Era il 1989. Porthos si chiamava. Il prima cane arrivato in famiglia. Si era ammalato subito e di quel periodo ricordo le flebo accanto al camino e le lacrime di mamma.
Per lui nessuna speranza. Non si arrese.
E’ vissuto con noi dodici anni, con mezzo rene funzionante.
Fu per merito suo. Il desiderio di entrare nel mondo dei cani abbandonati e maltrattati, intendo.
“Mi resi conto che passare del tempo con loro, o sottrarne qualcuno a una vita di sofferenze, mi rendeva straordinariamente felice”.
E così avevo cominciato a dedicare i miei sabati ai cani rinchiusi nel rifugio di Pieve Fissiraga, nei pressi di Lodi. E al lunedì raccontavo tutto ai miei colleghi d’ufficio.
Già. L’ufficio della Saatchi & Saatchi.
Una tra le più importanti agenzie pubblicitarie.
E poi quel 14 maggio 2001.
Sulla scrivania una copia del Corriere della Sera con appiccicato un post-it scritto a mano: «Sara, guarda a pagina 21».
«Come possono dircelo» recitava il titolo in merito a quello che stava accadendo ai cani in Romania.
Naturalmente Johannes vi ha risparmiato il resto della pagina. C’erano foto da pugno nello stomaco. Come poteva succedere una cosa simile così vicino a noi?
Come si poteva accettare il massacro di 200.000 cani spinti dall’azione violenta del sindaco della capitale rumena?
La pagina era stata acquistata dall’ENPA Milano per denunciare il più grande massacro di cani.
Ero tornata subito al lavoro, ma con un pensiero fisso.
Dovevo mostrare quella pagina a Massimo, mio marito. Cosa che feci. Cosa volevo fare? Non ne avevo la più pallida idea.
Poi quella sera in tv. Un servizio denunciava che a Bucarest "l’emergenza randagi ha spinto il sindaco Traian Basescu ad aprire una vera e propria caccia al cane".
Brigitte Bardot era in Romania per convincere il presidente della Repubblica Ion Iliescu a fermare il massacro.
Ora sapevo cosa fare. Quella tragedia mi chiamava.
Cominciai contattando la presidente dell’associazione Zanna Bianca, diventata in pochi mesi la paladina dei cani rumeni sui media di tutta Europa”.
Dovevo aiutare quell’associazione.
Quindi mi diedi da fare. I garage di alcuni miei amici si riempirono di materiale, cibo e medicinali. Si trattava ora di far arrivare il tutto in Romania. Ma come? Non conoscevo niente di quel Paese.
Chiesi a Massimo di darmi una mano.
«Non chiedetemi di fare nient’altro», disse. «Posso solo farvi da autista».
E così siamo partiti in un giorno di agosto del 2001 con un Kangoo che quasi esplodeva da quanto era carico.
Sara Turetta arrivò in Romania e quello che vide fu qualcosa di orribile. Peggio di quanto raccontato dai giornali e dalle Tv. L’amore per quei poveri animali la portò nell’ottobre del 2002 a lasciare il suo lavoro a Milano e a trasferirsi a Cernavoda, in Romania.
Per 4 anni.
In un edificio da ristrutturare messo a disposizione dal Comune, Sara crea una piccola clinica veterinaria di 160 mq con annesso un piccolo canile.
I veterinari sono volontari e inizia le sterilizzazioni.
E poi una raccolta fondi in Italia.
Fonda “Save the Dogs and other Animals”.
Nel 2005 nel primo ufficio a Milano la prima collaboratrice.Nel frattempo ottiene una moratoria sulle uccisioni da parte dell’amministrazione comunale di Medgidia e avvia un progetto di sterilizzazione dei cani randagi di quella cittadina
Non solo cani. Apre il primo rifugio della Romania e di tutto l’est Europa per asini abbandonati e maltrattati.
E poi anche per i cavalli. Poi il progetto “porta a porta” di microchippatura dei cani di proprietà. E poi…e poi…e poi...
Quello che Sara è riuscita a fare negli ultimi diciannove anni ha dell’incredibile, pensando che tutto è iniziato da un articolo di giornale. E agli ostacoli che ha dovuto superare.
I numeri di “Save the Dogs and other Animals” sono impressionanti.
* 7.800 cani e gatti adottati tramite adozioni internazionali
* 38.000 sterilizzazioni gratuite di animali randagi e di proprietà
* Un network di 5 partner europei
* migliaia di interventi di pronto soccorso
* 45 dipendenti in Romania, 7 in Italia
* 20.000 sostenitori in Italia
Sara Turetta ha scritto un libro. “I cani, la mia vita”. Che non è solo una storia di vita. E’ molto di più. E’ un viaggio di resistenza, di amore, di coraggio, di forza d’animo, di chi ha saputo realizzare qualcosa di straordinario.
Di cosa significhi non arrendersi mai.
Assolutamente da leggere.
I proventi dei diritti d’autore sono destinati a “Save the Dogs and other Animals”.

“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui essa tratta gli animali”. (Gandhi)
Sara Turetta per il suo impegno ha ricevuto numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali, tra cui la nomina a Cavaliere della Stella d’Italia da parte del Presidente della Repubblica.
Sara, l’angelo dei cani randagi rumeni. E non solo.

