Discutere della mia vita con te? Perché no, Johannes.
In fondo non puoi riportare niente di più di quello che sta scritto nei libri di storia.
Plutarco ha trasmesso al mondo intero come io, Pericle, sia stato l’inventore della democrazia ateniese.
E molto, molto altro.
«Ottimo. Iniziamo.
Siamo nel 480 a.C. e Temistocle è il politico più influente di Atene.
È lui a convincere gli abitanti a lasciare la città per rifugiarsi sulle isole di Egina e Salamina mentre i Persiani devastano Atene.
Temistocle sta preparando lo scontro navale finale».
Esattamente. Temistocle fu molto astuto.
In quello stretto braccio di mare le navi persiane, anche se più numerose, erano troppo massicce per poter manovrare.
Grazie alle sue duecento triremi, riuscì a ottenere sui Persiani una vittoria decisiva.
Però ora parliamo di me.
«Un attimo. Prima di parlare di te, forse è il caso di raccontare quello che accadde a Temistocle, dopo quella vittoria.
Non è di secondo piano, non credi?
Plutarco parla di Temistocle come colui “che più di tutti ha contribuito alla salvezza della Grecia”.
Che gli accadde?»
Diventare arrogante e farsi molti nemici fu un attimo. Gelosie? Forse.
Oltre a essere avversato dagli Spartani, ad Atene molti detrattori presero a infangare la sua reputazione.
Ad accusarlo di voler imporre una dittatura.
Risultato? L’Ostrakon.
«Già. Ostrakon. Che non è una parolaccia, ma il coccio sul quale veniva scritto, dai componenti dell’assemblea popolare, il nome del cittadino ritenuto pericoloso per la sicurezza dello Stato.
Ostracismo. Temistocle fu costretto a lasciare Atene. Racconta dove si rifugiò».
Dopo essere giunto ad Argo prese la via dell’Asia Minore. Dopo varie vicissitudini finì per essere accolto da Artaserse, figlio di Serse I, Re di Persia.
Sì, proprio il re persiano da lui umiliato a Salamina. Quindi? Cosa vuoi dire con questo?
«Niente, diciamo che voi ateniesi in quanto a riconoscenza zero proprio.
I Persiani invece lo accolsero. Senza rancore.
Comunque prima devi soddisfare una mia curiosità.
Gli scultori hanno sempre raffigurato la tua testa coperta da un elmo. Puoi spiegare il perché?»
Semplice. Perché ho trascorso dieci anni della mia vita come comandante militare e come stratega.
Solo per questo.
Perché quella faccia, Johannes? Ti ho detto la verità.
Di nuovo quella faccia.
Dai, sentiamo la “tua verità”.
«In realtà non è la mia verità, ma quella dello storico Plutarco.
Se gli scultori non volevano schernirti, i poeti non ebbero invece quel tipo di riguardo.
Hanno scritto che avevi la testa allungata “la testa a forma di cipolla”.
Da lì l’elmo sempre in testa».
Era proprio necessario far sapere a tutti questa cosa?
Avrò avuto anche la testa a forma di cipolla, ma avevo un ottimo aspetto.
E un fisico da atleta. Inoltre avevo un sacco di doti. Intelligenza, portamento e capacità oratoria.
Un vero leader politico.
«Lo so. Era nelle carte. O meglio, nei sogni.
Tua madre Agariste prima di metterti al mondo sognò di partorire un leone, simbolo del potere.
E i sogni avevano un significato profondo allora.
Questa volta è lo storico Erodoto a raccontare quel sogno».
Forse fu il sogno, o più semplicemente il fatto che provenissi dalla famiglia giusta.
Mamma Agariste era la nipote di Clistene, padre della democrazia ateniese, capo della famiglia degli Alcmeonidi.
Sposando mia madre, anche mio padre Santippo entrò a far parte della famiglia.
«Giusto. Gli Alcmeonidi, la più potente famiglia aristocratica di Atene.
Con tali parenti ti è stato facile iniziare la carriera politica. Eravate una famiglia potente, è vero, ma c’era anche la famiglia dei Filaidi a contendervi l’appoggio degli aristocratici e del popolo».
