Oggi, 3 gennaio 1942, si sono arruolati nella Marina degli Stati Uniti e sono stati assegnati all'incrociatore leggero USS Juneau (CL-52).
Sono George, Frank, Joe, Matt e Al.
Hanno tra i 20 e i 27 anni.
Sono cinque fratelli.
I cinque fratelli Sullivan.
E' l'8 novembre 1942.
L’incrociatore USS Juneau (CL-52), con a bordo i cinque fratelli Sullivan, è assegnato alla Task Force 69 (TF 69) come scorta antiaerea della portaerei USS Enterprise.
Sono salpati dalla Nuova Caledonia con un convoglio diretto a Guadalcanal.
Cinque giorni dopo, l’incrociatore USS Juneau è coinvolto nella prima battaglia navale di Guadalcanal.
E' incaricato di fermare una squadra giapponese diretta a bombardare l'aeroporto di Henderson Field a Guadalcanal.
Un siluro giapponese lo colpisce sul lato sinistro
Il siluro provoca gravi danni.
Non può partecipare al resto della battaglia.
Riceve l'ordine di recarsi a Espiritu Santo insieme ad altre navi americane danneggiate.
La formazione è però intercettata dal sommergibile giapponese I-26, che lancia due siluri verso il Juneau
L'incrociatore viene colpito in pieno da entrambi i siluri causando una potente esplosione che lo spezza in due.
Il Juneau affonda rapidamente.
A bordo si trovano circa 700 marinai.
La nave cola a picco in pochi minuti.
I morti sono 687.
Ma non tutti muoiono subito.
115 riescono a salvarsi buttandosi in mare o sulle scialuppe di salvataggio.
Il comando della Marina americana, pensando non ci siano superstiti, decide di non effettuare le ricerche e di non dare le coordinate della nave.
Otto giorni dopo l'affondamento vengono recuperati dieci sopravvissuti.
Raccontano che dei cinque fratelli Sullivan, Frank, Joe e Matt sono morti subito per l’esplosione.
Al è annegato il giorno dopo.
George è sopravvissuto per cinque giorni, poi il delirio e la caduta in mare
12 gennaio 1943.
Papà Thomas Sullivan è davanti al portico della sua casa al numero 98 di Adams Street di Waterloo (Iowa).
Vede arrivare un ufficiale della Marina. Che dice: “Devo dirvi alcune cose in merito ai vostri figli”. Il papà comprende e chiede: "Chi dei cinque?"
"Tutti"
Dopo la morte dei cinque fratelli Sullivan, nel 1948, venne approvata la direttiva "Sole Survivor Policy", che non solo separava in guerra i fratelli, ma toglieva dal combattimento componenti di una famiglia che avevano già avuto un caduto.
20 marzo 2018.
Oggi è stato localizzato un relitto in fondo al Pacifico, a 4.200 metri di profondità, dalla nave ricerca Petrel, finanziata dal co-fondatore di Microsoft Paul Allen.
E’ l'incrociatore americano Uss Juneau, affondato il 13/11/1942.
Con i cinque fratelli Sullivan
“Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire.”
(JEAN-PAUL SARTRE)
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Diario di bordo, 8 marzo 1943.
Siamo appena stati colpiti dalle bombe di profondità lanciate da un aereo americano, un PBY Catilina, e ci stiamo inabissando.
I miei uomini hanno giurato da tempo di seguirmi fino in capo al mondo.
E’ ciò che sta accadendo.
E mi dispiace.
La guerra è qualcosa di crudele, come mai avrei immaginato, dopo quello che successe quel giorno.
Da allora sono cambiato.
Non sono più il comandante di un tempo, cinico e spietato.
Mi chiamo Werner Hartenstein, comandante del sommergibile tedesco U-156.
Mi chiedo se ne sia valsa la pena.
Morire a soli 35 anni, intendo.
Come ho fatto a non capirlo prima.
Perché c’è voluto quel maledetto giorno per farmi capire quanto sia assurda la guerra.
Abbiamo aria a sufficienza per potervi raccontare quel giorno nefasto.
Ho dedicato la mia vita alla cura del cervello.
E per un paradossale scherzo del destino ho chiuso la mia vita il 3 marzo 2018 muovendomi a fatica, rallentato da tempo dal Morbo di Parkinson.
