“Mi chiamo Mesghenna. Molti di voi conoscono già la mia storia. Ero lì, denutrito, in braccio al mio papà, quando mi vide suor Laura. Avete presente un bambino di due anni? Ecco, io pesavo uguale. Ma di anni ne avevo quattro. Impossibile stare in piedi. Impossibile deglutire”.
“Poche speranze. Perché morire di fame è la sorte di molti bambini del mio Paese, l’Etiopia.
Ma suor Laura disse al mio papà: «Venite in missione con noi!».
Ci misero in una cameretta con vestiti puliti e copertine.
Non è stato facile”.
“Suor Laura è stata persino costretta a rientrare in Italia per reperire i dispositivi medici necessari ad alimentarmi.
E così piano piano ho ripreso a deglutire, a mangiare, a sorridere, a camminare e a giocare.
Tutto merito della Missione di Adwa”.
Questa è l’ultima storia che avete trovato e potete trovare nella prima raccolta “Non esistono piccole storie”.
Una storia che arriva da Adwa, in Etiopia.
Ad Adwa era presente un ospedale governativo, ma offriva servizi scarsissimi, in condizioni igieniche pericolose.
Nel 2008 le autorità etiopi hanno chiesto aiuto formale a Suor Laura Girotto e alle altre consorelle.
Da qui la costruzione di un nuovo ospedale, oggi in fase di completamento.
Nel frattempo, però…
“Da noi il Covid è solo uno dei problemi, e neanche il peggiore”.
A parlare è suor Laura Girotto. Sì perché la regione del Tigray (o Tigrè), dove si trova Adwa, è al centro di un grave conflitto. Nel quasi completo disinteresse mondiale, nel silenzio dei telegiornali causato dal blocco delle comunicazioni da parte del Governo Federale Etiope.
E’ ancora Suor Laura a parlare.
“Sotto i bombardamenti, con droni, carri armati, cannoni pesanti, migliaia di soldati hanno distrutto ospedali, scuole, fabbriche, aeroporti, monasteri e moschee.
I raccolti, pronti per la mietitura, sono stati dati alle fiamme”.
“Elettricità, comunicazioni, erogazione di acqua, trasporti totalmente bloccati.
Violenze di ogni genere, stupri di donne e bambine, fucilazione indiscriminata di civili – bambini inclusi – saccheggio di case, negozi, uffici e istituzioni”.
Medici Senza Frontiere riporta che “quasi il 70% delle 106 strutture sanitarie sono state saccheggiate.
Più del 30% danneggiate, mentre solo il 13% funziona normalmente“.
Fortunatamente l’ospedale della missione, Kidane Mehret, fa parte di quel 13% che funziona a pieno ritmo.
Ma come è cominciato tutto questo?
Eravamo rimasti al 2019 quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed aveva ricevuto il Premio Nobel per la Pace per “la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea”.
Il 4 Novembre 2020 è scoppiata la guerra tra il governo federale etiope e la forza politica al potere nella regione del Tigray (TPLF)
(Che è stata al governo per oltre vent’anni prima della nomina dell’attuale premier). Questioni etniche, ma anche di potere politico e militare.
Il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha negato il coinvolgimento delle truppe eritree a fianco di quelle governative, salvo poi ammetterlo di fronte all’evidenza.
“Sono stati bloccati gli spostamenti di persone, merci, servizi essenziali, banche. Blackout elettrico e delle telecomunicazioni, interruzione servizi idrici. Sono stati danneggiati tantissimi edifici pubblici e privati, strutture sanitarie, fabbriche, coltivazioni e allevamenti”
“L’ospedale era in costruzione, con la prima ala aperta come semplice health center, ma ha dovuto avviare i servizi di ostetricia e chirurgia d’urgenza per sopperire alla distruzione delle altre strutture nel raggio di molti km”.
“Da fine dicembre la missione salesiana è diventata punto di riferimento in loco per Unicef, Croce Rossa Internazionale e Medici Senza Frontiere, per la lotta alla malnutrizione e per offrire servizi sanitari in sostituzione delle strutture statali ora inesistenti”.
“I nostri operatori italiani, che erano presenti allo scoppio della guerra, ci hanno raccontato dell’incubo di sentire le bombe cadere e passare le notti nel rifugio.
Di non sapere cosa mangiare il giorno dopo, di non poter conoscere quello che stava accadendo fuori”.
“Della meraviglia di vedere i primi nati nel nostro ospedale, ma anche della pena di dover seppellire i neonati che non ce l’hanno fatta perché la mamma è arrivata in ospedale tardi, dopo aver camminato per chilometri in travaglio con complicazioni”.
“Ci sono oltre cinque milioni di tigrini che rischiano di morire di fame, donne che hanno subito violenze indicibili, bambini che non vanno a scuola da oltre un anno e non hanno più una casa… e da quell’inferno non possono uscire…
I dati raccolti dall' I.p.c. (Integrated food security phase Classification) classificano l'emergenza del Tigray al livello 5: carestia/catastrofe umanitaria.
