dall’Inghilterra, inclusa quella che arrivava nelle Fiandre e a Firenze.
Già ai tempi del grande censimento di Guglielmo il Conquistatore, la ricchezza di una proprietà si misurava in capi di bestiame.
Nel duecento, un poeta francese aveva usato l’espressione “portare la lana in Inghilterra” con la stessa accezione che noi oggi intendiamo dicendo “ vendere il ghiaccio agli eschimesi”.
Nel XII e XIII sec, uno dei centri più famosi per la produzione della lana era Lincoln, nell’East Midlands. Il nome della cittadina potrebbe non dirvi niente, eppure compare in ben due episodi noti anche al pubblico più distratto.
Il primo riferimento è storico, e si tratta della Magna Charta (1215): si da il caso che uno dei firmatari fosse il vescovo di Lincoln, e che una copia sia ancora conservata nel castello della città.
L’altro riferimento è ad una storia meno illustre, ma forse ancora più famosa, sebbene si tratti di poco più di una leggenda: stiamo parlando di Robin Hood.
Su chi fosse realmente Robin, bandito o nobile decaduto della seconda metà del XIII sec, non vi è certezza. Le ballate e le fonti tramandate oralmente sono discordi quasi su tutto, tranne su un dettaglio:
il vestiario della banda aveva a che fare con colori precisi, il rosso e il verde Lincoln. A volte era Robin a vestirsi di verde, a volte i suoi uomini, e lui di rosso.
Insomma, che fosse rosso o verde, Robin Hood aveva comprato il suo mantello con cappuccio a Lincoln. Ma perché per i cantastorie era importante specificare questo genere di dettaglio?
Nel medioevo, i tessuti e i colori dell’abbigliamento designavano la classe sociale. A seconda del posto che si occupava nella società, le leggi suntuarie stabilivano se si era o meno autorizzati ad indossare la seta, ad esempio, o vesti di colore rosso.
Nel caso dell’Inghilterra del XIII sec, nominare il verde e il rosso di Lincoln significava far indossare alla banda di Robin capi griffati, come oggi parleremmo di Valentino o Armani. La gente doveva raffigurseli come dei banditi glamour, non certo dei pezzenti qualsiasi.
La lana tinta di rosso carminio della lana di Lincoln si otteneva con la cocciniglia mediterranea e veniva decantata come più rossa del sangue e del fuoco, merce ambitissima dai mercanti veneziani.
Il verde Lincoln è il precursore di quello che oggi chiamiamo verde inglese. Si otteneva miscelando il blu ottenuto dal Guado (Isatis Tincotoria) con il giallo della Guadrella (Reseda Iuteola).
La sua tonalità, una sfumatura medio scura di verde turchese, non era merito solo della ricetta della tintura, ma di una lana particolarmente bianca e satinata, capace di assorbire il colore e di riflettere come seta.
La pregiata razza di pecore di Lincoln, di cui tutt’oggi gli abitanti della zona vanno fierissimi, la troviamo ritratta nel Salterio di Luttrell, una raccolta di salmi ricca di illustrazioni, che ci ha tramandato alcune scene di vita quotidiana del XIV sec nella zona di Lincoln.
Come si vede dall’illustrazione, la pecora è riccia. Direi boccolosa, stando ad immagini più recenti: non è simpatica?
Il prestigio dei colori di Lincoln, però, non ebbe vita lunga, e conosciamo già la ragione della sua decadenza. Se seguite il ColorBlog, sapete già che la scoperta dell'America significò l'afflusso in Europa di ingenti quantità di tinture. artistante.com/colore-storia-…
Intere aree rurali dedicate alla coltivazione delle piante tintorie persero la loro fonte di sostentamento economico e andarono incontro ad una pesante crisi. È il caso anche di alcune zone del centro Italia, legate al commercio della lana sull’asse della transumanza Abruzzese.
Ma non temete: nonostante i tintori di Lincoln persero il loro primato, la qualità della lana sostenne l’economia della città, anche dopo che i suoi colori erano diventati desueti.
Nota1: Se, come me, vi divertite a sfogliare antichi manoscritti, vi consiglio di dare un’occhiata al sopracitato Salterio di Luttrell, disponibile integralmente grazie alla biblioteca nazionale inglese, qui: bl.uk/manuscripts/Vi…
Nota2: Ho nominato l'Abruzzo. La lana abruzzese era talmente preziosa che, per controllarne il commercio, i Fiorentini erano disposti a sborsare ingenti somme di denaro, utili a stabilire degli avamposti al di fuori dei propri territori.
