"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza e non risulta che l'uso sia associato a rischi per la salute.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose?". Nessun rischio per la salute?
Questo lo dite voi.
Mi chiamano “Moretto” perché da piccolo ero scuro di capelli.
In realtà il mio nome è Pacifico Di Consiglio, nato a Roma il 10 giugno 1921.
Vivo in via Sant’Angelo in Pescheria, numero 28, a due passi dal Tempio Maggiore, nel cuore del Ghetto.
Come li ricordate i vostri diciassette anni? Felici? Spensierati? Beati voi.
Oggi, nel 1938, quello che «ha fatto anche cose buone» «all’acqua di rose» ha pensato bene di cacciare dalle scuole e dai posti di lavoro quelli come me.
Ebrei, insomma.
«Andiamo a tirare i sassi agli ebrei in ghetto» urlavano i fascisti.
Come dite? Se ho mai provato a parlare con loro? Scusate se sorrido, lo sanno anche i sassi che con i fascisti non si discute.
Mai discusso infatti, ma sempre risposto per le rime.
E mai a parole.
Mi avevano aggredito perché non volevo fare il saluto fascista e io per difendermi, in attesa di ulteriori scontri, avevo cominciato ad allenarmi in una palestra di pugilato.
Prepotenze, insulti, diffidenza erano all’ordine del giorno per noi ebrei.
«Quanti soldi rubate, oggi?» urlavano quando ci incrociavano.
Un giorno due fascisti, col pugnale al fianco, mi riconobbero per strada e cominciarono a strattonarmi e a insultarmi in quanto ebreo.
Per la serie «con i fascisti non si discute», li spintonai a terra e scappai.
Un giorno ero in via Arenula con un amico.
Passarono centinaia di fascisti.
Forse state pensando: «E sei scappato». Mai.
Moretto non scappa.
«Ebreo, ebreo» cominciarono a gridare verso di me. «Ebreo, perché non saluti?»
Risposi: «Perché non l’ho fatto mai e non lo faccio ora»
Allora uno mi tirò un pugno. Lo parai e lo stesi. Vennero verso di me altri due fascisti.
Certo, avrei potuto mettermi a discutere. Mai.
Fecero la stessa fine.
Fu solo quando vidi tutti i fascisti urlare e correre verso di me che me la diedi a gambe levate.
Erano troppi, dai.
Dal giugno 1940, dichiarata la guerra alle «demoplutocrazie occidentali», i fascisti cominciarono a dare la caccia ai nemici interni.
E un traditore mi fece arrestare.
Fu così che finii a Regina Coeli. Tutto finito? No.
In fondo ero già scappato due volte dalle loro galere.
In carcere ne feci di tutti i colori.
Un giorno vidi i tedeschi rubare i pacchi destinati a noi ebrei. Mi picchiarono a sangue quando scoprirono che li avevo ripresi e distribuiti nelle celle.
Venni alle mani pure con un secondino quando mi fece cadere il piatto di minestra.
Dicendomi «Tieniti la fame, ebreaccio».
Riuscii pure a rubare le chiavi delle celle, sapete?
E poi le avevo aperte tutte. Uno spasso.
Dovevate vedere la faccia dei tedeschi mentre mi picchiavano per l’ennesima volta a sangue.
Mentre sorridevo.
Dopo giorni di percosse fui messo su un convoglio di camion con altri prigionieri diretti a Fossoli, stazione di transito, destinazione Auschwitz.
Mi ribellai.
Colpii una delle guardie e saltai giù dal camion.
Tornai così a Roma, unendomi alle forze alleate.
La foto che vedete mi ritrae mentre giro tranquillo, vestito elegantemente, per le strade di Roma.
Era l’otto febbraio 1944. Una cosa normale, direte voi. Insomma, per me un po’ meno.
In quel periodo ero infatti ricercato sia dai fascisti che dai nazisti.
Se sapevamo dei campi di sterminio?
No, nessuno di noi immaginava.
Ne venni a conoscenza quando, finita la guerra, arrivò attraverso la Croce Rossa una lettera da mio cugino che era stato spedito ad Auschwitz.
Rimediai una macchina e attraversai l’Italia verso nord.
Ponti, strade, era tutto distrutto.
Fu un viaggio lungo e faticoso.
Comunque arrivai al confine e finalmente lo trovai.
Fu spaventoso.
Era un ragazzo robusto quando era partito.
Lo rividi che pesava 35 chili.
Fu allora che ci raccontò tutto.
Sono morto il 31 dicembre del 2006 dopo aver lavorato come responsabile della sicurezza degli ebrei nello ghetto di Roma.
Le mie ultime parole alle persone che erano vicine a me? «Fate casino»
Come a dire: «Fatevi sentire».
Era il minimo, dai.
Quattro anni fa, nel 2017, mi ha raggiunto la mia amata Ada, la mia compagna di vita.
Ora siamo di nuovo insieme.
Ada era nata nel cuore del ghetto di Roma.
Era una bambina di tredici anni quando anche lei venne cacciata dalla scuola perché ebrea.
«All'acqua di rose»
Ci eravamo incontrati la prima volta mentre io davo del filo da torcere ai fascisti.
Fortunata Di Segni, detta “Ada”. La mia Ada.
La chiamavano anche Anita Garibaldi, perché era una battagliera.
Sempre accanto a me nelle battaglie più importanti.
Spero che in voi sia rimasto lo spirito che ha animato la nostra vita in quei giorni.
