Ieri (leggete qui bit.ly/3qVzR95) vi ho raccontato dell’affondamento del transatlantico Laconia e del disperato tentativo di salvare tutte quelle persone disperate.
Sì, sono stato io ad affondarlo. Mi chiamo Werner Hartenstein, comandante del sommergibile tedesco U-156.
Ricordo che tirai un sospiro di sollievo. Certo, avevo affondato un transatlantico che trasportava prigionieri italiani, nostri Alleati, ma avevo fatto tutto il possibile per rimediare.
Il sollievo durò poco.
Perché, come vi ho raccontato, quel rumore era inconfondibile.
Il rumore di un bombardiere americano B-24 del tipo Libertador. Aveva ascoltato i messaggi radio che avevo inviato. Non sapevo che intenzione avesse. Sapeva che era in corso un’operazione di salvataggio? Avevo poco tempo. Feci stendere sul cannone del sommergibile una bandiera.
Ma non una bandiera qualsiasi.
Era quella della Croce Rossa Internazionale, a significare che avevamo a bordo dei feriti.
Non sapevo se avrebbe funzionato, ma era l’unica idea che mi venne in mente in quel momento. Restammo tutti col fiato sospeso.
Il bombardiere americano volteggiò sopra le nostre teste per qualche minuto, mentre un ufficiale inglese, con il mio consenso, inviò un messaggio radio al pilota informandolo di quello che stavamo facendo.
Non ebbe risposta, ma dopo attimi di attesa l’aereo si allontanò.
Riprendemmo le operazioni di salvataggio. ma la calma durò poco. Le urla degli italiani, mentre indicavano il cielo, mi avvisarono del pericolo. Il bombardiere americano stava tornando e la sua picchiata verso di noi mise in chiaro le sue intenzioni.Voleva bombardare il mio U-156
Ricordo con precisione i miei comandi. “Tagliate le cime dei canotti !! Immersione rapida!!”.
Molti caddero in acqua mentre fortunatamente la manovra che avevo ordinato aveva evitato la prima bomba.
La seconda ci prese di striscio, ma riuscimmo ad allontanarci dal pericolo.
Ma alcune domande continuano ancora oggi a frullarmi nella testa.
Perché ci aveva bombardato?
Non aveva visto la bandiera della CRI distesa sul cannone?
Perché se n’era andato per poi tornare?
Aveva forse ricevuto l’ordine di attaccarci pur sapendo quello che stavamo facendo?
Il comandante Hartenstein non conoscerà mai le risposte alle sue domande.
L’aereo americano aveva visto qualcosa di strano, aveva anche visto la bandiera della CRI e si era allontano per chiedere alla base nuove istruzioni.
Le istruzioni erano state chiare.
“Affondare l’U-156”
E il tenente James D. Harden, pilota del bombardiere americano B-24, aveva obbedito agli ordini.
Erano le crudeli regole della guerra.

Quell’attacco mandò su tutte le furie il vice ammiraglio tedesco Karl Donitz.
Che subito emanò una nuova direttiva.
“In qualunque circostanza, d’ora in avanti i sommergibili dovranno astenersi da portare soccorso agli equipaggi delle navi nemiche affondate. Vietato mettere scialuppe in mare o anche solo fornire cibo e acqua potabile. I salvataggi sono contrari alle condizioni di guerra”.
Già, avrà pensato Donitz.
Non possiamo essere teneri con chi bombarda le nostre città.
Non sapeva che quella direttiva sarebbe stata usata al Processo di Norimberga contro di lui.
Dove portò, in sua difesa, l’attacco del bombardiere americano in un’operazione di salvataggio.
Inutilmente.
Anche se Donitz non venne accusato di crimini contro l’umanità o di aver partecipato in qualche modo allo sterminio degli ebrei, venne condannato a dieci anni che scontò nel carcere di Spandau a Berlino.
E’ morto nel 1980.

E il comandante Werner Hartenstein?
Dopo l’affondamento del Laconia continuò la guerra alla caccia di navi nemiche, ma sempre ignorando la direttiva di Donitz. Quando il 19 settembre affonderà il cargo britannico Quebec City, lascerà i rifornimenti necessari comunicando poi la posizione per il recupero degli uomini
Perché così voleva la tradizione marinara?
Perché aveva visto coi propri occhi l’orrore della guerra e delle sue regole crudeli?
Perché l’errore dell’affondamento del Laconia lo tormentava?
Perché aveva solo 35 anni, e aveva capito che la guerra era qualcosa di orribile?
In realtà l’affondamento del Laconia non era colpa sua. Almeno per le regole del mare in una guerra.
Il Laconia era armato.
Aveva 2 cannoni da 4,7”, 3 cannoni antiaerei e diverse mitragliatrici.
Era buio e avanzava a zigzag, e a luci spente (navigazione anti-sommergibile).
Sul Laconia viaggiavano in totale 2.789 persone, compresi i prigionieri italiani.
Morirono 1.678 esseri umani, tra questi, 1.400 italiani.
I sopravvissuti furono 1.111.
Solo 400 gli italiani.
Una tragedia che sarà ben presto dimenticata.

Ricordate l’inizio della storia?
Diario di bordo, 8 marzo 1943.
Siamo appena stati colpiti in pieno dalle bombe di profondità da parte di un aereo americano, un PBY Catilina, e ci stiamo inabissando...

