Perché avevo lavorato anche in quella viglia di Natale del 1944?
Perché qualche soldo faceva comodo alla mia famiglia, ma non solo.
Malgrado il lavoro duro, mettevo i sassi per rifare le strade, qualche soldino mi avrebbe permesso di soddisfare un desidero.
Andare al cinema.
Era quello che avrei fatto quella sera. Tornato a casa, avevo cenato frettolosamente e poi mi ero messo l’abito della festa. Il cinema era a Lovere, il Conti, dal nome del suo proprietario, anche se noi lo chiamavamo Cinema Maino. Stavo per uscire quando papà mi richiamò indietro
“Bortolo, togli quel fazzoletto rosso al collo. E’ pericoloso con tutti quei fascisti in giro”.
Per non contrariarlo tolsi il fazzoletto e lo misi in tasca. Abitavo a Branico, frazione di Costa Volpino, dove ero nato l’8 ottobre del 1926.
Da lì mi recai a Lovere. Al cinema.
Lungo la strada rimisi al collo quel fazzoletto rosso. Troppo freddo e poi dovevo coprire il collo della giacca ormai liso. Ero felice quella sera. Proiettavano un film di Charlot o di Ridolini, non ricordo. Alla fine della proiezione, all’accensione delle luci loro erano lì.
I fascisti, intendo.
Mi ordinarono di togliermi quel fazzoletto rosso. Perché? In fondo era solo un fazzoletto.
E, che rimanga tra noi, non era nemmeno rosso, ma amaranto.
Rifiutai naturalmente.
Anche se sapevo di tutte quelle uccisioni.
Mi presero, e strattonandomi lungo tutta la strada mi portarono nella caserma della Tagliamento di Castro. Ci passai la notte.
La mamma ci aveva lasciato qualche mese prima per colpa di una peritonite.
Pensai a papà, alla sua disperazione.
Il mattino seguente mi trasferirono.
Esattamente nelle carceri della Gnr di Pisogne, dove rimasi fino ai primi di gennaio.
Poi mi consegnarono ai tedeschi che mi assegnarono il numero 89736 inviandomi al campo di transito di Bolzano.
L’accusa?
Quel fazzoletto rosso dimostrava che ero un pericoloso comunista.
Il triangolo rosso cucito sui vestiti stava a dimostrare il mio essere un dissidente politico. Era solo un fazzoletto nemmeno tanto rosso. Ed ero andato solo al cinema. A Bolzano c’era di tutto, non solo dissidenti. C’erano ebrei, zingari rastrellati dai fascisti nel nord Italia.
IL campo era diviso in vari “blocchi”.
C’erano le baracche D e E, destinate ai “pericolosi”.
In fondo al campo la baracca peggiore.
Quella destinata alle punizioni.
Ci finii anch’io in una di quelle celle.
Come tutti quelli che tentavano di fuggire.
Ci avevo provato, ma mi avevano ripreso.
Sapevo cosa mi aspettava.
Lo avevo visto molte altre volte. Corpi legati per le mani senza toccare terra.
Le costole uscite dalla loro posizione per le continue bastonate.
E quel cartello messo al collo: “Sono ritornato dalla gita”.
Rinchiuso nelle “celle nere” subii il solito trattamento da parte di due SS. Michael Seifert, detto Misha, e Otto Sein.
Erano loro i padrini di quelle celle.
Erano loro gli aguzzini, i torturatori. Quelli che uccidevano senza pietà.
Erano stai i fascisti a consegnarmi a loro.
E’ stato un amico richiuso nella cella accanto, una volta in salvo, a raccontare quello che mi hanno fatto.
“Dalla mia cella sentivo le ossa di questo ragazzo che scricchiolavano a ogni bastonatura e lui invocava la sua mamma, urlando […]”
“Mentre i due infierivano su quel ragazzo, quella stessa notte, io e gli altri prigionieri urlavamo e dicevamo loro di smetterla; dicevamo, ad alta voce: “Basta! Basta!”.
Non avevamo più paura di niente e urlavamo loro di smettere di picchiare quel ragazzo”.
“Ad un tratto, il ragazzo non urlò più […]. Quel ragazzo […] io lo conoscevo. Lo vedevo di pomeriggio e sapevo che si chiamava Bortolo Pezzutti, me lo disse lui. Lui fu ucciso nel corridoio delle celle, quel corridoio era lungo una cinquantina di metri e noi eravamo tutti lì”.
“I due torturarono per tre giorni il Bortolo. Per tre giorni ha urlato: “Non voglio morire”, per tre giorni ha chiamato la sua mamma”.
Era la notte di Pasqua del 1945.
I familiari non furono informati della sua tragica fine e il corpo venne seppellito in una fossa comune.
La zia Ninì venne a sapere che era morto, e che era sepolto al cimitero di Bolzano, solo nel 1963.
Andò a Bolzano, ma non c’era una tomba, neppure una lapide, un nome.
Il registro del cimitero riportava solo il suo nome sepolto in una grande fossa comune.
Ricordate Michael Seifert uno dei suoi assassini?
Si persero le sue tracce.
Durante il processo, tenuto nel 2000 a Verona, si scoprì che nel 1951 si era imbarcato per il Canada e nel 1956 si era sposato.
Aveva avuto un figlio e comprato casa a Vancouver, dove ancora risiedeva.
Il processo si concluse con la condanna all’ergastolo.
[…]prestando servizio nelle forze armate tedesche […] come addetto alla vigilanza del campo di concentramento […]cagionava la morte di numerose persone (almeno diciotto) che non prendevano parte alle operazioni militari.
