Durante il Fascismo la fotografia è stata un importante veicolo propagandistico della dittatura.
L’immagine del Duce era ovunque.
Nelle città e nelle campagne, funzionando come un messaggio pubblicitario.
Nel 1924 venne creato l’Istituto Luce.
Un’organizzazione pubblica di informazione e propaganda attraverso le immagini.
Malgrado l’Istituto avesse a disposizione un numero vastissimo di foto, solo alcuni tipi di fotografie venivano pubblicate.
Quelle che servivano alla causa.
Le fotografe dovevano rispettare alcune regole.
Il Duce doveva presentarsi come figura carismatica, un modello che tutti gli italiani dovevano imitare. Inquadrato sempre dal basso.
Lo sguardo pensieroso, ma acuto e profondo.
Il suo corpo apparire virile.
Se la fotografia non rispettava certe regole veniva censurata.
Questa per esempio.
E' stata scattata il 12 novembre 1924.
Mussolini mentre posa da muratore, ma lo scatto non lo soddisfa e viene censurato.
E pure questa fotografia venne censurata.
Scattata il 19 agosto 1936 nell'Agro Pontino.
Per colpa di quelle due ragazze che sembrano ridere di lui.
Chissà perché?
Anche qui non ci siamo.
Fotografia censurata.
Mussolini non sopportava abiti che lo ingrassavano.
Figuriamoci una fotografia che ritrae un gerarca fascista mentre sta cadendo in acqua.
Però c’erano fotografie che dovevano essere diffuse, ma avevano "imperfezioni".
E allora interveniva una pratica diffusa in tutto il mondo.
“I falsi di regime”.
Uno dei “falsi di regime” del fascismo fu questa immagine.
Raffigura Mussolini in splendido isolamento capace di controllare la propria cavalcatura senza nessun aiuto. In realtà i “falsi” di questa fotografia sono parecchi. Facciamo un passo indietro.
Al fine di guadagnarsi il favore degli arabi Mussolini decide di farsi conferire il titolo di protettore dell'islam.
Il 18 marzo 1937 la spada dell'Islam viene consegnata al Duce dal berbero Iusuf Kerisc durante una sontuosa cerimonia.
I giornali italiani diedero molto spazio a questo evento, ma la cerimonia faceva ridere, tanto era assurda.
Come raccontata sembra che la spada sia un regalo del mondo arabo al Duce.
In realtà la spada era stata fatta fare, e portata in Libia, dallo stesso Mussolini.
A costruire il prezioso manufatto (aveva arabeschi, una lama dritta a doppio filo e con elsa e fregi in oro massiccio), era stata una grande ditta artigiana, la “Picchiani e Barlacchi” di Firenze, su ordine dello stesso Mussolini.
Ricordate la fotografia con Mussolini a cavallo con la Spada dell’Islam in splendida solitudine?
Beh, era stata modificata.
Il cavallo stava immobile perché c’era un palafreniere a tenerlo fermo.
Mussolini aiutato a tenere fermo un cavallo?
Impossibile, da tagliare.
Che fine fece la Spada dell’Islam?
Rachele Mussolini : "Era conservata in una teca di vetro alla Rocca delle Caminate. Fu rubata nel 1943".
Mussolini a cavallo faceva parte di un classico vizio di tutti i regimi: manipolare le foto.
E non solo le foto.
Cerano gli enormi magazzini per la stampa, coi loro redattori, i tipografi e gli studi provvisti dell'adeguato equipaggiamento per la falsificazione delle fotografie.
(1984 di George Orwell)
In un tweet precedente vi ho parlato di foto “falsi di regime”.
Fotografie, tipo quella di Mussolini a cavallo con la spada dell’Islam.
Fotografie manipolate, ritoccate, scontornate o in parte cancellate.
Le foto scattate a Mussolini furono utilizzate per manifesti, copertine di libri, cartoline e riviste.
E via di manipolazioni.
E la pedana viene trasformata in un piedistallo con tanto di data secondo il calendario fascista.
“Credere, Obbedire, Combattere!”.
Però via quella corda.
E lo sfondo.
Qui siamo nel 1937, nel Parco della Cancelleria a Berlino.
Hitler chiacchiera con Leni Riefenstahl che diventerà la “Regista del nazismo”.
La prima foto è quella ufficiale.
In realtà era stato cancellato Goebbels.
Il motivo è sconosciuto
Tranquilli, questa foto invece fu fatta sparire (verrà scoperta solo nel 1950) perché incompatibile con la dignità di uno che voleva far tremare il mondo.
Settembre 1971.
Sulla Pravda viene pubblicata la foto dell’incontro tra Brežnev e Willy Brandt a Oreanda, tre miglia da Yalta. Foto decorosa.
In realtà erano state cancellate tutte le bottiglie e tutti i bicchieri.
Siamo ne 1920.
Lenin parla alla folla.
Una fotografia, la più celebre, dell’iconografia rivoluzionaria.
E quindi via Trockij e Kamenev che, sulle scale, aspettano di parlare.
E' il 5 marzo 1953.
Stalin è morto.
La foto di Stalin viene usata dalla Pravda per fare innumerevoli fotomontaggi con tutte le autorità.