L’U-156 si inabissò ad est di Barbados portando con sé il comandante Hartenstein e i 53 uomini d’equipaggio.
La direttiva di Donitz (Triton Null) proibiva di portare soccorso agli equipaggi delle navi nemiche affondate, e questo gli costò dieci anni di carcere.

Malgrado la testimonianza di Chester Nimitz, ammiraglio statunitense, comandante in capo della United States Pacific Fleet
Nimitz testimoniò che la Marina degli Stati Uniti aveva utilizzato nel Pacifico, nella guerra contro il Giappone, qualcosa di simile alla direttiva di Donitz.
Ai sottomarini americani era infatti vietato, in caso di pericolo, di prestare soccorso ai sopravvissuti.
Tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l'inizio di ogni guerra. Quando si educherà per la cooperazione e per offrirci l'un l'altro solidarietà, quel giorno si starà educando per la pace.
MARIA MONTESSORI

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Mar 26
Durante i miei anni all’Università, al Pasadena Junior College e alla UCLA, eccellevo in sport come l’atletica e il football.
Infatti quando abbandonai l’Università andai a Honolulu per giocare a football con la squadra semiprofessionista degli Honolulu Bears.
Mi ero trasferito alla UCLA dopo la morte in un incidente in moto di mio fratello, per restare vicino alla mia famiglia.
Fui il primo atleta a qualificarmi in quattro sport (baseball, football, basket e corsa su pista).
Fu lì che incontrai la mia futura moglie, Rachel Islam.
Avete presente la finale dei 200 metri alle Olimpiadi di Berlino del 1936?
Lo so, sapete tutti che a vincere fu Jesse Owens.
Ma sapete chi arrivò secondo?
Ve lo dico io.
Il mio fratellone, Matthew Robinson, detto Mack. ImageImage
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Mar 24
Diario di bordo, 8 marzo 1943.
Siamo appena stati colpiti dalle bombe di profondità lanciate da un aereo americano, un PBY Catilina, e ci stiamo inabissando.
I miei uomini hanno giurato da tempo di seguirmi fino in capo al mondo.
E’ ciò che sta accadendo.
E mi dispiace.
La guerra è qualcosa di crudele, come mai avrei immaginato, dopo quello che successe quel giorno.
Da allora sono cambiato.
Non sono più il comandante di un tempo, cinico e spietato.
Mi chiamo Werner Hartenstein, comandante del sommergibile tedesco U-156.
Mi chiedo se ne sia valsa la pena.
Morire a soli 35 anni, intendo.
Come ho fatto a non capirlo prima.
Perché c’è voluto quel maledetto giorno per farmi capire quanto sia assurda la guerra.
Abbiamo aria a sufficienza per potervi raccontare quel giorno nefasto.
Read 25 tweets
Mar 23
Ho dedicato la mia vita alla cura del cervello.
E per un paradossale scherzo del destino ho chiuso la mia vita il 3 marzo 2018 muovendomi a fatica, rallentato da tempo dal Morbo di Parkinson.
Orgoglioso del premio conferitomi dall’Accademia americana di neurologia.
In verità non ho mai smesso di “correre”, portando i miei quattro figli ogni mattina a fare jogging al Kensington Gardens di Londra.
Perché correre mi era servito a cambiare un’epoca.
A dimostrare al mondo che “il cervello, se si mette correre, è imbattibile”.
Sono nato ad Harrow, in Inghilterra.
Dopo la scuola elementare ho continuato la mia formazione alla City of Bath Boys School e alla University College School di Londra.
La mia era una famiglia di lavoratori e io volevo studiare medicina.
Impossibile, visti i costi.
Read 21 tweets
Mar 22
Oggi, 3 gennaio 1942, si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti e sono stati assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
E' l'8 novembre 1942.
L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
Cinque giorni dopo, l’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal.
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Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Read 11 tweets
Mar 21
Francesi e belgi fanno a gara per indicarmi come il loro massimo jazzista.
Volete sapere la verità?
Io appartengo all’intera Europa.
E come potrebbe essere diversamente per un “sinti”, membro della popolazione zigana che scorazza libera in Europa da centinaia di anni?
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Perseguitato sì, ma libero e orgoglioso.
Quando nacqui, nel 1910, la roulotte dei miei genitori si trovava in Belgio, nel paesino di Liberchies.
Un puro caso.
Ben presto ci spostammo in Francia.
E’ lì che sono cresciuto.
Mia madre era una danzatrice zingara Manouche e mio padre, Jean-Eugène Weiss, suonava, intrecciava panieri e aggiustava strumenti. Anch'io avevo una dote. Ero portato per la musica e suonavo il banjo in modo divino.
Read 16 tweets
Mar 20
Durante il Fascismo la fotografia è stata un importante veicolo propagandistico della dittatura.
L’immagine del Duce era ovunque.
Nelle città e nelle campagne, funzionando come un messaggio pubblicitario.
Nel 1924 venne creato l’Istituto Luce.
Un’organizzazione pubblica di informazione e propaganda attraverso le immagini.
Malgrado l’Istituto avesse a disposizione un numero vastissimo di foto, solo alcuni tipi di fotografie venivano pubblicate.
Quelle che servivano alla causa.
Le fotografe dovevano rispettare alcune regole.
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Lo sguardo pensieroso, ma acuto e profondo.
Il suo corpo apparire virile.
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