Punto 7. Bortolo Pezzutti:
“Nella notte fra il 31 marzo e il 1° aprile, in concorso con il Sein, nelle celle di isolamento del lager, dopo aver inflitto violente bastonature al giovane prigioniero Pezzutti Bortolo, lo uccideva squarciandogli il ventre con un oggetto tagliente”.
L’estradizione di Michael "Mischa" Seifert dal Canada e il trasferimento al carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (CE) è avvenuta il 16 febbraio 2008.
E’ morto in carcere il 6 novembre 2010.
Nella sentenza si trova il senso di un processo 55 anni dopo i fatti.
Questa è la storia di Bortolo Pezzutti, 18 anni.
Che alla vigilia di Natale del 1944 andò al cinema e venne arrestato dai fascisti perché aveva al collo un fazzoletto rosso.
Solo un fazzoletto rosso.
Torturato, sventrato e ucciso solo per un fazzoletto rosso.
Il 24 aprile 2012 la targa alla memoria di Bortolo collocata a Lovere è stata data alle fiamme.
"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili” (Vittorio Foa)
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"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Delicata.
Il fosfuro di zinco invece è un composto chimico inorganico.
Ingerito, a contatto con i succhi gastrici, produce fosfina (fosfano).
Altamente tossico.
La conobbi nel 1913.
Era iscritta alla facoltà di Matematica dell’Università di Ferrara e poi si era trasferita a Firenze per frequentare i corsi di Zoologia e Botanica della facoltà di Medicina.
La conobbi lì e dopo una breve frequentazione ci fidanzammo.
Lei, la mia Enrica.
Era nata a Ferrara il 10 novembre 1891, ultima di quattro figli.
Ero con lei quando si laureò in Scienze naturali il 1º luglio 1914 con una tesi «Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l’attività estiva».
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza e non risulta che l'uso sia associato a rischi per la salute.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose?". Nessun rischio per la salute?
Questo lo dite voi.
Mi chiamano “Moretto” perché da piccolo ero scuro di capelli.
In realtà il mio nome è Pacifico Di Consiglio, nato a Roma il 10 giugno 1921.
Vivo in via Sant’Angelo in Pescheria, numero 28, a due passi dal Tempio Maggiore, nel cuore del Ghetto.
Come li ricordate i vostri diciassette anni? Felici? Spensierati? Beati voi.
Oggi, nel 1938, quello che «ha fatto anche cose buone» «all’acqua di rose» ha pensato bene di cacciare dalle scuole e dai posti di lavoro quelli come me.
Ebrei, insomma.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Dicono anche che aiuti a contrastare le rughe e gli altri segni dell’invecchiamento.
Effettivamente per me fu impossibile.
Invecchiare, intendo.
Era il 17 settembre del 1944, quando con i miei compagni fummo sorpresi e circondati da circa 30 tedeschi e 120 fascisti.
Uno scontro impari.
Dino Degani, 18 anni di Negrar, figlio di un'importante famiglia monarchica e antifascista era con me.
Lui e gli altri mi urlarono di scappare.
Replicai: "Vuialtri g'avì voia de schersàr" e poi uscii allo scoperto col moschetto in mano.
Che ci facevo in quella baita sul monte Comun, situato tra la Valpolicella e la valle di Stallavena?
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
Che teneri. L'acqua di rose è un'essenza che ha tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Ti viene da pensare ai bambini.
Forse per questo hanno pensato bene di intitolare un parco giochi a lui.
A Filettino, infatti, c’è un parco giochi per bambini intitolato a Rodolfo Graziani, il macellaio del Fezzan.
Non è roba recente. Gli è stato dedicato a
nel 1938 dal podestà Domenico Pontesilli.
Già. Un parco giochi per bambini.
E quell'anno. Il 1938. Un anno maledetto.
Io me lo ricordo bene quell’anno.
Le leggi razziali contro noi ebrei.
Un parco giochi per bambini.
Avete ancora un parco gioco per bambini intitolato a un gerarca fascista.
Qualcuno ha detto: "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
«Bentornato Licurgo. Ieri sera (qui bit.ly/2YtDuYP) abbiamo parlato degli spartiati, la casta militare.
“Torna con lo scudo o sullo scudo”.
Era il saluto delle madri spartane quando un figlio partiva per andare a combattere.
Morire in battaglia, l’onore più grande»
I 300 di Leonida alle Termopili sono l’esempio più alto. Abbiamo parlato degli spartiati, circa 10.000 e degli iloti circa 100.000. Esisteva una terza classe sociale. “Il ceto medio”. I Perieci.
50/60.000 uomini liberi che non potevano però partecipare alla vita politica.
«Senza poter votare, dovevano solo servire gli spartiati nel prepararsi alla guerra.
Potevano guadagnare, quello sì.
Erano commercianti, artigiani, fabbricanti di armi.
Il vero motore di Sparta.
Che permetteva agli spartiati di concentrarsi sulla guerra, senza lavorare»
“Brodo nero”. Sorrido pensando che vuoi raccontare la mia storia iniziando da un intingolo.
Precisamente da una carne di cinghiale cotta nel suo sangue con l’aggiunta di sale e aceto.
Posso dire che sei strano forte? Chi racconterebbe la storia di Sparta iniziando da un piatto.
«Caro Licurgo, non era un semplice piatto, dai.
Era la pietanza più apprezzata a Sparta.
Tanto che un re del Ponto fece venire alla sua reggia un cuoco spartano affinché cucinasse quella prelibatezza.
Pensava fosse una leccornia.
Invece…»
Te lo immagini un re del Ponto che inizia a sputare quella roba nel piatto?
In realtà, e il cuoco lo aveva detto chiaramente al re, per apprezzare quel piatto dovevi essere stato bagnato nell’Eurota, il fiume che attraversava Sparta.
Essere un vero spartano quindi.