Il presidente serbo #Vucic, fresco di rielezione, ha definito "insensate e immorali" le sanzioni contro la #Russia, aggiungendo che Mosca "ci ha sempre sostenuto sul tema dell'integrità territoriale. Non dimentichiamo il 2015 e l'iniziativa britannica di dichiarare i serbi 1/10
colpevoli di genocidio".
Di cosa parla #Vucic? Della volta che la Gran Bretagna propose al Consiglio di Sicurezza #Onu di approvare una risoluzione sul massacro di #Srebrenica, avvenuto l'11 luglio 1995 ad opera delle forze militari serbo-bosniache guidate da Ratko #Mladic 2/10
contro migliaia di musulmani bosniaci. Le vittime furono 8.372.
Erano i giorni della guerra di Yugoslavia, con la zona di #Srebrenica sotto la tutela dell'ONU, la cui presenza era incarnata da tre compagnie olandesi di caschi blu. Il 9 luglio le truppe di Mladic iniziarono 3/10
l'attacco.
Per ragioni mai chiarite, le truppe ONU non intervennero, voltando le spalle a migliaia di musulmani bosniaci. In seguito si disse che i 600 soldati olandesi non fossero attrezzati per fronteggiare i militari di #Radic. In realtà un intervento venne richiesto ma 4/10
prima tardò ad essere approvato, poi fece il solletico ai serbi, facendo da preludio ad una disonorevole ritirata dei caschi blu olandesi, datisi alla fuga dopo la minaccia dei militari di #Radic di massacrarli.
Perché questa condotta? Rampoldi su Repubblica scrisse: "Quando 5/10
i serbi lanciarono l'assalto finale, il vertice della missione #Onu, giapponese nella parte civile e francese nella parte militare, reagì con una lentezza probabilmente calcolata. Per quanto fosse nella sua potestà chiedere all’aviazione americana di fermare i serbi 6/10
bombardandoli, di fatto lasciò che #Srebrenica cadesse. Perché? Secondo una tesi, la città e i suoi abitanti erano la moneta con la quale il comando Onu aveva comprato la liberazione dei caschi blu sequestrati dai serbi due mesi prima. Inoltre è probabile che i governi 🇪🇺 7/10
vedessero con favore la caduta dell’enclave, l’unica "isola" musulmana in quella parte di #Bosnia, nel calcolo che poi sarebbe stato più semplice arrivare ad una spartizione territoriale, come in effetti avvenne". 8/10
Torniamo al 2015. L'allora ambasciatore russo all'Onu, Vitaly Churkin, definì la risoluzione "non costruttiva, provocatoria e motivata politicamente".
La #Russia utilizzò così il suo potere di veto al Consiglio di Sicurezza e ne impedì l'approvazione 9/10
Fra gli altri Paesi con potere di veto, Francia, Regno Unito e Stati Uniti votarono a favore della risoluzione, mentre la Cina - tanto per cambiare - si astenne.
Oggi la Russia raccoglie i frutti di quell'investimento. La #Serbia si schiera contro le sanzioni. 10/10👇
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1/n
🚨🇻🇪🇺🇸 C'è chi crede che Nicolás Maduro trascorra gran parte delle sue giornate nascosto in un bunker, circondato dai suoi generali, benvoluto da pochi fedelissimi. C'è chi pensa sia da tempo preda della paranoia, da anni abituato a dormire con una valigia ai piedi del letto, sempre pronto a montare su un aereo, venuto a patti con l'idea che un giorno - presto o tardi -toccherà rinunciare proprio a tutto, volare lontano, insieme alla famiglia e una manciata di amici, verso una destinazione sicura, probabilmente Cuba.
Ricostruzione suggestiva, forse non totalmente infondata, chissà quanto lontana dalla quotidianità del dittatore di Caracas. Ma se ignorassimo i segnali provenienti dal Mar dei Caraibi meridionale, così come i non detti intercettati in quel di Washington, commetteremmo un errore. Qualcosa sta effettivamente accadendo in Venezuela. O meglio, al largo delle sue coste. E non si può ignorare.
