Fino ad agosto, nella prigione di Kandahar erano detenuti centinaia di terroristi talebani. Col cambio di regime, la situazione si è capovolta.
Abbiamo ottenuto un permesso speciale per visitare le celle che ospitano i detenuti e la visita è stata sconvolgente.
Questo carcere ospita prigionieri politici, ex militari del vecchio esercito ma soprattutto tossicodipendenti e omosessuali.
Di 1800 detenuti, 1400 sono persone con problemi di droga ed uno dei primi atti dei talebani è stato proprio quello di rastrellarli e rinchiuderli dentro.
Stessa sorte per i gay e queste immagini documentano il settore adibito a queste due fattispecie.
Le persone sono ammassate in corridoi angusti e bui. Non c'è luce, non c'è alcuna dignità per questi esseri umani. Le celle sono sporche oltre ogni immaginazione.
I vestiti sono lacerati e i volti come paralizzati. I carcerati ti osservano immobili e quasi privi di vita da dietro le sbarre: anime perse in un girone dantesco.
Ho chiesto di poter visitare la sezione femminile ma mi è stato vietato.
Ho chiesto di poter visitare la sezione femminile ma mi è stato vietato.
Il direttore dell'istituto, a ogni modo, mi ha concesso un'intervista, spiegando che le donne detenute hanno compiuto soprattutto due tipi di reati: adulterio e ribellione al marito.
Questa donna, che chiameremo Nadia, ci racconta in lacrime sette mesi di occupazione russa a Kupiansk. Un periodo durante il quale ha subito varie torture. I russi cercavano suo figlio e lei lo nascondeva: così l’hanno incarcerata e messa in una gabbia assieme ad altre 9 donne.
Ogni giorno le attaccavano delle pinze porta elettrodi a capezzoli e lobi. Poi, distesa a terra e nuda, le davano varie scosse. Doveva sputare sulla bandiera ucraina e consegnare le informazioni che le chiedevano.
Nadia non ha ceduto e alla fine l’hanno rilasciata. A quanto pare i russi avevano già raggiunto il numero massimo di minori da trasportare oltre confine. “In tutto 382, soltanto a Kupiansk”, dice. E sono dati diffusi direttamente dalla propaganda degli occupanti.
+++ Dopo il reportage dalla prigione di Kandahar, dove mostravo gruppi di bambini di strada condotti all'interno del carcere per espletare poco chiare pratiche di identificazione, si è attivata @UNICEF attraverso un suo team locale.
L'agenzia per i minori delle Nazioni Unite fa sapere di aver incontrato i responsabili della prigione e di aver accertato la terribile condizione dei bambini che già avevo documentato.
@UNICEF mi fa sapere adesso di aver convinto il Governatore dell'emirato a un accordo. Da oggi, i bambini di strada verranno portati in una struttura più adatta a minori in condizioni di estrema indigenza. E questo avverrà sotto la supervisione di @UNICEF
I.D.P sta per Internal Displaced People. In pratica, sono quelle persone fuggite dalle loro terre e città per trovare posto in altre zone dello stesso Paese.
In Afghanistan sono più di tre milioni e mezzo e molte migliaia di persone si sono aggiunte negli ultimi mesi, per effetto del ritorno dei talebani
Queste persone, vivono in campi profughi. Alcuni vecchi di anni, altri appena installati.
I bambini spesso arrivano in gruppo.
Questo capita perché sono loro, in famiglia, gli incaricati a cercare materiali utili nelle discariche ed è lì che incappano in qualche ordigno inesploso.
Per questo, arrivano insieme e insieme soffrono le stesse menomazioni: un braccio, una gamba, gli occhi, una mano.
Invece ad Asif hanno sparato. Un colpo destinato ad altri, in un' eterna e inutile guerra tra fazioni.
Mentre mi trovavo nel carcere, un furgoncino ha portato all'interno dell'istituto un gruppo di bambini. Erano in condizioni penose e piangevano disperati. Le mani sporche all'inverosimile, i vestiti laceri e addosso gli oggetti utili per i lavori che stavano svolgendo.
Mi hanno spiegato che si tratta di bambini di strada che vengono prelevati e portati in prigione dai talebani. Le guardie mi hanno assicurato che si tratta solo di controlli necessari all'identificazione e alla restituzione alle rispettive famiglie.
A ogni modo, mi ha colpito e preoccupato molto vederli dentro un istituto penitenziario.