Buoni quelli. Ci contendevano l’appoggio degli aristocratici che detenevano il potere e allo stesso tempo appoggiavano il popolo che voleva sostituire gli aristocratici.
Fummo costretti a farlo anche noi, ma il nostro modo fu diverso.
«Certo. Ma sul modo diverso ho qualche dubbio. Facevate le stesse cose. Però hai dimenticato di dire che la rivalità diventò sempre più feroce.
Tuo padre Santippo portò in tribunale uno dei Filaidi. Milziade, colui che aveva sconfitto i Persiani di Dario a Maratona».
E lo fece condannare al carcere.
L'accusa era pesante, dai.
Lui era stato al comando di una spedizione contro l’isola di Paro, alleata dei Persiani. E aveva fallito. Un’onta.
Morì pochi mesi dopo in carcere, ma la mia famiglia non ha nessuna responsabilità.
«Ma che dici. Quale accusa pesante. Comunque.
Morto Milziade, capo della famiglia divenne il figlio Cimone. Che vendicò il padre condannando all’ostracismo tuo padre Santippo per essere stato sconfitto, a sua volta, dagli abitanti dell’isola di Egina.
Ti rese pan per focaccia»
Vogliamo continuare a parlare d’altro o raccontiamo di come, sotto la mia guida, tra il 461 e il 429 a.C. Atene raggiunse il suo massimo splendore sia in campo economico che in campo artistico e culturale?
“Età d’oro di Atene”, il mio periodo, il più luminoso.
È vero, ma come hai detto all’inizio quello che hai fatto alla guida di Atene e quello che sei stato per quella città, è scritto sui libri di storia.
Io vorrei toccare punti della tua vita poco conosciuti.
Per esempio. Quale fu il tuo prima passo in politica?»
Quello lo ricordo bene.
Fu quello di finanziare la messa in scena di un’opera di Eschilo.
Era una tragedia molto attuale a quel tempo, “I Persiani”. Raccontava della guerra appena combattuta.
La seconda fu schierarsi, io aristocratico, dalla parte del popolo.
«Ti serviva altro consenso visto che gli aristocratici stavano dalla parte del tuo rivale Cimone.
Che essendo più ricco di te si permetteva di offrire pasti gratis a chi aveva fame, vestiti a chi ne aveva bisogno, aprendo i suoi campi per regalare al popolo la sua frutta».
Calmo Johannes. Io non ero da meno di quel Cimone. Comunque si è fatto tardi e malgrado la discussione sia andata per le lunghe abbiamo parlato poco della mia vita e dei miei successi.
Vediamo di rimediare domani.
Non vorrei ci fosse sotto la fregatura.
«Nessuna fregatura.
Sulla discussione comunque non sono d’accordo.
Penso che sia stata utile per inquadrare inizialmente la tua persona. Concordo invece sul fatto che si è fatto tardi. Solo una raccomandazione per domani.
Ricordami che ti devo chiedere una cosa importante».
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«Dopo 2 thread (bit.ly/301WVoL e bit.ly/2OcUuNj ), caro Pericle, riprendiamo dalle opere da te realizzate.
Non avevi soldi. Però avevi i tributi dalle città che facevano parte della lega di Delo.
Soldi custoditi nell’isola sacra ad Apollo.
Ti venne un’idea».
Vero. I soldi erano custoditi nell’isola di Delo.
Pensai di trasferire quei soldi ad Atene, sotto il mio controllo. Usai quel denaro anche per completare i circa sei chilometri di mura che dalla città arrivavano a inglobare il vecchio porto del Falero e il nuovo porto del Pireo.
«Ma come sempre accade, anche ai migliori politici, il consenso cominciò a calare.
E quando cala il consenso…
I tuoi avversari passarono al contrattacco.
Cominciarono accusando il tuo amico Anassagora.
Solo per aver formulato ipotesi sul moto dei corpi celesti».
«Salve Pericle, ci sei? Sono Johannes.
Eravamo rimasti (qui ieri bit.ly/301WVoL ) alla tua rivalità con Cimone.
Tu che facevi parte della famiglia degli Alcmeonidi, lui della famiglia rivale dei Filaidi, famiglie ateniesi potenti e aristocratiche. Continua pure».
