Leggendo i commenti dei renziani e frattaglie al seguito su #Travaglio si capisce meglio il perché non gli abbia fatto né caldo né freddo sapere che il loro leader prende soldi da una dittatura dove i giornalisti ostili al regime si fanno sparire previo squartamento.
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Un giornale, un giornalista possono non piacere e ci sta, quello che non ci sta è lo squadrismo sistematico sempre contro un giornale e sempre contro lo stesso giornalista al quale partecipano attivamente anche colleghi di altre testate
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che poi si tirano dietro la solita feccia social.
Un trattamento che non viene mai riservato ad altri giornali e ad altri giornalisti, nemmeno a quelli che hanno fatto e fanno cose gravi e indegne della professione.
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A dare fastidio un po' a tutti da più di 25 anni è solo #Travaglio.
Il che porta inevitabilmente a pensare che su molte cose abbia avuto e abbia ragione lui. #31maggio
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“Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d'accordo.” [Paolo Borsellino]
Giovanni #Brusca lascia il carcere con 45 giorni di anticipo rispetto alla fine della sua condanna.
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Se gli avessero dato un anno per ogni persona uccisa o fatta ammazzare #Brusca sarebbe dovuto restare in carcere almeno 200 anni. L’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo da solo varrebbe almeno 15 ergastoli, uno per ogni anno di vita di quella povera creatura.
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E invece #Brusca prima della scarcerazione definitiva aveva già ottenuto 80 permessi premio. Dicono, eh però, la legge sui benefici di pena per i collaboratori di giustizia l'ha voluta Giovanni Falcone: sì, certo, prima di essere stritolato
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Il dovere dei giornalisti è riportare i fatti anche se non costituiscono un reato ma, in relazione a personaggi che ricoprono ruoli pubblici e politici, è giusto che si sappiano.
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Che a un certo giornalismo e ad un'opinione pubblica annichilita dalla propaganda non piacciano i fatti è ormai noto e stranoto, altrimenti l'Italia non sarebbe in queste condizioni.
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Ma questo non è solo il paese citato sempre per quel posto infame indegno di una democrazia occidentale nella classifica sulla libertà di stampa: è anche quello dove c'è chi ha dato la vita per dire quelle cose che altri preferivano tacere.
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Quando Tina Merlin, al tempo giovane cronista locale decise di indagare sulla zona del Vajont raccogliendo le denunce degli abitanti che temevano i pericoli che avrebbe causato la diga messa in funzione non solo fu ignorata dalle istituzioni,
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la denunciarono ai carabinieri per "diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico", la mandarono a processo dal quale fu assolta
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e le toccò subire anche gli insulti e la derisione da signorini grandi firme del calibro di Montanelli e Buzzati che dalle pagine del Corriere della Sera la definirono “Cassandra del Vajont”.
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L'avidità è un fattore umano e, come tutte le cose che riguardano l'umanità non si può abolire, si può però governare.
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In Italia anziché governarla è stata normalizzata, nel senso che dopo, quando gli effetti dell'avidità si trasformano in eventi negativi, in veri e propri crimini, non succede niente.
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Che è successo agli imprenditori che pregustando l'affare e i soldi che avrebbero guadagnato con la ricostruzione ridevano dei 309 morti sotto il terremoto a L'Aquila, degli oltre 1600 feriti e delle migliaia di sfollati?
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#Santoro dice che non possiamo consegnare la nostra socialità all'algoritmo dei social che decide quali contenuti devono essere più visibili e condivisi.
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Certo, meglio lasciarla alla mercé di tivù e giornali che se l'accomodano secondo l'ordine di scuderia. Oggi i social sono l'unico posto in cui si può provare a smentire le balle raccontate dai professionisti dell'informazione,
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sono il posto in cui la gerarchia non vale e non conta e anche l'ultimo degli utenti può essere più credibile dell'editorialista e del direttore di un quotidiano, ecco perché molti giornalisti li temono e ne parlano male.
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Giovanni Falcone diceva che "non è importante quello che le persone dicono ma quello che le persone fanno".
Per la prima volta nella storia la sentenza di un processo il cui svolgimento è stato tenuto nascosto all'opinione pubblica
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arrivata solo al primo grado grazie ai tempi elefantiaci della giustizia ha stabilito che ci fu un momento in cui lo stato anziché combattere la mafia trattò con la mafia, ha emesso condanne pesantissime per alti ufficiali delle istituzioni
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e non solo si parla ancora di trattativa "presunta", non solo nel parlamento europeo siede un indagato per le stragi di mafia il cui partito, nato per volontà di un condannato per mafia è stato fatto entrare dalla porta principale nel governo 'dei migliori'
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