E ricordatevi: «Mai abbassare la testa, si deve sempre far sentire la propria voce.
E mai discutere con i fascisti. Tanto, è inutile».
Dimenticavo.
Non è vero che non ci sono rischi per la salute nell’uso dell’acqua di rose.
Associata alle leggi razziali i rischi c’erano.
Eccome se c’erano.
Comunque, nel caso, mai abbassare la testa, mi raccomando.
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Perché avevo lavorato anche in quella viglia di Natale del 1944?
Perché qualche soldo faceva comodo alla mia famiglia, ma non solo.
Malgrado il lavoro duro, mettevo i sassi per rifare le strade, qualche soldino mi avrebbe permesso di soddisfare un desidero.
Andare al cinema.
Era quello che avrei fatto quella sera. Tornato a casa, avevo cenato frettolosamente e poi mi ero messo l’abito della festa. Il cinema era a Lovere, il Conti, dal nome del suo proprietario, anche se noi lo chiamavamo Cinema Maino. Stavo per uscire quando papà mi richiamò indietro
“Bortolo, togli quel fazzoletto rosso al collo. E’ pericoloso con tutti quei fascisti in giro”.
Per non contrariarlo tolsi il fazzoletto e lo misi in tasca. Abitavo a Branico, frazione di Costa Volpino, dove ero nato l’8 ottobre del 1926.
Da lì mi recai a Lovere. Al cinema.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Delicata.
Il fosfuro di zinco invece è un composto chimico inorganico.
Ingerito, a contatto con i succhi gastrici, produce fosfina (fosfano).
Altamente tossico.
La conobbi nel 1913.
Era iscritta alla facoltà di Matematica dell’Università di Ferrara e poi si era trasferita a Firenze per frequentare i corsi di Zoologia e Botanica della facoltà di Medicina.
La conobbi lì e dopo una breve frequentazione ci fidanzammo.
Lei, la mia Enrica.
Era nata a Ferrara il 10 novembre 1891, ultima di quattro figli.
Ero con lei quando si laureò in Scienze naturali il 1º luglio 1914 con una tesi «Sul comportamento del condrioma nel pancreas e nelle ghiandole salivari del riccio durante il letargo invernale e l’attività estiva».
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Dicono anche che aiuti a contrastare le rughe e gli altri segni dell’invecchiamento.
Effettivamente per me fu impossibile.
Invecchiare, intendo.
Era il 17 settembre del 1944, quando con i miei compagni fummo sorpresi e circondati da circa 30 tedeschi e 120 fascisti.
Uno scontro impari.
Dino Degani, 18 anni di Negrar, figlio di un'importante famiglia monarchica e antifascista era con me.
Lui e gli altri mi urlarono di scappare.
Replicai: "Vuialtri g'avì voia de schersàr" e poi uscii allo scoperto col moschetto in mano.
Che ci facevo in quella baita sul monte Comun, situato tra la Valpolicella e la valle di Stallavena?
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
Che teneri. L'acqua di rose è un'essenza che ha tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Ti viene da pensare ai bambini.
Forse per questo hanno pensato bene di intitolare un parco giochi a lui.
A Filettino, infatti, c’è un parco giochi per bambini intitolato a Rodolfo Graziani, il macellaio del Fezzan.
Non è roba recente. Gli è stato dedicato a
nel 1938 dal podestà Domenico Pontesilli.
Già. Un parco giochi per bambini.
E quell'anno. Il 1938. Un anno maledetto.
Io me lo ricordo bene quell’anno.
Le leggi razziali contro noi ebrei.
Un parco giochi per bambini.
Avete ancora un parco gioco per bambini intitolato a un gerarca fascista.
Qualcuno ha detto: "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
«Bentornato Licurgo. Ieri sera (qui bit.ly/2YtDuYP) abbiamo parlato degli spartiati, la casta militare.
“Torna con lo scudo o sullo scudo”.
Era il saluto delle madri spartane quando un figlio partiva per andare a combattere.
Morire in battaglia, l’onore più grande»
I 300 di Leonida alle Termopili sono l’esempio più alto. Abbiamo parlato degli spartiati, circa 10.000 e degli iloti circa 100.000. Esisteva una terza classe sociale. “Il ceto medio”. I Perieci.
50/60.000 uomini liberi che non potevano però partecipare alla vita politica.
«Senza poter votare, dovevano solo servire gli spartiati nel prepararsi alla guerra.
Potevano guadagnare, quello sì.
Erano commercianti, artigiani, fabbricanti di armi.
Il vero motore di Sparta.
Che permetteva agli spartiati di concentrarsi sulla guerra, senza lavorare»
“Brodo nero”. Sorrido pensando che vuoi raccontare la mia storia iniziando da un intingolo.
Precisamente da una carne di cinghiale cotta nel suo sangue con l’aggiunta di sale e aceto.
Posso dire che sei strano forte? Chi racconterebbe la storia di Sparta iniziando da un piatto.
«Caro Licurgo, non era un semplice piatto, dai.
Era la pietanza più apprezzata a Sparta.
Tanto che un re del Ponto fece venire alla sua reggia un cuoco spartano affinché cucinasse quella prelibatezza.
Pensava fosse una leccornia.
Invece…»
Te lo immagini un re del Ponto che inizia a sputare quella roba nel piatto?
In realtà, e il cuoco lo aveva detto chiaramente al re, per apprezzare quel piatto dovevi essere stato bagnato nell’Eurota, il fiume che attraversava Sparta.
Essere un vero spartano quindi.