2/n
🚨🇻🇪🇺🇸 Per capire bisogna partire dal massiccio dispiegamento di forze navali statunitensi appena fuori dalle acque venezuelane, appendice plastica di un atto formale compiuto segretamente tra la Casa Bianca e il Pentagono nelle scorse settimane. È quello siglato lontano dai riflettori, dalle attenzioni dei media; è la direttiva con cui Donald Trump ha autorizzato l'impiego della forza militare contro alcuni cartelli del narcotraffico dell'America Latina. Non una decisione estemporanea: piaccia o meno, il risultato di una strategia.
La cronistoria non lascia spazio a dubbi.
3/n 🚨🇻🇪🇺🇸 Fresco di insediamento, da poco tornato a frequentare lo Studio Ovale, Trump concorda con il Dipartimento di Stato la designazione di Tren de Aragua, MS-13 e diversi altri gruppi come organizzazioni terroristiche straniere. Mossa pensata per ampliare gli strumenti a diposizione degli Stati Uniti per contrastare cartelli individuati dal Presidente come esportatori non solo di droga, ma pure di caos e violenza nelle città americane, vera e propria "minaccia alla sicurezza nazionale", ben "oltre quella rappresentata dalla criminalità organizzata tradizionale". Potrebbe sembrare un'operazione scenica, quasi di propaganda politica, non fosse stato per la svolta arrivata negli ultimi giorni.
L'amministrazione Trump decide infatti di inserire il Cartel de los Soles venezuelano nell'elenco dei gruppo terroristici globali. Di più: afferma che il leader di questo attore centrale per il narcotraffico transnazionale, risiede a Caracas, nel Palazzo presidenziale. Il suo nome? Ma è ovvio: Nicolás Maduro.
1/n 🚨🇺🇸 Non so come abbiate trascorso voi il weekend, ma immagino (e spero) vi siate concessi attività più piacevoli della mia. Eppure leggere le oltre 300 pagine di trascrizione dell'interrogatorio di Ghislaine Maxwell, ex collaboratrice di Jeffrey Epstein, era necessario. Certo, online non mancano gli "highlights" del colloquio, gli elenchi contenenti le "5 cose più importanti da sapere", ma credo sarebbe stato superficiale affidarsi a un prodotto editoriale di questo tipo. Per chi fosse nuovo dell'argomento: questa è la storia che fino a questo momento ha rappresentato la spina nel fianco più dolorosa per Donald Trump dal suo ritorno alla Casa Bianca. Non il supporto ondivago all'Ucraina, non i rapporti calorosi con Vladimir Putin, non i dazi, non la Guardia Nazionale nelle strade di Washington DC o il sostegno al gerrymandering in Texas. Questa storia è "la" storia. Quale storia? La scelta del Dipartimento di Giustizia di non pubblicare per intero i cosiddetti "Epstein Files", la decisione di insabbiare la vicenda dopo averla resa il simbolo della corruzione delle élite (in particolare Democratici), la volontà di archiviarla in fretta dopo aver gridato per anni al complotto. E allora: cosa c'è di nuovo? Cos'ha detto Ghislaine Maxwell?
2/n 🇺🇸 Per avere un quadro completo dobbiamo prendere la vicenda da molto da lontano. È necessario. Anzitutto per capire il tipo di relazione fra Ghislaine Maxwell e Jefffey Epstein, il finanziere accusato di abusi su minori morto suicida in carcere.
Maxwell racconta di aver conosciuto l'uomo che avrebbe cambiato la sua esistenza tramite un'amica: "Avevo rotto con il mio fidanzato di lunghissima data, ci eravamo lasciati. E lei disse - sai, come fanno le amiche - "Ho un tipo che devi conoscere". Quel "tipo" è Jeffrey Epstein. È il 1991: i due si incontrano per la prima volta in uno degli uffici di Epstein su Madison Garden. La cosa più memorabile di quell'appuntamento? "Indossava una cravatta, cosa che non faceva spesso. Aveva sopra una macchia enorme, sembrava ketchup. E io pensai: 'Wow, okay'. E così ci conoscemmo".
