"A cavallo tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 anche il femminismo subisce una metamorfosi radicale. In un articolo uscito sul “New York Times Magazine” nel 1968 viene usata per la prima volta la distinzione tra first-wave feminism, con cui si nomina il
femminismo tradizionale, che nei precedenti centocinquant’anni aveva mietuto evidenti successi, e un nuovo femminismo, chiamato femminismo della “seconda onda” (second-wave feminism)."
"Il second-wave feminism diverge in maniera nettissima dal femminismo classico e dalle sue istanze. Mentre quest’ultimo era stato mosso dall’idea dell’eguaglianza di diritti tra uomini e donne, la “seconda onda” mira a un “rovesciamento del potere”, che corregga le ingiustizie
del passato. Mentre il primo femminismo era mosso da un ideale egalitario, il secondo è mosso da un ideale rivendicativo. Mentre il primo aveva tentato di costruire una nuova unità, un nuovo equilibrio nei rapporti tra i sessi, il secondo mirava al riconoscimento di
un’irriducibile differenza. Mentre il primo aveva fatto ampio spazio a figure maschili, alleate nella richiesta di parità, il secondo si concepisce come un atto di sfida belligerante nei confronti del sesso maschile in quanto tale.
Va notato come le istanze rivolte al riconoscimento delle differenze, e alla rivendicazione di ragioni brandite come orgogliosamente “di parte”, si armonizzassero perfettamente con la nuova atmosfera neoliberale, tutta rivolta a cancellare ogni traccia di egalitarismo e
ogni senso di unità sociale."

Zhok, Critica della ragione liberale.

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