Adwa, nel Tigray, “dove oggi il Covid è solo uno dei problemi, e neanche il peggiore”. bit.ly/36wbHpa
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Sono settantadue Johannes.
E’ inutile che continui a cercarlo, tanto il mio nome non c’è.
In fondo quello è stato solo uno dei tanti torti che ho subito.
E a dir la verità, nemmeno uno dei peggiori.
Chiamarsi Antoine-August Le Blanc e non poter frequentare l’Università.
Quello fu veramente uno schiaffo.
L’ennesimo rospo da ingoiare, uno dei tanti.
Sicuramente ha influito il periodo, ma è stata dura Johannes.
Vuoi che ti racconti qualcosa di me?
Possiamo iniziare dalla presa della Bastiglia.
Lo avete studiato a scuola.
Era il 14 luglio 1789, a Parigi.
E io, nel 1789, avevo tredici anni. Felice.
Come puoi esserlo se nasci in una famiglia ricca con
papà mercante di seta e poi direttore della Banca di Francia.
Perché questa domanda stupida Johannes?
Mi chiedi se un secolo fa, quando venni al mondo, le donne erano più propense a materie di accudimento? Guarda che le donne hanno, fin dall’antichità, contribuito in modo significativo allo sviluppo scientifico.
Certo, abbiamo dovuto superare ostacoli e barriere importanti e molte donne non hanno visto riconosciuto il proprio lavoro.
Per esempio, quando pubblicavano il loro lavoro su riviste scientifiche, incredibilmente il loro nome spariva e al posto compariva quello di un maschietto.
È successo anche a me. Quando feci quella scoperta.
Ricordo che più ne parlavo più loro mi prendevano in giro.
Molti anni prima, nel 1858, Antonio Snider-Pellegrini lo aveva ipotizzato trovando fossili di piante praticamente identici sia in Europa che negli Stati Uniti.
«Salve Livia. Ieri sera (qui bit.ly/3cktLHV) abbiamo raccontato la tua vita fino al matrimonio con Ottaviano. Divenuto in seguito Augusto.
Inizi da questo momento a tessere la tua tela.
Filo dopo filo. Il tuo fine?
Portare tuo figlio Tiberio sul trono imperiale».
Vedo che insisti.
Quello storico bugiardo ha scritto di “venefici assurdi” e “intrighi romanzeschi”.
Non potendomi accusare di infedeltà e dissolutezza è andato sul criminale.
Chissà quanta gente ho assassinato.
Sicuramente tutti quelli che intralciavano il mio disegno.
«O per vendetta.
Vogliamo parlare del tuo ex marito Tiberio Claudio Nerone?
Ti aveva ceduta a Ottaviano dandoti pure una dote.
Non si era battuto per difenderti.
Però dai, che poteva fare, opporsi e morire all’istante?
Morì nel 33 a.C.
Sai qualcosa del veleno che ingerì?»
Salve Johannes. Prima di tutto grazie dell’invito.
Non ho ancora compreso come mai vuoi parlare con me. Prima ancora che con mio marito, intendo.
O forse capisco perfettamente.
Sei stato fulminato dalla mia bellezza e dalla mia intelligenza.
Come lo fu Ottaviano.
«Sicuramente. E anche dalla tua modestia.
Comunque, conoscendo la grandezza di tuo marito Ottaviano (meglio specificare quale marito) volevo conoscere la “grande donna che c’è sempre dietro a ogni grande uomo”.
Credo sia una frase della scrittrice Virginia Woolf».
Cos’è, una concessione di Natale? Ma che stai a dì? Come se una donna non potesse essere una grande donna anche da sola.
E poi qualcosa del genere lo dicevamo anche noi. "Dotata animi mulier virum regit"."Una donna dotata di coraggio (di spirito) sostiene (consiglia) il marito".
E il viaggio continua.
Il viaggio di queste piccole Spoon River – come qualcuno ha definito questi libri – non poteva non fare tappa in quella che è una miniera inesauribile di emozioni e buoni sentimenti. Lo sport.
Carlo Lucarelli @CarloLucarelli6 ha scritto che «scocca una scintilla, quando un narratore incontra una storia», soffermandosi sulle emozioni che una storia può produrre.
È vero. E, quando questo accade, quella voglia di raccontare e di produrre scintille, non ti abbandona più.
Sei settimane fa mi hanno dato per morto.
Vi assicuro che è una cosa strana leggere sui giornali della propria dipartita, soprattutto se sei ancora vivo e vegeto, seppur in un letto d’ospedale.
Naturalmente, ho dovuto smentire la notizia.
Male stavo male, ma almeno aspettare l’ultimo mio respiro, via!
A dire la verità ci sono andati vicini, perché oggi, 22 dicembre 2016, è successo veramente.
Sono morto all’ospedale di Toronto, a causa di un’insufficienza respiratoria.
È strano che siano stati proprio i polmoni a fermarmi.
Alcuni giornali hanno scritto che avevo settantadue anni, perché nato nel 1944.
Altri giornali hanno scritto invece che sono nato nel 1938.
Volete sapere una cosa?
In realtà, nessuno conosce la mia data di nascita.