«Nerone ti sei calmato? Ieri sera
(qui bit.ly/3sbRpMi) abbiano parlato di un’accusa infamante nei tuoi confronti. Abbiamo però concordato sul fatto che tu non hai nessuna colpa per l’incendio di Roma del 64 d.C.
Ci resta da approfondire il resto della tua vita».
Credo che nessuno abbia qualcosa da dire sui primi anni del mio impero. Mi sono comportato bene.
Anzi benissimo, in modo impeccabile.
Sotto la guida di Seneca, del prefetto del pretorio, Sesto Afranio Burro e della donna più influente di Roma, mia madre Agrippina.
«Concordo sul ruolo avuto da tua madre nella tua salita al trono. Lo voleva a ogni costo.
“Che mi uccida, purché regni” rispose a un oracolo che la metteva in guardia. Ci mettesti del tuo.
Hai fatto uccidere Britannico, il tuo fratellastro.
Era lui il legittimo Imperatore»
Non avevo scelta. Avevo tolto all’amante di mia madre, Pallante, il controllo delle finanze imperiali.
Mamma si arrabbiò.
Minacciò di aiutare Britannico, vero erede, a prendere il mio posto.
Avevo diciassette anni e Britannico stava per compierne quattordici.
«E a quattordici anni sarebbe diventato “maggiorenne”. Essendo il ragazzo molto amato trovasti un modo per far sembrare la sua morte un fatto accidentale.
Il primo tentativo di avvelenarlo non riuscì.
Avevi incaricato l’avvelenatrice Locusta».
Sì, ci volle un secondo tentativo.
A una cena, l’11 febbraio del 55 d.C.
Visto che faceva assaggiare tutto a un suo servo, Locusta usò quello stratagemma.
Una bevanda caldissima assaggiata dal servo e poi allungata e raffreddata col veleno.
«E così, dopo la morte di Claudio, anche quella di suo figlio Britannico.
Pensavi di essere in una botte di ferro.
I problemi con tua madre Agrippina invece erano solo l’inizio.
Prima però parliamo della donna della tua vita».
Intendi Claudia Atte? Era stata comprata in Asia.
Da schiava diventò la mia prediletta.
Scusa Johannes. O forse ti riferisci a Poppea Sabina? Bellissima anche lei, certo. Con un bel caratterino.
E un’ambizione smisurata.
«In realtà per “amore della tua vita” intendevo tua moglie, Ottavia.
Conosciamo poco di lei. Era bella e riservata.
Mite e tranquilla.
Neanche la consideravi.
Perché fu tanto amata dal popolo di Roma?»
Non so. Forse per quello che accadde dopo l’uccisione del nobile Pedanio.
La legge prevedeva l’uccisione dell’assassino, ma anche di tutti i servi di Pedanio. Per non aver protetto la sua vita. Venne da me a chiedere la grazia per quegli schiavi. Quattrocento, credo.
«Grazia che tu rifiutasti.
Comunque dopo la morte di Britannico il rapporto con tua madre Agrippina andò via via peggiorando.
Vi dichiaraste guerra aperta. Le togliesti ogni protezione. Non la prese bene quando entrò nella tua vita Poppea Sabina»
Già. I rapporti con mia madre peggiorarono.
Le litigate erano all’ordine del giorno.
Quando mi urlò in faccia che Britannico, legittimo erede di Claudio, sarebbe stato un Imperatore migliore del sottoscritto, persi le staffe.
Ma fu Poppea a istigarmi.
«Lo so. Poppea voleva diventare Imperatrice e per togliere di mezzo Ottavia, tua moglie, che Agrippina amava, doveva prima eliminare tua madre.
Poppea ti instillò talmente tanto odio nei suoi confronti che a un certo punto prendesti quella decisione».
La decisione di eliminarla.
Prima con un processo che non portò a nessuna condanna.
Poi organizzai la sua morte alla festa di Minerva, nel marzo del 59 nel porto di Baia.
L’avevo invitata per fare pace.
Poi accompagnata alla nave che doveva poi affondare.
Con lei sopra.
