Cinque giorni fa ho compiuto quarantotto anni.
Oggi faccio il pilota di auto, ma non posso dimenticare quel giorno. Alla mia ultima Olimpiade.
Avevo solo 29 anni, ma senza più futuro in quella specialità a causa dei troppi infortuni.
E il pensiero corre a quel giorno.
A cosa sto pensando?
In attesa della gara dei quarti di finale della mia gara olimpica sui 1000 m. dello short track ripenso alla mia carriera, a quello che è stato e a quello che avrebbe potuto essere.
Se non ci fosse stato quel brutto incidente.
Se oggi non lotterò per una medaglia è colpa di quell’episodio. Non sono più competitivo. Difficile persino superare il turno.
Sono alle Olimpiadi di Salt Lake City del 2002, prossimo al ritiro. Mi è costato arrivare qui. Costretto persino a lavorare per avere i soldi necessari.
Nel mio Paese, l’Australia, il mio sport non è molto diffuso, ma sono bravo. O meglio. Ero bravo.
Talmente bravo da vincere tre medaglie ai mondiali.
Oro nel 1991, bronzo nel 1993, argento nel 1994 oltre alla medaglia di bronzo nei 5000 m. nella staffetta alle Olimpiadi del '94
Poi quel maledetto giorno.
Ero a Montreal, in una prova dei 1500 m. individuali di Coppa del Mondo.
L’italiano Mirko Vuillermin non ha colpe.
Sono stato io a cadere sulla lama del suo pattino.
E a causarmi una profonda ferita all'arteria femorale.
Quel giorno rischiai veramente di morire.
Persi tantissimo sangue e ci vollero 111 punti di sutura per chiudere la ferita.
Dopo 18 mesi di riabilitazione non ero più lo stesso.
Lo sport mi aveva dato molto, lo sport mi aveva tolto tutto.
Quasi tutto.
Per togliermi quel poco che mi era rimasto ci pensò un altro grave infortunio in allenamento nel 2000. Collo fratturato e sei settimane bloccato da un collare.
Tutto perso, ma io volevo andare assolutamente ai Giochi Olimpici del 2002.
E oggi sono qui. Anche se arriverò ultimo.
Scusate devo andare. Sono già stato eliminato al primo turno sui 1500 m.
In questi 1000 m. non ho molte speranze.
Superare il turno è difficile, quasi impossibile, ma essere alle Olimpiadi mi basta.
Anche se con tanta rabbia.
Vado, poi vi faccio sapere come è andata…
Tornato.
Non ho parole. Vi racconto.
Ero ultimo, come da pronostico, quando davanti a me il giapponese è stato toccato dal canadese, che lo ha rallentato. Io sono riuscito a passare, arrivando terzo. Ma passavano il turno i primi due. Pensavo di essere fuori, eliminato.Invece...
E invece farò le semifinali, perché hanno squalificato il secondo arrivato.
Sono contento, un po’ di fortuna mi ci voleva anche se in semifinale non ho speranze.
Troppo forti i miei avversari, troppo debole io.
E' ora. Vado fa fare la semifinale, ci sentiamo dopo.
Eccomi qua.
Sorrido. Non so che dire. Ero ultimo, il gruppo mi aveva distaccato, quando il coreano ha perso aderenza cadendo.
Nella confusione sono riuscito a passare arrivando secondo. Anzi no, primo, perché quello davanti a me è stato qualificato.
E così sono in finale. Incredibile.
E il pensiero corre a quei diciotto mesi angoscianti dopo l’incidente.
E' solo grazie alla mia forza di volontà se sono ancora qui, in finale.
Arriverò ultimo, sicuro, ma non importa.
Vado a fare la finale. Sono strafelice. A dopo.
Cosa accadde in quella finale è cosa nota.
Quelle immagini fecero il giro del mondo.
L’australiano Steven Bradbury, questo il suo nome, gareggiava con i fortissimi Li Jiajun, Apolo Ohno, il coreano Hyun-Soo Ahn e il ripescato Mathieu Turcotte. Senza nessuna speranza di vincere.
A due giri dal traguardo Steven è ormai staccato dai suoi quattro rivali.
Ultimo, e sta arrancando.
Non gli importa, perché nessuno è mai riuscito a togliergli il sorriso.
Malgrado abbia sofferto le pene dell’inferno.
Ultimo, e che ultimo sia. Ma felice di essere lì.
Lo sprint finale dei primi iniziò a venti metri dal traguardo.
E’ lì che accadde l’inverosimile.
Sgomitando, i primi quattro si toccano, i pattini si intrecciano, cadono a terra tutti, come birilli.
Tutti, tranne uno.
Steven Bradbury fu il primo a tagliare il traguardo. L’unico a rimanere in pedi.
Un minuto e 29 secondi il suo giro.
È oro.
Il primo oro della storia per l’Australia alle Olimpiadi Invernali.
Steven Bradbury, ventinove anni, quel giorno stava pensando al ritiro. Aveva vinto la sua prima medaglia d’oro nella staffetta ai Mondiali di short track quando aveva solo sedici anni. E stava vincendo anche il giorno dell’incidente. Poi tutto era cambiato. Finito. Senza speranza
So cosa state pensando.
Al fattore C e all'enorme botta di c di Steven.
