Trump mi ricorda un po’ il 25 Aprile del ‘45.
Sì, proprio il giorno in cui le truppe alleate arrivarono a Milano e l’Italia del Nord festeggiò la Liberazione dall’occupazione nazifascista.
Non tutti deposero le armi però.
Qualcuno continuò a combattere anche a guerra persa.
C’è un piccolo paesino lungo la Valdastico, una valle stretta che dal vicentino risale fino a Carbonare.
Da lì si ridiscende nella Valsugana e a Trento, per risalire poi verso il Brennero.
Si passa vicino a Lavarone, dove amava trascorrere le vacanze Sigmund Freud.
Il paesino è Pedescala, ed ha una frazione che si chiama Forni.
Poche case e vita dura, il sole solo per qualche ora al giorno e pochi pascoli per le bestie. In compenso tanti boschi e le trote dell’Astico.
Ieri vi ho raccontato di Tonezza del Cimone, resta proprio lì sopra.
Ci si andava a piedi, per la strada vecchia. Un paio d’ore per andare e un po’ di più per tornare: il tutto per stare in compagnia e tuffarsi nelle pozze d’acqua gelide anche in Luglio e Agosto.
Panini, chitarra e tanta allegria.
(E qualche anno in meno 😅)
Dicevo del 25 Aprile del ‘45.
Le truppe naziste erano in rotta, in un disperato tentativo di ritirata verso la Germania. Avrebbero potuto arrendersi, in pochi mesi sarebbero tornati a casa.
Non potevano salire né a destra verso Tonezza, né a sinistra verso l’altopiano di Asiago.
Arrivati a Pedescala il 28 di Aprile cominciarono a razziare tutto quello che trovarono, e la popolazione di quelle contrade fu vittima di orrendi crimini. Gli uomini furono catturati, rinchiusi, e poi fucilati o uccisi con bombe a mano. I feriti cosparsi di benzina e bruciati.
I carri armati passavano per il paese facendosi strada col lanciafiamme e gettando bombe a mano in mezzo alle case, sulla gente.
Durò fino al 2 Maggio, a guerra già finita e persa.
La disperazione porta sempre a vendicarsi in modo atroce.
82 vittime fra la popolazione del posto, più 3 partigiani. Un episodio sconosciuto ai più, ma una ferita enorme per un piccolo paesino.
Oggi a Pedescala potete leggere ancora i nomi di quelle povere vittime, la vita è andata avanti nonostante tutto il dolore.
Ma la memoria sta sparendo, “sono fatti lontani, bisogna passare avanti” dicono i giovani italiani, i patrioti.
Sarà, ma è emblematica una scritta che sopravvisse alla distruzione di quei giorni: era sull’asilo in rovine del paese.
I bimbi di allora sono cresciuti, sono uomini anziani ormai.
Vediamo di coltivare la speranza mantenendo una cosa vitale: la memoria degli errori del passato.
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Era la notte di Natale del 1914, eravamo a sud di Ypres, nel fango freddo di una delle tante trincee delle Fiandre. Di notte avvenivano gli assalti, non si poteva dormire, e ad ogni minimo rumore si sparava nel buio. Di continuo e a caso, nella terra di nessuno che ci separava.
Ad un tratto un silenzio irreale, qualche torcia si accese nelle trincee nemiche, ma i nostri cecchini non spararono. Era tutto così strano. Dopo un po’ arrivò un coro di voci che diceva “Soldato inglese, soldato inglese, buon Natale! Buon Natale!”
Eravamo così esterrefatti che non provammo nemmeno paura e cominciammo ad uscire dalle trincee. Andammo incontro a quelle voci.
Ci incontrammo, ci guardammo negli occhi, qualcuno cominciò a sorridere, in pochi minuti ci ritrovammo a darci la mano, ad abbracciarci.
Oggi ho scoperto una cosa che non conoscevo, su una colonia in montagna. E sì che per 40 anni ci sono passato davanti tutte le estati.