I due finiscono a letto insieme nel 1992. E Maxwell crede che sia la svolta: "Ho pensato: 'Staremo insieme', perché era così che la pensavo. Sentivo che se andavi a letto con qualcuno, allora stavi uscendo con lui. Quello era il mondo da cui venivo. Ma poi non siamo più andati a letto insieme per...non so, davvero per un periodo significativo di tempo. Forse nove mesi, un anno". Inizialmente, Epstein confida a Ghislaine di essere affetto da "una condizione cardiaca" che gli impedisce di avere rapporti completi con frequenza, ma col tempo la realtà appare diversa. Ghislaine Maxwell è la donna che gestisce le sue proprietà, i suoi affari a tutto tondo, ma Epstein si accompagna anche con altre fidanzate. C'è un episodio che racconta della disillusione di Ghislaine più degli altri: "Seppi con certezza che era finita dopo l'11 settembre, in realtà, perché eravamo entrambi a New York e...non so, Lei era a New York l’11 settembre? Voglio dire, l'11 settembre. Era un momento spaventoso se ti trovavi a New York. Non sapevi, io non sapevo, nessuno sapeva cosa stesse succedendo. E lui era sulla 71ª strada e io alla 65ª, a casa mia. E lui non volle vedermi per niente. Mi disse di sua madre - cui sono molto legata - mi disse che era in ospedale al Lennox Hill, semplicemente mi chiese di occuparmi di lei. E allora capii, come chiunque in quel momento, che se non sei lì per qualcuno l'11 settembre, allora non ci sarai mai".
3/n 🇺🇸 Il fatto che Ghislaine Maxwell creda (o sostenga) di aver aperto gli occhi sul conto di Jeffrey Epstein non le impedisce di rappresentare per anni la persona di fiducia del finanziere. Molto più che una collaboratrice: un punto di riferimento, una presenza insostituibile, ben oltre la gestione delle sue molte proprietà in giro per l'America. Forse è anche per questo, per rispetto nei confronti di sé stessa e del suo passato, che Maxwell tiene a precisare davanti a Todd Blanche, il viceprocuratore generale degli Stati Uniti che la interroga, quanto segue:
"Credo che Epstein abbia fatto molte, non tutte, ma alcune delle cose di cui è accusato. E non sono qui per difenderlo in alcun modo. Non voglio farlo, e non penso che lui abbia bisogno, né meriti, alcun tipo di protezione da parte mia. Tuttavia, non credo che l'uomo che ho conosciuto fosse l'uomo che poi è diventato. Credo che sia diventato quell'uomo nel tempo". Più avanti, nel corso della conversazione, chiarirà: "Penso che una delle ragioni per cui le cose cambiarono - si modificarono, si trasformarono - fosse che iniziò ad assumere testosterone. E questo, a mio avviso, alterò il suo carattere. Diventò più aggressivo, in generale. E credo che . lo dico come mia interpretazione personale - il testosterone modificò i suoi desideri. Penso che il testosterone abbia alimentato la sua ossessione per i massaggi, che diventarono sempre più frequenti, e probabilmente abbia contribuito a spingerlo in una certa direzione".
I "massaggi". Il chiodo fisso di Epstein. E, secondo i tribunali americani, anche l'oggetto della complicità criminale di Maxwell. È proprio lei l'incaricata di reclutare le massaggiatrici chiamate a soddisfare i desideri di Epstein. Accade anche sull'isola acquistata dal finanziere, la stessa in cui Epstein invita molti dei suoi amici più potenti. Quelli che, secondo le ricostruzioni, diventano a loro volta "clienti", forse ricattati dallo stesso Epstein per essersi resi protagonisti di comportamenti "compromettenti". Ma Maxwell ha un'altra versione dei fatti. Sostiene di non aver visto mai nessuna "massaggiatrice" a disagio per i comportamenti di Epstein: "Tutto era consensuale", spiega. E poi, aggiunge in maniera apparentemente ingenua, per molto tempo davvero ha creduto che si trattasse soltanto di massaggi.
A questo punto il viceprocuratore Blanche interviene: "Ma lei capisce che riceveva massaggi ogni giorno, a volte più volte al giorno. Verso la fine degli anni '90, tutte donne, presumibilmente - alcune nuove, ma anche alcune che si ripetevano frequentemente. Allora, cosa pensava? Voglio dire, doveva sapere, a quel punto, che c'era qualcosa in più oltre al semplice 'aveva davvero bisogno di essere massaggiato'".
Maxwell sembra risentirsi: "Sono molto intelligente. Ho ricevuto un'ottima educazione. Ho viaggiato per il mondo. Ho avuto dei fidanzati, ma non avevo mai incontrato o capito che qualcuno potesse mentirmi così. Non mi era mai passato per la mente. Non avevo nessun contesto di esperienza di vita che potesse prepararmi al fatto che qualcuno potesse essere così manipolativo e subdolo con me".