È il caso della bellissima Rocca Calascio, con il vicino borgo di Santo Stefano di Sessanio, ottenuta dai Medici nel 1579 per 106.000 ducati. La rocca passò in seguito ai Borbone.
Nota3: Lincoln era famosa anche per un primato architettonico. La torre centrale della cattedrale è ancora fra le più alte d’Europa. Prima del crollo della guglia originale (1549), era la più alta costruzione del mondo, primato che aveva strappato alla Piramide di Cheope.
Bibliografia: Per raccontarvi questa storia ho preso ispirazione da "La trama del mondo: I tessuti che hanno fatto la storia" di Kassia St Clair
Trovate questa e altre amene storie sui colori raccolte nel ColorBlog. Grazie della lettura! artistante.com/colore/
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Il Nero non è un colore, ma eccoci a parlarne nella rubrica #artistantecolore, per un sacco di buone ragioni che immaginate e altre sulle quali, forse, non avete mai riflettuto.
Se si parla di sintesi additiva, il nero è semplicemente l'assenza di luce, e se si parla di sintesi sottrattiva nero è un materiale che, non riflettendo alcuna lunghezza d'onda della luce che lo investe, non restituisce nessun colore. In pratica, il tutto o il niente: la base.
Il nero rappresenta anche la prima convenzione della rappresentazione artistica: il contorno. Fin dalle caverne, quando gli uomini hanno cominciato a tracciare con il carbone le figure degli animali, il tratto nero del contorno, lontanissimo dal vero,
Per #artistantecolore voglio parlarvi del marrone. Anche se è impopolare, brutto, smorto, anche se è il colore della merda, il marrone è il colore che ogni pittore, in cuor suo, ama e teme. Sebbene, a dirla tutta, non sia neppure un colore.
Dalla terra siamo stati tratti e alla terra ritorneremo: il mito della creazione dell’uomo a partire dall’argilla ha radici antiche e comuni a diverse culture. Di certo, dalla terra è nata l’arte, perché le ocre sono state i primi colori disponibili,utilizzati nell’arte rupestre.
Come ripeto spesso, l’umanità ha imparato prima a dipingere che a scrivere e, quando questo miracolo è avvenuto, per esprimersi gli uomini avevano a disposizione appena tre ingredienti: la terra, il fuoco e il sangue.
C’è un colore che ho a lungo tenuto lontano e che sto imparando a conoscere grazie a un nuovo progetto artistico su seta: il viola. Ve ne parlo in questa puntata di #artistantecolore, fra storie note e dettagli sorprendenti.
Il primo dato che salta all’occhio è che Viola è il nome di un fiore, così come Malva, che è il nome del colorante viola più diffuso, e come eliotropo, che è un altro fiore la cui tonalità influenzò la moda dell’800 e oltre.
Poi ci sono il glicine e il lilla, ancora nomi di fiori per designarne le sfumature, ma nessuna di queste piante profumate ha attinenza con la fonte delle tinture dalle quali si ricava il colore. Le quali, come vedremo, sono tutte piuttosto puzzolenti.
L’ultima volta abbiamo parlato del colore più amato, il Blu. Per compensare il vostro entusiasmo, ho deciso di dedicare questa puntata di #artistantecolore al Giallo, il colore “infame”.
A voler indagare, più che infame, vien fuori che è tossico. I pigmenti più persistenti, infatti, sono l’orpimento (arsenico), il cromo e il cadmio. I primi due non sono più in circolazione e ci è rimasto il Cadmio, il cui uso è ristretto dal 2014 e che si sta tentando di bandire.
Sarà questa sua origine materica tossica ad averne in qualche modo influenzato il destino? Non lo sappiamo, ma è andata così. Cominciamo dall’inizio.
Poiché era ampiamente disponibile e semplice da impastare, il pigmento giallo ocra fu uno dei primi colori utilizzati nell’arte.
Il colore è pura esperienza sensoriale. Come ci si riferiva in modo oggettivo ad un colore, prima dei sistemi di corrispondenza? Non lo si faceva. In epoca preindustriale, ci si riferiva al colore nominando la sua origine materica.
Esistevano il bianco argilla o il bianco calce, nomi che dicevano di più sul metodo di produzione, che non sul risultato visivo. Il bianco ricavato dalla calce in Francia poteva essere molto differente da quello italiano, così spesso si specificava anche l'origine del materiale.
In seguito, l’avvento dei colori sintetici e dell’industrializzazione ha fatto nascere l’esigenza di una catalogazione basata sulla riproducibilità del colore, inteso come effetto finale, e non come metodo produttivo. La stessa esigenza era molto sentita in ambito scientifico.