I miei erano maestri elementari e nel ‘59 hanno cominciato ad andare in vacanza lì, a Tonezza del Cimone.
È un piccolo paesino, di fronte all’Altipiano di Asiago, a 1.000 mt. di altezza.
A quel tempo il paese aveva circa 1.500 residenti, in realtà tutti gli uomini e i giovani sopra i 18 anni erano al lavoro fuori dal paese, chi in giro per l’Italia, chi in Francia o Svizzera.
Per i miei era la vacanza ideale: gli affitti delle tantissime camere rimaste vuote costavano pochissimo, ed anche la vita era a buon mercato: pensate che i primi anni non c’erano ancora i frigoriferi, il latte, le uova e le galline ce le vendeva la padrona di casa.
Boom di vendite del calendario del Duce.
Mi viene voglia di farne una versione (molto incompleta) anch’io.
IL VERO CALENDARIO DEL DUCE.
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Gennaio 1943: la ritirata di Russia, la fame ed il freddo che falcidiano le truppe italiane.
Dei 229.000 uomini inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati, 10.300 tornati dai campi di prigionia russi.
Il totale delle perdite fu di 74.800 uomini.
Febbraio 1923: Il deputato Giuseppe Amedeo Modigliani, pacifista convinto, è bastonato dai fascisti; Amadeo Bordiga viene arrestato, nei giorni seguenti arrestano ben 112 dirigenti del partito comunista. Inizia il grande esodo dei comunisti verso la Francia e altri paesi europei.
“Big eyes”, occhi grandi.
Così avevano definito i quadri di mio marito.
Ed avevano un grande successo, tanto che negli anni ‘60 tutte le gallerie volevano esporli, si vendevano come il pane.
Peccato non fossero dipinti da mio marito, Walter Keane non faceva nulla.
In realtà ero io, Margaret Keane, che li dipingevo, a quel tempo ero sua moglie.
Mi aveva convinto a firmare solo con il cognome: “I quadri dipinti da donne valgono molto meno, mentre se dipinti da un uomo valgono molto di più”.
Così avemmo un successo strepitoso.
In realtà lui ebbe un successo strepitoso.
E io mi abituai a vivere all’ombra del suo successo, fino al momento in cui non ne potei proprio più.
Siemens, un nome che tutti conoscete sicuramente.
Ma forse non sapete che nel 1931 io, John Rabe, ero stato nominato direttore di un importante ufficio estero di questa azienda.
Ho dovuto così trasferirmi a Nanchino, nella provincia di Jiangsu, a circa 300 Km. Da Shanghai.
Io ero tedesco, nato ad Amburgo e iscritto per forza al partito nazista, non c’era alternativa.
Ma visto l’aria che tirava in Germania ero ben contento di stare in Cina, mi trovavo benissimo.
Poi sono arrivati i giapponesi.
Era scoppiata nel ‘36 la guerra fra Cina e Giappone, e il 13 Dicembre 1937 le truppe dell’Impero giapponese entrarono a Nanchino.
Fate conto che in Italia di questa guerra si sa molto poco, non si studia, ma morirono dai 14 ai 20 milioni di cinesi, nessuno sa esattamente quanti.
Mi chiamo Mary Anning, ma immagino nessuno mi conosca.
Quando sono nata era il 1799, l’Inghilterra era in guerra con Napoleone. La mia famiglia era troppo povera per farmi studiare, ho imparato a leggere e a scrivere frequentando un po’ una scuola cristiana.
Eravamo talmente poveri che dei nove fratelli e sorelle che ho avuto ne ho persi otto, morti appena nati o piccolissimi. Erano altri tempi, certo.
Bastava nascere cento anni dopo e forse sarei diventata famosa.
Certo è difficile diventare famose con sempre il martello in mano.
Mio padre mi trasmise la passione per i fossili, vivevamo a Lyme Regis e lì i fossili non mancavano.
Lui era ebanista, ma mi insegnò a trovarli, a pulirli e a riconoscerli.
Quando mio padre morì dovetti vendere la sua collezione.
Poi per vivere continuai a cercarli.