🚨🇺🇸🇷🇺 Mentre voi grigliate la qualunque (a proposito, buon Ferragosto) le "squadre" di Stati Uniti e Russia si scaldano in vista dell'incontro di questa sera. Ci sono molte incognite, nessuno - davvero nessuno - sa come andrà a finire il vertice di Anchorage. Ciò che possiamo fare è "studiare" le poche informazioni a nostra disposizione, arrivare preparati all'appuntamento. Lo stesso Donald Trump, uno storicamente abituato ad affidarsi più all'istinto che ai dossier, avrebbe dedicato la giornata di ieri a prepararsi al confronto con Vladimir Putin, secondo fonti della Casa Bianca. Ecco, se persino lui ha sentito il bisogno di "allenarsi", possiamo farlo anche noi, anche in un giorno di festa. 👇
2/n 🇺🇸🇷🇺 Quella tra Stati Uniti e Russia sarà una "partita" a tutti gli effetti. Non c'è una coppa in palio, ma sul piatto c'è l'Ucraina. E con essa la sicurezza per i prossimi anni nel Vecchio Continente. Iniziamo allora dal "terreno di gioco", la Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage.
Cose da sapere:
- Si tratta di un avamposto militare molto isolato, motivo che lo ha reso particolarmente attraente per ragioni di sicurezza e riservatezza.
- Il caso vuole che abbia svolta negli anni un ruolo cruciale nel monitoraggio delle mosse dell'Unione Sovietica in epoca di Guerra Fredda. In particolare, la base acquisì un certo grado di celebrità per la sua attività di sorveglianza contro eventuali attacchi nucleari o attività militari provenienti dal Pacifico. Compiti che le valsero il soprannome di "Top Cover for North America" (lo scudo aereo del Nord America). Tuttora gli aerei della base continuano a intercettare i velivoli russi che sorvolano regolarmente lo spazio aereo statunitense.
- Ps: non immaginatevi quattro baracche e un paio di piste. Qui abitano oltre 32mila persone, circa il 10% della popolazione di Anchorage. Secondo gli esperti è l'unico luogo in Alaska con un livello di sicurezza adeguato a ospitare contemporaneamente Donald Trump e Vladimir Putin. Ah, per trovare un precedente di un capo di stato straniero ospitato nella base bisogna tornare al 1971, quando il presidente Richard Nixon accolse l'Imperatore Hirohito del Giappone.
3/n 🇺🇸🇷🇺 Passiamo adesso alle "formazioni". Per ogni "giocatore" indicherò le caratteristiche principali e, solo per gli Stati Uniti, la predisposizione verso l'Ucraina in una scala da 1 a 5 stelle.
Poiché "gioca" in trasferta, iniziamo dalla Russia.
🇷🇺 Vladimir Putin (Capitano): Arriva al vertice di oggi con la sicurezza di chi considera di avere il tempo dalla propria parte, con la fiducia di chi si crede a un passo dal vincere la guerra. L'inquilino del Cremlino è noto per preparare con cura meticolosa i vertici più importanti. Possiede un arsenale di tecniche affinate negli anni al KGB. Questo gli permette di variare registro a seconda dell'obiettivo: Putin sa guadagnare tempo, sa lusingare la controparte, sa metterla in difficoltà. Il suo repertorio è vario, ha l'imbarazzo della scelta. Rispetto a Trump ha poi un clamoroso vantaggio: conosce la questione ucraina come le sue tasche. Mappe, storia (benché rivisitata), situazione sul terreno: che tenterà di irretire Trump è una certezza.
🚨🪖🇮🇱 Non c'è una sola testata italiana che abbia riportato le dichiarazioni pronunciate da Sharon Halevi, moglie di Herzi, Capo di Stato maggiore israeliano prima, durante e dopo il 7 ottobre. Penso sia un'occasione persa.
Nessuno può accusare il generale di essere un integralista, un pericoloso estremista. Gli scambi tesi all'interno del gabinetto di sicurezza israeliano con i ministri Ben-Gvir e Smotrich non si contano. Così come i dissapori con lo stesso Netanyahu, figli di una diversa concezione della strategia militare israeliana all'interno della Striscia. Ma il racconto di Sharon Halevi, dei momenti immediatamente successivi al più grave attacco contro gli ebrei dalla Shoah, serve a comprendere più a fondo la cultura israeliana, a capire quanto la questione degli ostaggi impatti sulla vita quotidiana di milioni di persone e perché il piano orchestrato da Yahya Sinwar avesse un esito già scritto. Herzi Halevi lo aveva previsto. Lo ha confidato a sua moglie proprio il 7 ottobre, pochi istanti prima di partire, di lasciare la propria casa e assumere il comando delle operazioni militari di una nazione entrata in stato di guerra, senza sapere quando ne sarebbe uscita.
