Non potevo mancare. Come al funerale di tuo marito. Sapevi che solo le formiche e gli uomini seppelliscono i loro morti? Non ho nemmeno ascoltato le parole di conforto. In fondo non era solo il tuo funerale.
Era anche il mio. Ricordando la prima volta che ti avevo incontrata.
Ero rimasto incantato davanti a quel manifesto che reclamizzava la tua tournée.
Eri proprio tu. Ed era prevista una tappa anche ad Amburgo, la mia città. Finalmente avrei potuto ascoltarti. Ascoltare Clara. L’idolo della mia giovinezza. La pianista più ammirata in Europa.
Ed ero presente in quella sala gremita.
Ti confesso che non ricordo nemmeno quello hai suonato. Ero come in estasi. Le tue mani su quella tastiera del pianoforte creavano una musica celestiale. Non mi conoscevi ancora, ma immaginai tu stessi suonando per me.
Il giorno prima avevo consegnato all’albergo dove alloggiavi con tuo marito un plico con degli spartiti. I miei spartiti. Con la mia musica. Troppi impegni. Mi erano stati restituiti con un “spiacenti di non aver potuto visionare i suoi manoscritti”.
Non me l’ero presa, sai. In fondo avevo solo 17 anni. Più o meno l’età che aveva lui quando ti aveva conosciuto. Tu di anni ne avevi solo 9 e da quattro tuo padre, maestro e proprietario di una fabbrica di pianoforti, impartiva a te e a Robert lezioni di quel fantastico strumento
Eravate diventati amici e in seguito vi eravate innamorati. Tuo padre non approvava, ma lo avevi sposato lo stesso, nel 1840. Ricordo ancora quando vi ho conosciuti. Era il 29 settembre 1853. Volevate conoscere quel pianista che rispetto a Liszt pensava di suonare con solo 2 dita
Ad aprirmi la porta la tua piccola Julie.
Poi vidi lui, tuo marito. Mi ero presentato, ma lui sembrava distratto. Io parlavo delle mie composizioni e lui sembrava assente.
Come assente sembrò mentre suonavo al tuo pianoforte alcune mie Sonate.
Sembrava. Perché appena terminato era saltato sul divano urlando: “Clara vieni subito. Devi sentire anche tu. Sbrigati. Arrivi?”.
E tu eri entrata nella stanza trafelata.
Quando ti vidi capii subito che la mia vita sarebbe cambiata per sempre.
Il tuo giudizio era molto importante per me. Tu eri Clara, la pianista che aveva tenuto il suo primo concerto a dieci anni. Che era stata nominata a soli 18 anni virtuosa da camera dell'imperatore. Che aveva suonato per Goethe, Paganini e Liszt.
Io avevo solo vent’anni. Ricordi Clara? Da quel giorno la vostra casa divenne la mia.
Volevate far conoscere a tutti la mia musica. Mi confessasti di quanto tuo marito, da grande compositore, pianista e critico musicale, fosse entusiasta di me.
Scrisse cose bellissime su di me sulla sua rivista di musica. Ma io non mi beavo solo delle sue parole, dei suoi giudizi. Io mi beavo della tua presenza. Della tua musica. Sempre vicino a te, anche quando tuo marito cominciò a soffrire di amnesie e di allucinazioni.
E poi, nel 1854, quel suo tentativo di suicidio nelle acque del Reno. E l’internamento nel manicomio di Endenich presso Bonn. “Qualunque sia l'età la gioia e il dolore sono mescolate: rimani fedele alla gioia e sii pronto al dolore con coraggio".
Ricordi?
Era una frase nella prefazione delle Davidsbündlertänze. Una collezione di diciotto pezzi scritti nel 1837 da tuo marito per dimostrare tutto il suo amore per te. T
uo marito non si riprese.
Morì il 29 luglio 1856.
Lasciandoti sola con i tuoi sette figli.
Ma sola non lo sei mai stata. Perché io sono sempre stato accanto a te. Anche quando ti dedicasti anima e corpo alla musica di tuo marito pubblicando l’edizione completa della sua opera. Lo so. Avrei dovuto dimostrare maggiore gratitudine a Robert.