Orgoglioso del premio conferitomi dall’Accademia americana di neurologia.
In verità non ho mai smesso di “correre”, portando i miei quattro figli ogni mattina a fare jogging al Kensington Gardens di Londra.
Perché correre mi era servito a cambiare un’epoca.
A dimostrare al mondo che “il cervello, se si mette correre, è imbattibile”.
Sono nato ad Harrow, in Inghilterra.
Dopo la scuola elementare ho continuato la mia formazione alla City of Bath Boys School e alla University College School di Londra.
La mia era una famiglia di lavoratori e io volevo studiare medicina.
Impossibile, visti i costi.
Francesi e belgi fanno a gara per indicarmi come il loro massimo jazzista.
Volete sapere la verità?
Io appartengo all’intera Europa.
E come potrebbe essere diversamente per un “sinti”, membro della popolazione zigana che scorazza libera in Europa da centinaia di anni?
Sì, sono considerato il fondatore del jazz europeo malgrado appartenga ad un popolo perseguitato.
Perseguitato sì, ma libero e orgoglioso.
Quando nacqui, nel 1910, la roulotte dei miei genitori si trovava in Belgio, nel paesino di Liberchies.
Un puro caso.
Ben presto ci spostammo in Francia.
E’ lì che sono cresciuto.
Mia madre era una danzatrice zingara Manouche e mio padre, Jean-Eugène Weiss, suonava, intrecciava panieri e aggiustava strumenti. Anch'io avevo una dote. Ero portato per la musica e suonavo il banjo in modo divino.
Durante il Fascismo la fotografia è stata un importante veicolo propagandistico della dittatura.
L’immagine del Duce era ovunque.
Nelle città e nelle campagne, funzionando come un messaggio pubblicitario.
Nel 1924 venne creato l’Istituto Luce.
Un’organizzazione pubblica di informazione e propaganda attraverso le immagini.
Malgrado l’Istituto avesse a disposizione un numero vastissimo di foto, solo alcuni tipi di fotografie venivano pubblicate.
Quelle che servivano alla causa.
Le fotografe dovevano rispettare alcune regole.
Il Duce doveva presentarsi come figura carismatica, un modello che tutti gli italiani dovevano imitare. Inquadrato sempre dal basso.
Lo sguardo pensieroso, ma acuto e profondo.
Il suo corpo apparire virile.
"Che Dio ti protegga", disse papà mentre scappavo dal quel vagone.
Mi aveva implorato di mettermi in salvo, lui troppo stanco e stremato per potermi seguire.
Il mio tentativo di fuga però era fallito ed ero finito a Mauthausen, prima di essere liberato.
Sto tornando a casa.
Mi chiamo Fritz Kleinmann e sette anni fa, quando tutto era cominciato, di anni ne avevo quindici. Vivevamo a Vienna.
Io, papà Gustav maestro tappezziere, mamma Tini, il mio fratellino Kurt e le mie sorelle Edith e Herta.
Felici, quando nel 1938…
Tutto cambiò per noi ebrei.
Con l’annessione dell’Austria alla Germania nazista e a causa delle famigerate leggi di Norimberga, venimmo privati della cittadinanza.
Fui espulso dalla scuola e il mio sogno di diventare tappezziere come mio padre svanì.
Ricordo che era l’inizio di marzo del 1942.
Fu passeggiando per il paese che vedemmo quel manifesto incollato sui muri delle case.
Invitava, o meglio, ordinava a tutte le ragazze di andare a scuola il 20 marzo per un lavoro. Già, eravamo ebrei e a scuola mica ci potevamo andare
Tutto era cominciato anni prima, quando i tedeschi avevano annesso il nostro Paese, la Slovacchia.
Fu in quel momento che avevano cominciato a perseguitare noi ebrei.
Niente scuola e istruzione sopra i 14 anni.
Pensate.
Ci impedivano persino di avere dei gatti in casa.
Avevo 17 anni quando lessi quel manifesto.
Parlava di ragazze dai 16 ai 36 anni, nubili.
Ricordo che mamma Henna non voleva perdere me e mia sorella Lea di 19 anni per un non meglio identificato “contratto per tre mesi in una fabbrica per produrre stivali per le truppe”.