2/n 🚨🪖🇮🇱 Sharon racconta di essere cresciuta in una famiglia molto diversa da quella di Herzi Halevi: "Perché io sono di prima generazione in Israele, figlia di immigrati, entrambi i miei genitori sono arrivati dal Marocco. E io desideravo moltissimo appartenere. Per me Herzi rappresentava proprio quella cosa. Non volevo essere come lui, ma volevo appartenere a ciò che lui rappresentava per me. Herzi, dal lato di sua madre, è quindicesima generazione a Gerusalemme. Porta il nome di suo zio, caduto nella Guerra dei Sei Giorni a 23 anni, mentre prestava servizio di riserva. Quando abbiamo iniziato a uscire insieme, una delle prime cose che gli ho chiesto...Per me è stato difficile vedere la tomba con il suo nome completo. Mi faceva un certo effetto, anche perché non è che lavorasse in banca...era in un’unità combattente. Herzi era per me "l’israeliano", tutto ciò che era bello e di cui volevo fare parte".
3/n 🚨🪖🇮🇱 Eppure non tutto è stato sempre rose e fiori. Sharon Halevi descrive il carico emotivo che solo la moglie di un militare è in grado di comprendere, di sopportare: "Avevo molta paura del momento in cui avrebbero bussato alla porta. Dormivo anche con la radio accesa, quando lui era comandante di unità, dormivo con la radio, perché se fosse successo qualcosa, canzoni tristi sarebbero entrate nel mio orecchio. Non dormivo con i capelli in disordine, perché se avessero bussato alla porta, avrei voluto i capelli a posto. E una volta mi hanno davvero bussato alla porta. Avevo messo i bambini a dormire - ne avevamo due allora - ed ecco che bussano alla porta. Ho guardato dallo spioncino e ho visto due ufficiali. Allora ho aperto la porta, e proprio in quel momento la mia vicina di allora, che abitava di fronte, una donna di una famiglia di caduti - suo padre era stato ucciso quando lei era bambina - ha aperto anche lei la porta. Si è spaventata, li ha visti e ha aperto. Io ho aperto e ho detto: “Buonasera”. Che risposta..."Buonasera, buonasera". E lei stava lì a guardare.
E allora loro mi hanno detto: "Ciao, siamo della brigata. Siamo qui in zona e il comandante di brigata si è dimenticato qualcosa a casa, così ci ha detto di passare un attimo, se possibile".
"No, non è possibile. E non fatelo mai più in vita vostra! Siete pazzi, potevo uccidervi dalla paura!".
E lì mi si è acceso il campanello: lui non capisce proprio in quale stato mentale io viva.
Molti anni dopo, lui mi raccontò che in quel periodo, quando era a Jenin, stava sempre nei campi profughi, fra gli arresti, sotto il fuoco, e io non lo sapevo. Mi disse che una volta, sotto il fuoco, doveva chiamare il comandante del comando per riferirgli qualcosa. Aveva quei telefoni con lo slider. Disse che aprì lo slider e vide la nostra foto di famiglia. E sotto il fuoco la sostituì con una foto di fiori. Gli dissi: "Ma perché, sotto il fuoco?". E lui disse: "Perché non posso lavorare così".
1/n 🚨🪖🇧🇾🇷🇺🇺🇸🇺🇦 "Adesso è tutto nelle mani di Donald. E può mandare tutto all'aria per il suo carattere!".
Aleksandr Lukashenko è nervoso, ritiene che i suoi sforzi per portare a un accordo fra "il mio amico, il mio fratello maggiore", Vladimir Putin, e il presidente degli Stati Uniti, potrebbero naufragare sul più bello per questioni marginali, per via di "sciocchezze, emozioni pure, e questo in politica non è permesso".
Lo racconta a Simon Shuster, uno dei più importanti giornalisti in circolazione, l'uomo che ha vissuto gomito a gomito con Volodymyr Zelensky, raccontandone la straordinaria evoluzione da comico a leader di uno Stato invaso.
