Era la notte di Natale del 1914, eravamo a sud di Ypres, nel fango freddo di una delle tante trincee delle Fiandre. Di notte avvenivano gli assalti, non si poteva dormire, e ad ogni minimo rumore si sparava nel buio. Di continuo e a caso, nella terra di nessuno che ci separava.
Ad un tratto un silenzio irreale, qualche torcia si accese nelle trincee nemiche, ma i nostri cecchini non spararono. Era tutto così strano. Dopo un po’ arrivò un coro di voci che diceva “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”
Eravamo così esterrefatti che non provammo nemmeno paura e cominciammo ad uscire dalle trincee. Andammo incontro a quelle voci.
Ci incontrammo, ci guardammo negli occhi, qualcuno cominciò a sorridere, in pochi minuti ci ritrovammo a darci la mano, ad abbracciarci.
Parlare era difficile, ma ci si capiva al volo, dagli sguardi.
Inglesi, francesi e tedeschi: tutti noi avevano messo giù il fucile e ci scambiavamo il vino, il cibo, i sigari e il tabacco.
E ci chiedevamo “E tu da dove vieni? Sei sposato? Quanti figli hai?”
Scoprimmo così che anche il “nemico” aveva una madre, una moglie, una fidanzata a cui scrivere, una casa lontana dove poter tornare. Per molti di noi fu la prima volta che vedemmo davvero chi era il nemico. Ce lo avevano dipinto come spietato, senza cuore.
Invece era come noi.
Poi assieme seppellimmo i caduti, ci guardavamo e piangevamo in silenzio, assieme.
Accendemmo qualche candela, e a turno si cantarono le canzoni di Natale. Fu celebrata una messa e ci fu una funzione funebre.
Era Natale in fondo.
Nella terra di nessuno.
Quella degli uomini.
Il giorno dopo ricominciammo a spararci, ma non era più come prima.
Dopo il Natale assieme la mira era peggiorata.
Nelle settimane successive giunsero ai capi lettere che raccontavano fatti incredibili: “I tedeschi hanno lasciato le loro trincee e così abbiamo fatto anche noi”.
I nostri comandi non presero molto bene la cosa, ci spostarono da prima nelle retrovie e poi su altri fronti. Al nostro posto mandarono truppe “fresche”, altri giovani pronti a sacrificarsi per un confine da disegnare sulle carte.
Ma la notizia girò, non fu possibile tenere nascosto quello che fu definito “il miracolo di Natale”.
Ma vi pare un miracolo parlarsi, darsi la mano ed abbracciarsi? Fra poveri cristi che magari di lì a poco sarebbero morti?
Milioni di morti in tutte le guerre non ci hanno insegnato niente.
Ancora oggi i politici ci dicono “Dobbiamo essere orgogliosi di essere italiani, dobbiamo difendere i nostri confini.”
Confini artificiali, segnati per bramosia di potere sulla carta.
Col sangue di innocenti.
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Trump mi ricorda un po’ il 25 Aprile del ‘45.
Sì, proprio il giorno in cui le truppe alleate arrivarono a Milano e l’Italia del Nord festeggiò la Liberazione dall’occupazione nazifascista.
Non tutti deposero le armi però.
Qualcuno continuò a combattere anche a guerra persa.
C’è un piccolo paesino lungo la Valdastico, una valle stretta che dal vicentino risale fino a Carbonare.
Da lì si ridiscende nella Valsugana e a Trento, per risalire poi verso il Brennero.
Si passa vicino a Lavarone, dove amava trascorrere le vacanze Sigmund Freud.
Il paesino è Pedescala, ed ha una frazione che si chiama Forni.
Poche case e vita dura, il sole solo per qualche ora al giorno e pochi pascoli per le bestie. In compenso tanti boschi e le trote dell’Astico.
Ieri vi ho raccontato di Tonezza del Cimone, resta proprio lì sopra.
Oggi ho scoperto una cosa che non conoscevo, su una colonia in montagna. E sì che per 40 anni ci sono passato davanti tutte le estati.