Ieri hai detto che Cimone aiutava il popolo.
Io non ero da meno.
Lo sapevi che i teatri erano pieni di gente povera?
E secondo te chi pagava loro il biglietto? Il sottoscritto.
Non solo.
Davo pure soldi a quelli che facevano parte delle giurie nei tribunali popolari.
«Peccato che, a differenza di Cimone, non fossero soldi tuoi.
Prelevavi il tutto dalle casse dello Stato.
E con quello compravi il consenso popolare.
Al popolo il superfluo dà più piacere del necessario, ripetevi a ogni occasione.
Ecco il perché del biglietto a teatro».
Oggi è il 23 marzo 2017.
Non è la prima volta che vengo ad Auschwitz.
Sono stanco, e non solo per i miei 83 anni.
Sono ormai trent’anni che cerco di a mettere in luce le responsabilità di quell’azienda nello sterminio di milioni di esseri umani.
Era il 26 ottobre 1942 e sono certo che Kurt ripensò al suo passato. Era stato assunto da quell'azienda come disegnatore tecnico e di strada ne aveva fatta parecchia. Dopo nove anni era stato promosso ingegnere del reparto D.
E proprio in quel reparto aveva dato il meglio di sé.
Grazie al suo ingegno la sua ditta si stava aggiudicando tutti gli appalti.
Quel giorno era particolarmente euforico.
«Le mie idee sono davvero rivoluzionarie, posso supporre che mi concederete un bonus per il lavoro che ho fatto» aveva scritto in mattinata al suo direttore.
«Nerone ti sei calmato? Ieri sera
(qui bit.ly/3sbRpMi) abbiano parlato di un’accusa infamante nei tuoi confronti. Abbiamo però concordato sul fatto che tu non hai nessuna colpa per l’incendio di Roma del 64 d.C.
Ci resta da approfondire il resto della tua vita».
Credo che nessuno abbia qualcosa da dire sui primi anni del mio impero. Mi sono comportato bene.
Anzi benissimo, in modo impeccabile.
Sotto la guida di Seneca, del prefetto del pretorio, Sesto Afranio Burro e della donna più influente di Roma, mia madre Agrippina.
«Concordo sul ruolo avuto da tua madre nella tua salita al trono. Lo voleva a ogni costo.
“Che mi uccida, purché regni” rispose a un oracolo che la metteva in guardia. Ci mettesti del tuo.
Hai fatto uccidere Britannico, il tuo fratellastro.
Era lui il legittimo Imperatore»
Sinceramente sono combattuto, Johannes.
Ho seguito la serie di batti e ribatti con Riccardo Cuor di Leone e sinceramente non sei stato tenero con lui.
Non oso pensare cosa tu possa raccontare di me ai tuoi lettori.
Lettori, come ha scritto @tonyjorio, e non follower.
«Giusto, lettori.
Visto che abbiamo rotto il ghiaccio perché non iniziamo la discussione?
In fondo peggio di come ti hanno dipinto sarà difficile. Credo anzi che la tua versione dei fatti possa essere un’occasione per smentire le chiacchiere che girano sul tuo conto».
Le chiami chiacchiere? Mi prendi in giro?
Come puoi definire dicerie e pettegolezzi quello che hanno scritto di me nei libri di storia.
Hai letto come mi ritraggono sempre?
Mi sono scocciato. Brucia un autobus a Roma e mi tirano in ballo. Basta. Non sono stato io, chiaro?
Qualcuno ha scritto che “i numeri costituiscono il solo linguaggio universale”.
Vero. Anche perché i numeri spesso non sono solo numeri.
100 1.000.000
Cento Un milione.
Oppure 7 come le persone che incontrai quando tornai a Kigali il 21 luglio del 1994.
2, come le esplosioni che udimmo quella sera del 6 aprile 1994 quando tutto ebbe inizio.
Subito dopo la telefonata della mia segretaria.
«Hanno abbattuto l’aereo del Presidente Habyarimana»
Quella notizia significava una cosa sola. Guai.
E scontri in città. Quella notte dormimmo tutti in bagno, l’unica stanza della casa che non poteva essere raggiunta da eventuali colpi esplosi dalla strada.
Mentre il telefono continuava a squillare.