Gli esercizi sono pronti! Due parole su cosa è questo manualetto, cosa non è, e a chi è destinato. Ecco gli #esercizicavernicoli, metodo primordiale per slacciare le cinture della mente.
Non è un corso di disegno. Non so disegnare, quindi non mi metto certo ad insegnarlo. Disegnare "bene", cioè rispettando determinate proporzioni e regole prospettiche, non è lo scopo.
Se farete gli esercizi contenuti in questa raccolta, scoprirete due cose: la prima, ve ne accorgerete subito, è che disegnare male non è un limite.
Per la seconda ci vorrà forse più tempo, e magari non sarà sufficiente quello che passeremo insieme, ma per alcuni di voi sarà entusiasmante scoprire che il disegno vi serve, come vi servirebbe una seconda o terza lingua, ma senza la grammatica, perché disegnare è naturale.
L’uomo nasce pittore, lo dico in continuazione: Prima ancora di imparare a scrivere, l’umanità disegnava per descrivere la realtà e dare corpo al pensiero singolo e collettivo, al contempo tramandando delle conoscenze e esprimendo delle speranze per il futuro.
In seguito,la scrittura è diventato il metodo più efficace per immagazzinare informazioni ed elaborare pensieri nuovi, e lo fa con un’efficienza tale che oggi, nel nostro quotidiano, non sentiamo l’esigenza di indagare metodi diversi e potenzialmente più complicati e dispendiosi.
Il disegno non ci serve più e non lo percepiamo come uno strumento, ma solo come intrattenimento, che sia una forma d’arte o puro passatempo.
È da qui che voglio partire, dal disegno come passatempo.
Dove andremo a parare? Torneremo indietro, nella caverna. Impareremo a disegnare con obiettivi molto semplici e mirati, ma senza nessuna regola, per sbloccare meccanismi che possediamo, ma che usiamo troppo poco. Nel peggiore dei casi, vi divertirete e basta.
Nel migliore dei casi, vi si accenderà una scintilla e prenderete una buona abitudine, utile in modi che adesso neppure sospettate.
A chi è destinato il manuale:
◆ A chiunque pensi di non saper disegnare: rilassatevi e buttatevi.
◆ A chi sa disegnare: rilassatevi ancora di più e dimenticatevi di essere esperti.
◆ Ai bambini: non lo sto neppure a dire, potrebbero salire in cattedra.
◆ A chi prende molti appunti a mano.
◆ A chi fa un mestiere creativo, a chi progetta, a chi organizza, a chi risolve problemi.
◆ A chi si annoia facilmente.
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Le domande scottanti del mercoledì mattina: dove mai avrà comprato il suo cappuccio verde Robin Hood? Questa e altre curiose storie a colori in una nuova puntata di #artistantecolore
Il commercio più fiorente dell’Inghilterra, fin dai romani e anche dopo la scoperta dell’America, era costituito dalla lana. La lana europea di maggior pregio proveniva dall’Inghilterra, inclusa quella che arrivava nelle Fiandre e a Firenze.
Già ai tempi del grande censimento di Guglielmo il Conquistatore, la ricchezza di una proprietà si misurava in capi di bestiame.
Il Nero non è un colore, ma eccoci a parlarne nella rubrica #artistantecolore, per un sacco di buone ragioni che immaginate e altre sulle quali, forse, non avete mai riflettuto.
Se si parla di sintesi additiva, il nero è semplicemente l'assenza di luce, e se si parla di sintesi sottrattiva nero è un materiale che, non riflettendo alcuna lunghezza d'onda della luce che lo investe, non restituisce nessun colore. In pratica, il tutto o il niente: la base.
Il nero rappresenta anche la prima convenzione della rappresentazione artistica: il contorno. Fin dalle caverne, quando gli uomini hanno cominciato a tracciare con il carbone le figure degli animali, il tratto nero del contorno, lontanissimo dal vero,
Per #artistantecolore voglio parlarvi del marrone. Anche se è impopolare, brutto, smorto, anche se è il colore della merda, il marrone è il colore che ogni pittore, in cuor suo, ama e teme. Sebbene, a dirla tutta, non sia neppure un colore.
Dalla terra siamo stati tratti e alla terra ritorneremo: il mito della creazione dell’uomo a partire dall’argilla ha radici antiche e comuni a diverse culture. Di certo, dalla terra è nata l’arte, perché le ocre sono state i primi colori disponibili,utilizzati nell’arte rupestre.
Come ripeto spesso, l’umanità ha imparato prima a dipingere che a scrivere e, quando questo miracolo è avvenuto, per esprimersi gli uomini avevano a disposizione appena tre ingredienti: la terra, il fuoco e il sangue.
C’è un colore che ho a lungo tenuto lontano e che sto imparando a conoscere grazie a un nuovo progetto artistico su seta: il viola. Ve ne parlo in questa puntata di #artistantecolore, fra storie note e dettagli sorprendenti.
Il primo dato che salta all’occhio è che Viola è il nome di un fiore, così come Malva, che è il nome del colorante viola più diffuso, e come eliotropo, che è un altro fiore la cui tonalità influenzò la moda dell’800 e oltre.
Poi ci sono il glicine e il lilla, ancora nomi di fiori per designarne le sfumature, ma nessuna di queste piante profumate ha attinenza con la fonte delle tinture dalle quali si ricava il colore. Le quali, come vedremo, sono tutte piuttosto puzzolenti.
L’ultima volta abbiamo parlato del colore più amato, il Blu. Per compensare il vostro entusiasmo, ho deciso di dedicare questa puntata di #artistantecolore al Giallo, il colore “infame”.
A voler indagare, più che infame, vien fuori che è tossico. I pigmenti più persistenti, infatti, sono l’orpimento (arsenico), il cromo e il cadmio. I primi due non sono più in circolazione e ci è rimasto il Cadmio, il cui uso è ristretto dal 2014 e che si sta tentando di bandire.
Sarà questa sua origine materica tossica ad averne in qualche modo influenzato il destino? Non lo sappiamo, ma è andata così. Cominciamo dall’inizio.
Poiché era ampiamente disponibile e semplice da impastare, il pigmento giallo ocra fu uno dei primi colori utilizzati nell’arte.
Il colore è pura esperienza sensoriale. Come ci si riferiva in modo oggettivo ad un colore, prima dei sistemi di corrispondenza? Non lo si faceva. In epoca preindustriale, ci si riferiva al colore nominando la sua origine materica.
Esistevano il bianco argilla o il bianco calce, nomi che dicevano di più sul metodo di produzione, che non sul risultato visivo. Il bianco ricavato dalla calce in Francia poteva essere molto differente da quello italiano, così spesso si specificava anche l'origine del materiale.
In seguito, l’avvento dei colori sintetici e dell’industrializzazione ha fatto nascere l’esigenza di una catalogazione basata sulla riproducibilità del colore, inteso come effetto finale, e non come metodo produttivo. La stessa esigenza era molto sentita in ambito scientifico.