Lui e le sue manie e le sue allucinazioni.
Non tutto filava liscio tra voi. E non erano rose e fiori nemmeno con i tuoi figli.
I bambini erano allegri e vivaci, le bambine adorabili e graziosissime, ma tu eri la concertista più famosa d’Europa.
Pensavi solo alla musica.
Sono stato accanto a te per quarant’anni, ma non parlerò del nostro rapporto.
E di quanto tu sia stata importante per me.
Ti sono rimasto vicino anche nei momenti più difficili. Suonavi anche 15 ore al giorno.
Erano normali tutti quei dolori alle braccia e alle mani.
Le cure ti permisero di tornare a fare concerti, cancellando però tutti i pezzi più impegnativi. Compresi il primo e il secondo Concerto per pianoforte.
Che io avevo scritto. Il primo a venticinque anni. Il secondo vent’anni dopo.
Ero sempre accanto a te anche in quell’ultimo concerto, il 12 marzo 1891 a Francoforte. Suonasti un’altra mia opera.
Le “Variazioni su un Tema di Haydn”.
Poi la sedia a rotelle. E la perdita dell’udito.
E l’ictus, il 26 marzo 1896. Sei morta il 20 maggio all'età di 77 anni. Pochi giorni fa.
E non potevo mancare. Ti hanno appena sepolta nel cimitero Alter Friedhof nella stessa tomba di tuo marito Robert.
E mi manchi già.
E qui finisce la storia.
Credo sia stata la storia più difficile da scrivere. Perché non si può raccontare la vita di Clara Josephine Wieck in un semplice thread. Vi consiglio quindi di approfondire. Scoprirete che Clara non era solo la moglie di Robert Schumann. Era molto, molto di più.
Chi è il personaggio che ha raccontato la storia in prima persona?
Si chiamava Johannes, morto il 3 aprile 1897, meno di un anno dopo la morte di Clara Josephine Wieck.
E’ sepolto nel cimitero centrale di Vienna, nel "Quartiere dei musicisti".
Clara eseguiva i suoi concerti a memoria, senza spartiti. Erano pochissimi a quei tempi e molte delle sue tecniche sono utilizzate ancora oggi.
“Clara ha ispirato il decennio d'oro di Robert Schumann (1830-40) e oltre 40 anni di creatività per Johannes. L'erede... di Beethoven”.
Grazie a Letizia @let_innocenti, pianista, docente e musicologa che mi ha fatto apprezzare e amare un’eccezionale pianista come Clara Josephine Wieck.
Raccontandomi che “senza di lei il pianoforte e la storia della musica avrebbero avuto un altro corso”.
“La pratica artistica è una grande parte del mio spirito, per me è come l’aria che respiro. Preferirei soffrire la fame, piuttosto che suonare in pubblico con soltanto la metà delle mie forze” (Clara Josephine Wieck )
“S'ode a destra uno squillo di tromba. A sinistra risponde uno squillo”.
E’ così che il Manzoni descrive l’inizio della battaglia di Maclodio nel secondo atto de “Il Conte di Carmagnola”.
Questi versi li conoscete bene, lo so.
Ma quanti di voi conoscono nei particolari la battaglia di Maclodio, una delle più importanti vittorie di terra della Serenissima?
Tranquilli, siete perdonati. Sui libri di storia la battaglia non è descritta nei particolari.
Con la precisione necessaria.
Eppure qualcuno l’ha descritta esattamente, per averla vissuta.
In una lettera del gennaio del 1428 che potete trovare nell’archivio comunale di Vicenza (non so ora, ma nel 1981 era ancora lì).
Una lettera indirizzata all’amico e maestro Guarino Veronese.
Oggi è il 16 marzo 2005. E sono stanca.
Ho nausea, vomito e diverse linee di febbre. Speriamo bene. E’ tutto il giorno che penso a lui, al dottor Matthew Lukwiya.
Non sono certo alla sua altezza.
Io sono solo pediatra presso l'ospedale di Uíge in Angola.
