Oggi ho scoperto una cosa che non conoscevo, su una colonia in montagna. E sì che per 40 anni ci sono passato davanti tutte le estati.
I miei erano maestri elementari e nel ‘59 hanno cominciato ad andare in vacanza lì, a Tonezza del Cimone.
È un piccolo paesino, di fronte all’Altipiano di Asiago, a 1.000 mt. di altezza.
A quel tempo il paese aveva circa 1.500 residenti, in realtà tutti gli uomini e i giovani sopra i 18 anni erano al lavoro fuori dal paese, chi in giro per l’Italia, chi in Francia o Svizzera.
Per i miei era la vacanza ideale: gli affitti delle tantissime camere rimaste vuote costavano pochissimo, ed anche la vita era a buon mercato: pensate che i primi anni non c’erano ancora i frigoriferi, il latte, le uova e le galline ce le vendeva la padrona di casa.
La strada per arrivarci era sterrata, il paese era isolato dalla pianura, tanto è vero che il paese è ancora oggi diviso in contrade, che prendono il nome dai soli 6-7 cognomi diffusi.
La strada nuova arrivò nel ‘61, per l’impegno di Rumor e Sella, e fu inaugurata da Gronchi.
Il bagno lo si faceva solo il sabato, quando accendevano lo scaldabagno a legna.
Noi si giocava a pallone in strada, passava sì e no una macchina ogni mezz’ora. Oppure si andava con i ragazzini del posto a pascolare le mucche nei prati, tutte le famiglie ne avevano una o due.
Poi crescendo è arrivato il turismo, il clou alla fine degli anni ‘70 quando la FIT ha aperto un centro tennis federale che raggruppava i migliori under 14 delle province venete. 10 campi da tennis con ragazzini che giocavano 5-6 ore al giorno.
Trovai tanti amici anche lì, io avevo 2-3 anni più di loro e riuscivo a tenere il palleggio. Mi ricordo la mia prima racchetta pagata 7.000 lire, loro arrivavano già a quei tempi con 4-5 racchette degli sponsor, costavano tantissimo ... come viziarli fin da piccoli.
Spesso la mattina andavo a funghi, li vendevo all’unico fruttivendolo del paese a 300 Lire/Kg. Con quei soldi riuscivo a giocare e mi avanzava qualcosa per il superfluo.
Pochissimi andavano per funghi allora, in 2 ore ne raccoglievo 3-4 Kg.
Bei tempi, soprattutto spensierati.
Con l’arrivo del turismo arrivò il lavoro ed il benessere, costruirono dappertutto, si aprirono attività e negozi, il paese si ripopolò.
Per pochi anni.
Poi i giovani scapparono tutti in pianura, adesso ha circa 500 residenti, moltissimi di loro anziani.
E nemmeno una mucca.
Dietro casa c’era una colonia alpina, piena di bambini che dalla pianura venivano a passare qualche settimana nei boschi. Poi negli anni ‘80 è stata abbandonata e verso il 2010 ristrutturata, per metà appartamenti di vacanza e per metà scuola alberghiera.
Grazie alla comunità antifascista di Schio oggi scopro che la ex colonia alpina Umberto I fu anche un campo di concentramento.
Il 23 Dicembre 1943 arrivarono nel campo di concentramento di Tonezza del Cimone 45 persone di origine ebraica rastrellati da tutta la provincia di VI.
La direzione fu affidata a Silvio Toniolo, della Milizia Volontaria per la sicurezza Nazionale e ispettore di zona del Partito Nazionale Fascista.
Tra i detenuti la più giovane fu Marina Eskenazi di 2 anni e mezzo, mentre il più anziano fu Ivan Zaduk, nato nel 1871.
Dei 45 detenuti, 42 furono deportati il 30 gennaio 1944, con il trasporto che partì dal binario 21 della stazione centrale di Milano, destinazione Auschwitz.
Nessuno dei 42 sopravvisse.
Solo i 3 della famiglia Landmann si salvarono.
Walter Landmann nel volume “Le porte della Memoria 2014” racconta: ,“L’intero gruppo, compresi noi, fu caricato su due autobus e trasferito a Vicenza. Ci fermammo proprio fuori dal teatro Olimpico e uno delle SS urlò ‘Landann raus!’”
“Afferrammo i nostri pochi averi e li tirammo giù dal tetto del pullman…”. Barbara Eckl, madre di Walter, convinse i militari tedeschi che lei e i suoi familiari erano appartenenti a famiglia “mista” essendo lei ariana, non avrebbero dovuto essere deportati.
Così i Landmann evitarono il treno da Verona a Milano e poi riuscirono a fuggire in Svizzera con l’aiuto dei partigiani. I due pullman continuarono la corsa verso il treno per Auschwitz con gli altri ebrei.
Verso la morte.
Questa scoperta mi ha messo un’immensa tristezza.
Ho sempre associato l’immagine di quel posto ad un angolo di paradiso, a tanta bellezza della natura e a tanta gente semplice, lavoratrice e buona.
Per qualcuno invece è stata l’anticamera dell’inferno.
E saperlo mi angoscia.