Ma è curioso: l'articolo del Time e il resoconto dei media statali bielorussi non coincidono perfettamente. La propaganda di Stato, ad esempio, non si sofferma sui dettagli immortalati dal giornalista all'inizio dell'incontro; non dice che è stato proprio il dittatore di Minsk a mandare in avanscoperta i suoi collaboratori, a insistere - anche maldestramente - per organizzare quell'intervista.
2/n
🚨🪖🇧🇾🇷🇺🇺🇸🇺🇦 L'impressione di Shuster, a dirla tutta, è quella di aver a che fare con un funzionario bielorusso "un po’ fuori allenamento nel trattare coi media occidentali". Scrive il giornalista: "Dopo pochi minuti di conversazione, mi chiese quanto sarebbe costato organizzare un'intervista col TIME, e sembrò sorpreso nell'apprendere che il processo non comportava alcun tipo di tangente". "Solo per essere sicuro", tentò di riprendersi l'assistente, "per evitare malintesi più avanti".
Dopo qualche altra telefonata, i termini dell'intervista vengono concordati: appuntamento a Minsk il 25 luglio. Lukashenko risponderà a tutte le domande: "Altrimenti perché avrei dovuto farla venire da così lontano, da New York?".
3/n 🚨🪖🇧🇾🇷🇺🇺🇸🇺🇦 A differenza di Vladimir Putin, famoso per le lunghe attese riservate ai suoi interlocutori, Lukashenko si presenta in anticipo. Sembra avvertire la tensione, come confermano le gocce di sudore che gli imperlano la fronte e il continuo torturarsi le mani. Per rompere il ghiaccio, ricorre a uno dei suoi cavalli di battaglia con gli ospiti occidentali: "Le confido un piccolo segreto", dice a Shuster, "il mio servizio di intelligence ha preparato un dossier sul suo conto. E io l'ho studiato prima di venire qui".
È la stessa battuta che ha utilizzato con Christopher Smith, il primo diplomatico che l'amministrazione Trump ha mandato in Bielorussia a sondare il terreno poche settimane dopo il suo insediamento, così da capire che tipo di aiuto potesse offrire Lukashenko nella missione di porre fine alla guerra in Ucraina. Dopo i primi convenevoli, Lukashenko ha guardato Smith negli occhi e messo in chiaro le sue regole d'ingaggio. Primo: "Se volete reclutarmi come vostra spia, non fatelo. Non funzionerà". Secondo: "Possiamo parlare della Russia, di Putin, della guerra e così via, ma, in sostanza, non stringiamo accordi con gli americani alle spalle della Russia. È un tabù".
1/n 🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Un retroscena di Bloomberg delinea prospettive inquietanti per l'Ucraina rispetto all'incontro fra Donald Trump e Vladimir Putin. L'accordo che gli Stati Uniti starebbero cercando di chiudere con Mosca rappresenterebbe un duro colpo non solo per Kyiv, ma anche per gli Alleati del Vecchio Continente, costretti a convivere con la prospettiva di una Russia legittimata nelle sue conquiste territoriali e pronta a consolidare la propria influenza nell’Europa orientale.
2/n 🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Bloomberg spiega: Vladimir Putin vuole che l'Ucraina ceda alla Russia l'intera area orientale del Donbass, oltre alla Crimea. Questo vorrebbe dire portare Volodymyr Zelensky a ordinare il ritiro delle truppe ucraine da porzioni delle regioni di Luhansk e Donetsk ancora controllate da Kyiv, consegnando di fatto a Mosca una vittoria che il suo esercito non è riuscito a ottenere militarmente dall'inizio dell'invasione.
3/n 🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 È evidente che si tratterebbe della vittoria di Putin: non è un caso che, dall'avvento alla Casa Bianca di Donald Trump, il presidente russo abbia cercato negoziati diretti con gli Stati Uniti, tenendo ai margini Ucraina e alleati europei. Si tratta di un vecchio cavallo di battaglia per l'inquilino del Cremlino: nel suo modo di leggere e interpretare la geopolitica, la "questione ucraina" non è altro che un problema tra Stati Uniti e Russia. Come tale sono i "pesi massimi", le superpotenze, a dover giocare la partita, mentre i satelliti - Ucraina ed Europa - stanno a guardare le trattative e ne attendono l'esito.