Invece nel 2000 il dottor Lukwiya era Dirigente Sanitario all’ Hospital Lacor, in Uganda. Quando la gente cominciò a morire per gravi emorragie interne, di una malattia misteriosa. E non era certo una bella cosa quell’usanza di lavare i morti.Contribuiva a diffondere la malattia
Fu lui a riconoscere la gravità della situazione e la facilità di trasmissione del virus.
Fu lui a ignorare le pratiche burocratiche e a far analizzare subito il sangue infetto.
Ebola, fu il risultato. E il suo impegno a isolare l’ospedale. A proteggere il personale medico.
Dicevano che ero troppo rumoroso e per un certo periodo nessun locale accettò gruppi con me alla batteria. Rumoroso lo ero, ma che volete, era normale per uno che a cinque anni batteva su lattine di caffè.
Non avevo mai preso lezioni, solo qualche consiglio da altri batteristi.
Quando la mia Pat rimase incinta del piccolo Jason ero andato a vivere con lei in una roulotte. Le avevo promesso di trovarmi un lavoro serio, ma io avevo un solo amore, le percussioni. I
Io, John Bonham, cercavo la mia idea di sound. E nessuno avrebbe potuto fermarmi.
Poi ero arrivato nel gruppo giusto e il primo grande successo, nel 1968.
Eravamo straordinari, tanto da registrare in sole trenta ore il nostro primo album.
Quella copertina, il disastro del LZ 129 Hindenburg, uno Zeppelin tedesco, fu in fondo lo specchio della mia vita.
Mi ero sposata giovane, a 19 anni. Lui, un violento, mi picchiava spesso, mentre nell’Ohio lavoravo i campi e crescevo 11 figli. Mi chiamo Emma Rowena Gatewood e riuscii divorziare da quell’uomo violento solo nel 1940 malgrado le sue minacce di farmi rinchiudere in manicomio.
Avevo 67 anni in quel freddo giorno di aprile del 1955. Quando presi quella decisione.
Dissi ai miei figli, ormai adulti, che sarei andata a fare una passeggiata. Va bene, mi dissero. Mai immaginando cosa stavo per fare. Con pochi soldi in tasca e qualche indumento in uno zaino.
Io invece lo sapevo benissimo.
Avevo letto sul National Geographic un articolo che parlava del "Sentiero degli Appalachi". Lungo 3.510 chilometri si snodava fra 13 stati sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Ecco quello che avevo deciso di fare. Percorrere quei 3.510 km.
“ Un giorno nella foresta scoppiò un gigantesco incendio e animali ed uccelli fuggirono impauriti.
Mentre tutte le razze si disperavano e si lamentavano della loro cattiva sorte, il colibrì volò verso il fiume e raccolse una goccia d’acqua.
Tanta quanta ce ne stava nel suo becco.
Ritornando verso l’incendio, gli altri animali lo derisero dicendo: “Ma cosa fai con quella goccia d'acqua?”.
Il piccolo colibrì, paziente, rispose: “Faccio quello che posso!”
Mi premiarono. Per quella goccia d'acqua. Come quel colibrì.
De Amicis avrebbe fatto di noi personaggi da libro “Cuore”.
Era il 22 novembre del 1954 quando in Campidoglio assegnarono i Premi della Bontà.
Un premio per Dario Tosi, 11 anni.
Aveva portato a spalle a scuola tutti i giorni per un chilometro il suo compagno malato alle gambe.
Quando mio figlio decise di partire per gli Stati Uniti per laurearsi in informatica a New York un pochino preoccupata lo ero.
Come ogni madre. Ma per lui avrei fatto qualsiasi cosa. E quello di andare a studiare negli Stati Uniti era stato da sempre un suo sogno.
Mi chiamo Kadiatou Diallo sposata con Saikou. Guineani.
Amadou era nato il 2 settembre 1976 in Liberia. Avevo 16 anni e lui il mio primogenito. Avevamo una buona attività che ci permise di soddisfare il suo desiderio.
Dovevate vedere la sua felicità quando arrivò il passaporto.
“Grazie mille mamma, ti renderò fiera” mi disse prima di partire.
Arrivò a New York City che era il 1997.
So che il suo primo lavoro fu fare consegne in bicicletta. Poi aveva iniziato a fare il venditore ambulante vendendo guanti, calze e video.