Magari qualcuno pensa persino che è stata un'ingiustizia. In effetti qualcuno si indignò a tal punto da chiedere la ripetizione della gara.
Non fu ripetuta perché lui non aveva nessuna colpa per la caduta.
I giornali scrissero che fu una beffa per lo sport.
Che non meritava la medaglia d'oro.
Dimenticando che trasformare, contro ogni pronostico, una tragedia in una favola è proprio l'essenza dello sport.
Basta resistere, senza mai arrendersi.
Come fece Steven Bradbury
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Lo so, sono cose che non dovrebbero accadere. Però è successo. Cosa avrei dovuto fare? Urlare al mondo l’ingiustizia subita? Quello fu solo la logica conseguenza. Ai miei tempi il sistema scolastico cercava persino di scoraggiare le ragazze dallo studio delle materie scientifiche
E se qualcuna si impuntava e voleva assolutamente iscriversi all’università, le venivano richiesti voti più alti rispetto ai maschietti. Assurdo, vero?
Comunque. Cominciamo dall’inizio.
Sono nata a Belfast il 15 luglio 1943.
E sono una di quella ragazze che puntarono i piedi.
Il mio interesse per l’astronomia? Lo devo a papà.
No, non era un astronomo, e non mi aveva nemmeno trasmesso una sua passione. Era solo un architetto. Speciale però, perché aveva partecipato alla costruzione dell’Osservatorio di Armagh, nell’Irlanda del Nord.
Il primo provvedimento legislativo razziale assunto dal regime fascista fu il RD-L 4 settembre 1938, n. 1381- "Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”. Vietava loro di poter fissare dimora in Italia.
A quelli già presenti sei mesi di tempo per lasciare il Paese.
Seguirà il RD-L 17/11/1938, n. 1728 con i provvedimenti per la difesa della razza italiana.
Congresso di Verona del Partito Fascista (14-16 novembre 1943.
Al punto 7.
"Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica".
I tedeschi entrarono a Bergamo il 10 settembre 1943. Era pomeriggio quando una colonna autotrasportata proveniente da Brescia si unì ai soldati tedeschi già presenti al campo di aviazione di Orio al Serio. Centinaia di uomini, con molte armi.
E autoblindo, con bocche da fuoco.
Perché avevo lavorato anche in quella viglia di Natale del 1944?
Perché qualche soldo faceva comodo alla mia famiglia, ma non solo.
Malgrado il lavoro duro, mettevo i sassi per rifare le strade, qualche soldino mi avrebbe permesso di soddisfare un desidero.
Andare al cinema.
Era quello che avrei fatto quella sera. Tornato a casa, avevo cenato frettolosamente e poi mi ero messo l’abito della festa. Il cinema era a Lovere, il Conti, dal nome del suo proprietario, anche se noi lo chiamavamo Cinema Maino. Stavo per uscire quando papà mi richiamò indietro
“Bortolo, togli quel fazzoletto rosso al collo. E’ pericoloso con tutti quei fascisti in giro”.
Per non contrariarlo tolsi il fazzoletto e lo misi in tasca. Abitavo a Branico, frazione di Costa Volpino, dove ero nato l’8 ottobre del 1926.
Da lì mi recai a Lovere. Al cinema.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Delicata.
Il fosfuro di zinco invece è un composto chimico inorganico.
Ingerito, a contatto con i succhi gastrici, produce fosfina (fosfano).
Altamente tossico.
La conobbi nel 1913.
Era iscritta alla facoltà di Matematica dell’Università di Ferrara e poi si era trasferita a Firenze per frequentare i corsi di Zoologia e Botanica della facoltà di Medicina.
La conobbi lì e dopo una breve frequentazione ci fidanzammo.
Lei, la mia Enrica.
Era nata a Ferrara il 10 novembre 1891, ultima di quattro figli.
Ero con lei quando si laureò in Scienze naturali il 1º luglio 1914 con una tesi «Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l’attività estiva».
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza e non risulta che l'uso sia associato a rischi per la salute.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose?". Nessun rischio per la salute?
Questo lo dite voi.
Mi chiamano “Moretto” perché da piccolo ero scuro di capelli.
In realtà il mio nome è Pacifico Di Consiglio, nato a Roma il 10 giugno 1921.
Vivo in via Sant’Angelo in Pescheria, numero 28, a due passi dal Tempio Maggiore, nel cuore del Ghetto.
Come li ricordate i vostri diciassette anni? Felici? Spensierati? Beati voi.
Oggi, nel 1938, quello che «ha fatto anche cose buone» «all’acqua di rose» ha pensato bene di cacciare dalle scuole e dai posti di lavoro quelli come me.
Ebrei, insomma.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Dicono anche che aiuti a contrastare le rughe e gli altri segni dell’invecchiamento.
Effettivamente per me fu impossibile.
Invecchiare, intendo.
Era il 17 settembre del 1944, quando con i miei compagni fummo sorpresi e circondati da circa 30 tedeschi e 120 fascisti.
Uno scontro impari.
Dino Degani, 18 anni di Negrar, figlio di un'importante famiglia monarchica e antifascista era con me.
Lui e gli altri mi urlarono di scappare.
Replicai: "Vuialtri g'avì voia de schersàr" e poi uscii allo scoperto col moschetto in mano.
Che ci facevo in quella baita sul monte Comun, situato tra la Valpolicella e la valle di Stallavena?