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5 Oct
Non potevo mancare. Come al funerale di tuo marito. Sapevi che solo le formiche e gli uomini seppelliscono i loro morti? Non ho nemmeno ascoltato le parole di conforto. In fondo non era solo il tuo funerale.
Era anche il mio. Ricordando la prima volta che ti avevo incontrata.
Ero rimasto incantato davanti a quel manifesto che reclamizzava la tua tournée.
Eri proprio tu. Ed era prevista una tappa anche ad Amburgo, la mia città. Finalmente avrei potuto ascoltarti. Ascoltare Clara. L’idolo della mia giovinezza. La pianista più ammirata in Europa.
Ed ero presente in quella sala gremita.
Ti confesso che non ricordo nemmeno quello hai suonato. Ero come in estasi. Le tue mani su quella tastiera del pianoforte creavano una musica celestiale. Non mi conoscevi ancora, ma immaginai tu stessi suonando per me. Image
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1 Oct
“S'ode a destra uno squillo di tromba. A sinistra risponde uno squillo”.
E’ così che il Manzoni descrive l’inizio della battaglia di Maclodio nel secondo atto de “Il Conte di Carmagnola”.
Questi versi li conoscete bene, lo so.
Ma quanti di voi conoscono nei particolari la battaglia di Maclodio, una delle più importanti vittorie di terra della Serenissima?
Tranquilli, siete perdonati. Sui libri di storia la battaglia non è descritta nei particolari.
Con la precisione necessaria.
Eppure qualcuno l’ha descritta esattamente, per averla vissuta.
In una lettera del gennaio del 1428 che potete trovare nell’archivio comunale di Vicenza (non so ora, ma nel 1981 era ancora lì).
Una lettera indirizzata all’amico e maestro Guarino Veronese.
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28 Sep
Oggi è il 16 marzo 2005. E sono stanca.
Ho nausea, vomito e diverse linee di febbre. Speriamo bene. E’ tutto il giorno che penso a lui, al dottor Matthew Lukwiya.
Non sono certo alla sua altezza.
Io sono solo pediatra presso l'ospedale di Uíge in Angola.
Invece nel 2000 il dottor Lukwiya era Dirigente Sanitario all’ Hospital Lacor, in Uganda. Quando la gente cominciò a morire per gravi emorragie interne, di una malattia misteriosa. E non era certo una bella cosa quell’usanza di lavare i morti.Contribuiva a diffondere la malattia
Fu lui a riconoscere la gravità della situazione e la facilità di trasmissione del virus.
Fu lui a ignorare le pratiche burocratiche e a far analizzare subito il sangue infetto.
Ebola, fu il risultato. E il suo impegno a isolare l’ospedale. A proteggere il personale medico.
Read 17 tweets
25 Sep
Dicevano che ero troppo rumoroso e per un certo periodo nessun locale accettò gruppi con me alla batteria. Rumoroso lo ero, ma che volete, era normale per uno che a cinque anni batteva su lattine di caffè.
Non avevo mai preso lezioni, solo qualche consiglio da altri batteristi.
Quando la mia Pat rimase incinta del piccolo Jason ero andato a vivere con lei in una roulotte. Le avevo promesso di trovarmi un lavoro serio, ma io avevo un solo amore, le percussioni. I
Io, John Bonham, cercavo la mia idea di sound. E nessuno avrebbe potuto fermarmi.
Poi ero arrivato nel gruppo giusto e il primo grande successo, nel 1968.
Eravamo straordinari, tanto da registrare in sole trenta ore il nostro primo album.
Quella copertina, il disastro del LZ 129 Hindenburg, uno Zeppelin tedesco, fu in fondo lo specchio della mia vita. ImageImage
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23 Sep
Mi ero sposata giovane, a 19 anni. Lui, un violento, mi picchiava spesso, mentre nell’Ohio lavoravo i campi e crescevo 11 figli. Mi chiamo Emma Rowena Gatewood e riuscii divorziare da quell’uomo violento solo nel 1940 malgrado le sue minacce di farmi rinchiudere in manicomio. Image
Avevo 67 anni in quel freddo giorno di aprile del 1955. Quando presi quella decisione.
Dissi ai miei figli, ormai adulti, che sarei andata a fare una passeggiata. Va bene, mi dissero. Mai immaginando cosa stavo per fare. Con pochi soldi in tasca e qualche indumento in uno zaino. ImageImage
Io invece lo sapevo benissimo.
Avevo letto sul National Geographic un articolo che parlava del "Sentiero degli Appalachi". Lungo 3.510 chilometri si snodava fra 13 stati sulla costa orientale degli Stati Uniti.
Ecco quello che avevo deciso di fare. Percorrere quei 3.510 km. Image
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18 Sep
“ Un giorno nella foresta scoppiò un gigantesco incendio e animali ed uccelli fuggirono impauriti.
Mentre tutte le razze si disperavano e si lamentavano della loro cattiva sorte, il colibrì volò verso il fiume e raccolse una goccia d’acqua.
Tanta quanta ce ne stava nel suo becco.
Ritornando verso l’incendio, gli altri animali lo derisero dicendo: “Ma cosa fai con quella goccia d'acqua?”.
Il piccolo colibrì, paziente, rispose: “Faccio quello che posso!”

Mi premiarono. Per quella goccia d'acqua. Come quel colibrì.
De Amicis avrebbe fatto di noi personaggi da libro “Cuore”.
Era il 22 novembre del 1954 quando in Campidoglio assegnarono i Premi della Bontà.
Un premio per Dario Tosi, 11 anni.
Aveva portato a spalle a scuola tutti i giorni per un chilometro il suo compagno malato alle gambe.
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