Parliamo di #unionesovietica a 30 anni dalla fine di quell'esperimento. Che ha portato alla fine del socialismo reale, e alla crisi non solo del movimento comunista internazionale ma, più in generale, della sinistra - quantomeno nel mondo occidentale.
La Rivoluzione d'Ottobre ha rappresentato la più grande sfida al capitalismo. Al di là delle successive evoluzioni, e dei tragici sbagli, quell'evento e quell'esperimento hanno egemonizzato l'opposizione politica, aiutati senza dubbio dalla polarizzazione della Gurra Fredda.
Anche la socialdemocrazia, che pure rifiutava l'esperimento sovietico, era comunque figlia di quello stesso seme: la lotta era per la redistribuzione e non per la rivoluzione, ma era un conflitto pur sempre originato dalla contrapposizione tra classi diverse.
Il successo, innegabile, dell'#URSS diede un contributo enorme alla causa del marxismo e della sinistra nel mondo. La Rivoluzione ispirò le lotte di milioni di sfruttati; la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale diede un prestigio globale a quelle idee;
l'eccezionale crescita economica mostrava una via alternativa allo sviluppo per i paesi più poveri; il ruolo dei comunisti nei movimenti anti-colonialisti - e la geopolitica che spingeva nelle braccia di Mosca qualsiasi tentativo di riscatto nazionale -
estese su scala globale la leadership sovietica, e l'ideologia di cui era portatrice. Allo stesso tempo quel successo, e la rigida ortodossia, schiacciavano qualsiasi altra forma di elaborazione socialista. Esistevano eccezioni, il PCI fu una di quell, ma eccezioni rimanevano.
L'identificazione di un sistema di idee con un paese fu però anche il più grande limite dell'esperimento socialista. Berlinguer aveva ragione nel dire che la spinta propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre si era esaurita, ma non c'era altro per rimpiazzarla.
Anche un partito come il PCI, che già ai tempi di Togliatti si era reso protagonista di una elaborazione teorica e politica autonoma da Mosca, che era il più grande partito comunista d'Occidente non potè reggere il crollo dell'URSS.
La svolta di Occhetto, pur mal pensata e peggio eseguita, recepiva correttamente l'identificazione della causa comunista con l'URSS. Ma, in verità, ne sottovalutava l'impatto. Non furono solo i comunisti a esserne travolti.
Non era la fine della storia, chè le contraddizioni del capitalismo, lo vediamo bene oggi, sono rimaste intatte. Ma era, almeno per allora, la fine della sfida, politica, ideologica, teorica e pratica, al capitalismo. E dunque quella sconfitta andava ben oltre l'URSS;
ed andava ben oltre il movimento comunista internazionale. Era la fine dell'alternativa, era la fine della sinistra. Che in quel marasma nacque la Terza Via, che abbandonava in toto la contrapposizione capitale-lavoro fu, in qualche modo, il segno dei tempi.
Spariva, insieme all'URSS, anche la socialdemocrazia, che pure tanto aveva fatto per cercare di sganciarsi dal comunismo. La sinistra non era solo il comunismo, non era l'Unione Sovietica, ma quel crollo travolse tutti.
Solo oggi, trent'anni dopo, ci accorgiamo di quanto quel sistema teorico sia di grandissima attualità. Di come la società rimanga divisa in classi, di come le crisi del capitalismo travolgano il mondo del lavoro a tutto vantaggio del capitale.
E dunque di come, anche senza Unione Sovietica, sia necessario ripensare una alternativa al sistema economico e politico in cui viviamo.

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