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Era la notte di Natale del 1914, eravamo a sud di Ypres, nel fango freddo di una delle tante trincee delle Fiandre. Di notte avvenivano gli assalti, non si poteva dormire, e ad ogni minimo rumore si sparava nel buio. Di continuo e a caso, nella terra di nessuno che ci separava.
Ad un tratto un silenzio irreale, qualche torcia si accese nelle trincee nemiche, ma i nostri cecchini non spararono. Era tutto così strano. Dopo un po’ arrivò un coro di voci che diceva “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”
Eravamo così esterrefatti che non provammo nemmeno paura e cominciammo ad uscire dalle trincee. Andammo incontro a quelle voci.
Ci incontrammo, ci guardammo negli occhi, qualcuno cominciò a sorridere, in pochi minuti ci ritrovammo a darci la mano, ad abbracciarci.
Trump mi ricorda un po’ il 25 Aprile del ‘45.
Sì, proprio il giorno in cui le truppe alleate arrivarono a Milano e l’Italia del Nord festeggiò la Liberazione dall’occupazione nazifascista.
Non tutti deposero le armi però.
Qualcuno continuò a combattere anche a guerra persa.
C’è un piccolo paesino lungo la Valdastico, una valle stretta che dal vicentino risale fino a Carbonare.
Da lì si ridiscende nella Valsugana e a Trento, per risalire poi verso il Brennero.
Si passa vicino a Lavarone, dove amava trascorrere le vacanze Sigmund Freud.
Il paesino è Pedescala, ed ha una frazione che si chiama Forni.
Poche case e vita dura, il sole solo per qualche ora al giorno e pochi pascoli per le bestie. In compenso tanti boschi e le trote dell’Astico.
Ieri vi ho raccontato di Tonezza del Cimone, resta proprio lì sopra.
Boom di vendite del calendario del Duce.
Mi viene voglia di farne una versione (molto incompleta) anch’io.
IL VERO CALENDARIO DEL DUCE.
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Gennaio 1943: la ritirata di Russia, la fame ed il freddo che falcidiano le truppe italiane.
Dei 229.000 uomini inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati, 10.300 tornati dai campi di prigionia russi.
Il totale delle perdite fu di 74.800 uomini.
Febbraio 1923: Il deputato Giuseppe Amedeo Modigliani, pacifista convinto, è bastonato dai fascisti; Amadeo Bordiga viene arrestato, nei giorni seguenti arrestano ben 112 dirigenti del partito comunista. Inizia il grande esodo dei comunisti verso la Francia e altri paesi europei.
“Big eyes”, occhi grandi.
Così avevano definito i quadri di mio marito.
Ed avevano un grande successo, tanto che negli anni ‘60 tutte le gallerie volevano esporli, si vendevano come il pane.
Peccato non fossero dipinti da mio marito, Walter Keane non faceva nulla.
In realtà ero io, Margaret Keane, che li dipingevo, a quel tempo ero sua moglie.
Mi aveva convinto a firmare solo con il cognome: “I quadri dipinti da donne valgono molto meno, mentre se dipinti da un uomo valgono molto di più”.
Così avemmo un successo strepitoso.
In realtà lui ebbe un successo strepitoso.
E io mi abituai a vivere all’ombra del suo successo, fino al momento in cui non ne potei proprio più.
Siemens, un nome che tutti conoscete sicuramente.
Ma forse non sapete che nel 1931 io, John Rabe, ero stato nominato direttore di un importante ufficio estero di questa azienda.
Ho dovuto così trasferirmi a Nanchino, nella provincia di Jiangsu, a circa 300 Km. Da Shanghai.
Io ero tedesco, nato ad Amburgo e iscritto per forza al partito nazista, non c’era alternativa.
Ma visto l’aria che tirava in Germania ero ben contento di stare in Cina, mi trovavo benissimo.
Poi sono arrivati i giapponesi.
Era scoppiata nel ‘36 la guerra fra Cina e Giappone, e il 13 Dicembre 1937 le truppe dell’Impero giapponese entrarono a Nanchino.
Fate conto che in Italia di questa guerra si sa molto poco, non si studia, ma morirono dai 14 ai 20 milioni di cinesi, nessuno sa esattamente quanti.
Mi chiamo Mary Anning, ma immagino nessuno mi conosca.
Quando sono nata era il 1799, l’Inghilterra era in guerra con Napoleone. La mia famiglia era troppo povera per farmi studiare, ho imparato a leggere e a scrivere frequentando un po’ una scuola cristiana.
Eravamo talmente poveri che dei nove fratelli e sorelle che ho avuto ne ho persi otto, morti appena nati o piccolissimi. Erano altri tempi, certo.
Bastava nascere cento anni dopo e forse sarei diventata famosa.
Certo è difficile diventare famose con sempre il martello in mano.
Mio padre mi trasmise la passione per i fossili, vivevamo a Lyme Regis e lì i fossili non mancavano.
Lui era ebanista, ma mi insegnò a trovarli, a pulirli e a riconoscerli.
Quando mio padre morì dovetti vendere la sua collezione.
Poi per vivere continuai a cercarli.