I miei erano maestri elementari e nel ‘59 hanno cominciato ad andare in vacanza lì, a Tonezza del Cimone.
È un piccolo paesino, di fronte all’Altipiano di Asiago, a 1.000 mt. di altezza.
A quel tempo il paese aveva circa 1.500 residenti, in realtà tutti gli uomini e i giovani sopra i 18 anni erano al lavoro fuori dal paese, chi in giro per l’Italia, chi in Francia o Svizzera.
Per i miei era la vacanza ideale: gli affitti delle tantissime camere rimaste vuote costavano pochissimo, ed anche la vita era a buon mercato: pensate che i primi anni non c’erano ancora i frigoriferi, il latte, le uova e le galline ce le vendeva la padrona di casa.
Boom di vendite del calendario del Duce.
Mi viene voglia di farne una versione (molto incompleta) anch’io.
IL VERO CALENDARIO DEL DUCE.
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Gennaio 1943: la ritirata di Russia, la fame ed il freddo che falcidiano le truppe italiane.
Dei 229.000 uomini inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati, 10.300 tornati dai campi di prigionia russi.
Il totale delle perdite fu di 74.800 uomini.
Febbraio 1923: Il deputato Giuseppe Amedeo Modigliani, pacifista convinto, è bastonato dai fascisti; Amadeo Bordiga viene arrestato, nei giorni seguenti arrestano ben 112 dirigenti del partito comunista. Inizia il grande esodo dei comunisti verso la Francia e altri paesi europei.
“Big eyes”, occhi grandi.
Così avevano definito i quadri di mio marito.
Ed avevano un grande successo, tanto che negli anni ‘60 tutte le gallerie volevano esporli, si vendevano come il pane.
Peccato non fossero dipinti da mio marito, Walter Keane non faceva nulla.
In realtà ero io, Margaret Keane, che li dipingevo, a quel tempo ero sua moglie.
Mi aveva convinto a firmare solo con il cognome: “I quadri dipinti da donne valgono molto meno, mentre se dipinti da un uomo valgono molto di più”.
Così avemmo un successo strepitoso.
In realtà lui ebbe un successo strepitoso.
E io mi abituai a vivere all’ombra del suo successo, fino al momento in cui non ne potei proprio più.
Siemens, un nome che tutti conoscete sicuramente.
Ma forse non sapete che nel 1931 io, John Rabe, ero stato nominato direttore di un importante ufficio estero di questa azienda.
Ho dovuto così trasferirmi a Nanchino, nella provincia di Jiangsu, a circa 300 Km. Da Shanghai.
Io ero tedesco, nato ad Amburgo e iscritto per forza al partito nazista, non c’era alternativa.
Ma visto l’aria che tirava in Germania ero ben contento di stare in Cina, mi trovavo benissimo.
Poi sono arrivati i giapponesi.
Era scoppiata nel ‘36 la guerra fra Cina e Giappone, e il 13 Dicembre 1937 le truppe dell’Impero giapponese entrarono a Nanchino.
Fate conto che in Italia di questa guerra si sa molto poco, non si studia, ma morirono dai 14 ai 20 milioni di cinesi, nessuno sa esattamente quanti.
Mi chiamo Mary Anning, ma immagino nessuno mi conosca.
Quando sono nata era il 1799, l’Inghilterra era in guerra con Napoleone. La mia famiglia era troppo povera per farmi studiare, ho imparato a leggere e a scrivere frequentando un po’ una scuola cristiana.
Eravamo talmente poveri che dei nove fratelli e sorelle che ho avuto ne ho persi otto, morti appena nati o piccolissimi. Erano altri tempi, certo.
Bastava nascere cento anni dopo e forse sarei diventata famosa.
Certo è difficile diventare famose con sempre il martello in mano.
Mio padre mi trasmise la passione per i fossili, vivevamo a Lyme Regis e lì i fossili non mancavano.
Lui era ebanista, ma mi insegnò a trovarli, a pulirli e a riconoscerli.
Quando mio padre morì dovetti vendere la sua collezione.
Poi per vivere continuai a cercarli.