Che nemmeno erano andate a rendergli omaggio.
Qui siamo nel 1944.
Mao e il culto della personalità.
Via tutte le figure in secondo piano.
La Banda dei Quattro era composta da Jiang Qing, Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan e Wang Hongwen.
I quattro furono rimossi da tutte le foto ufficiali.
Insomma, la propaganda non ha confini.
La disinformazione neppure.
Entrambe, con un unico obiettivo sensibile: la verità.
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Oggi, 3 gennaio 1942, si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti e sono stati assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
E' l'8 novembre 1942.
L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
Cinque giorni dopo, l’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal.
E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Francesi e belgi fanno a gara per indicarmi come il loro massimo jazzista.
Volete sapere la verità?
Io appartengo all’intera Europa.
E come potrebbe essere diversamente per un “sinti”, membro della popolazione zigana che scorazza libera in Europa da centinaia di anni?
Sì, sono considerato il fondatore del jazz europeo malgrado appartenga ad un popolo perseguitato.
Perseguitato sì, ma libero e orgoglioso.
Quando nacqui, nel 1910, la roulotte dei miei genitori si trovava in Belgio, nel paesino di Liberchies.
Un puro caso.
Ben presto ci spostammo in Francia.
E’ lì che sono cresciuto.
Mia madre era una danzatrice zingara Manouche e mio padre, Jean-Eugène Weiss, suonava, intrecciava panieri e aggiustava strumenti. Anch'io avevo una dote. Ero portato per la musica e suonavo il banjo in modo divino.
"Che Dio ti protegga", disse papà mentre scappavo dal quel vagone.
Mi aveva implorato di mettermi in salvo, lui troppo stanco e stremato per potermi seguire.
Il mio tentativo di fuga però era fallito ed ero finito a Mauthausen, prima di essere liberato.
Sto tornando a casa.
Mi chiamo Fritz Kleinmann e sette anni fa, quando tutto era cominciato, di anni ne avevo quindici. Vivevamo a Vienna.
Io, papà Gustav maestro tappezziere, mamma Tini, il mio fratellino Kurt e le mie sorelle Edith e Herta.
Felici, quando nel 1938…
Tutto cambiò per noi ebrei.
Con l’annessione dell’Austria alla Germania nazista e a causa delle famigerate leggi di Norimberga, venimmo privati della cittadinanza.
Fui espulso dalla scuola e il mio sogno di diventare tappezziere come mio padre svanì.
Ricordo che era l’inizio di marzo del 1942.
Fu passeggiando per il paese che vedemmo quel manifesto incollato sui muri delle case.
Invitava, o meglio, ordinava a tutte le ragazze di andare a scuola il 20 marzo per un lavoro. Già, eravamo ebrei e a scuola mica ci potevamo andare
Tutto era cominciato anni prima, quando i tedeschi avevano annesso il nostro Paese, la Slovacchia.
Fu in quel momento che avevano cominciato a perseguitare noi ebrei.
Niente scuola e istruzione sopra i 14 anni.
Pensate.
Ci impedivano persino di avere dei gatti in casa.
Avevo 17 anni quando lessi quel manifesto.
Parlava di ragazze dai 16 ai 36 anni, nubili.
Ricordo che mamma Henna non voleva perdere me e mia sorella Lea di 19 anni per un non meglio identificato “contratto per tre mesi in una fabbrica per produrre stivali per le truppe”.
Definirmi una copia è mancarmi di rispetto.
Io sono unica.
E oltretutto più umana, più bella, più hermosa insomma.
Giudicherete voi.
Comunque è stato appurato che siamo nate più o meno nello stesso periodo.
Sì, quasi gemelle.
Quasi gemelle, ma non proprio uguali.
Lei è un centimetro in più in altezza e quattro centimetri in meno in larghezza.
Forse per il fatto che abbiamo due padri diversi.
Il mio molto più giovane.
Probabilmente un allievo dell’altro, il suo maestro.
Siamo nate entrambe tra il 1503 e il 1504 a Firenze.
Lei più sfumata.
Io più semplice, più compatta.
Come detto, da padri diversi.
Forse sotto la supervisione del maestro.
Quel che è certo è che i miei colori sono più nitidi.
Me lo ricordo bene quel 5 maggio 1938.
Era una bella giornata di sole.
Ai lati di Via Caracciolo, sul lungomare, c’era un sacco di gente in attesa del suo passaggio.
Ad un tratto l’auto scoperta avanzò tra le due ali di folla e lui, il Fuhrer, si alzò in piedi.
Ricordo ancor meglio la voce di uno sconosciuto che ruppe il silenzio della cerimonia, quando Hitler tese il braccio nel classico saluto nazista.
“Sta verenn’ si for’ chiove” (sta controllando se fuori piove)”.
E la gente scoppiò in una fragorosa risata.
Perché noi napoletani, in quanto a ironia e capacità di non prenderci troppo sul serio, non ci batte nessuno. Non solo.
Ditemi voi dove Mussolini, definito ‘nu pagliaccio“ dal Vate, poteva farsi fotografare con una rosa in bocca, se non davanti al mare di Napoli.