«Invece lei riuscì a salvarsi. Avevi organizzato tutto alla perfezione, ma avevano affondato la nave troppo vicino alla riva.
Quando ti comunicarono la notizia, che si era salvata, intendo, imprigionasti il messaggero e inviasti un uomo di fiducia, Aniceto, a ucciderla».
Certo. E Poppea non aspettava altro.
Quello di sposarmi e diventare Imperatrice.
Cosa che avvenne, ma avevo preso quella decisione soprattutto perché stava mettendo a rischio la mia autorità.
Intorno alla sua persona molti premevano per una rivolta.
«Già, quante finte lacrime versasti quel giorno.
Per te non fu per niente “‘Na botta ar core”.
Avevi raggiunto il tuo scopo finalmente.
Avvelenato Britannico, figlio naturale dell’imperatore Claudio, e fatto uccidere tua madre Agrippina».
Sposai finalmente Poppea e lei divenne la nuova imperatrice.
La dovevi vedere mentre faceva il bagno nel latte di 500 asine per avere sempre la pelle giovane.
Pregava gli dei di farla morire appena fosse iniziato il suo sfiorire.
«Il suo desiderio fu esaudito.
Anche qui gli storici non sono stati teneri con te accusandoti della sua morte.
In realtà morì per un problema durante la gravidanza mentre era in attesa del secondogenito.
La prima figlia, Claudia Augusta, era morta dopo soli quattro mesi».
Vedi quante bugie hanno raccontato sul mio conto? Ammetto anche di aver ripudiato e fatto uccidere mia moglie Ottavia dopo il matrimonio con Poppea, ma detto questo rimango il personaggio storico più calunniato al mondo.
Che ha fatto però anche cose buone.
«Diciamo che avevi dei pregi.
Attore, scrittore, poeta, cantante, amavi la scienza e la tecnica.
Hai combattuto tutti quelli che opprimevano e sfruttavano il tuo popolo.
Per mantenere il consenso inventasti la politica-spettacolo.
No, questo non è sicuramente un pregio».
Quel che è certo che non meritavo quella ribellione. Costretto a fuggire da Roma mentre il Senato mi dichiarava "nemico della patria".
Mi restava solo una cosa da fare.
Coincidenza volle accadesse quel giorno, nell'anniversario dell'uccisione di Ottavia.
Nerone fu il quinto e ultimo imperatore della dinastia giulio-claudia. Un giudizio al di là della percezione collettiva?
Forse lo possiamo trovare dopo la sua morte. “L’anno dei quattro Imperatori”, quando Roma piombò nel caos di una guerra civile.
Ma questa, è un’altra storia.
• • •
Missing some Tweet in this thread? You can try to
force a refresh
Sinceramente sono combattuto, Johannes.
Ho seguito la serie di batti e ribatti con Riccardo Cuor di Leone e sinceramente non sei stato tenero con lui.
Non oso pensare cosa tu possa raccontare di me ai tuoi lettori.
Lettori, come ha scritto @tonyjorio, e non follower.
«Giusto, lettori.
Visto che abbiamo rotto il ghiaccio perché non iniziamo la discussione?
In fondo peggio di come ti hanno dipinto sarà difficile. Credo anzi che la tua versione dei fatti possa essere un’occasione per smentire le chiacchiere che girano sul tuo conto».
Le chiami chiacchiere? Mi prendi in giro?
Come puoi definire dicerie e pettegolezzi quello che hanno scritto di me nei libri di storia.
Hai letto come mi ritraggono sempre?
Mi sono scocciato. Brucia un autobus a Roma e mi tirano in ballo. Basta. Non sono stato io, chiaro?
Qualcuno ha scritto che “i numeri costituiscono il solo linguaggio universale”.
Vero. Anche perché i numeri spesso non sono solo numeri.
100 1.000.000
Cento Un milione.
Oppure 7 come le persone che incontrai quando tornai a Kigali il 21 luglio del 1994.
2, come le esplosioni che udimmo quella sera del 6 aprile 1994 quando tutto ebbe inizio.
Subito dopo la telefonata della mia segretaria.
«Hanno abbattuto l’aereo del Presidente Habyarimana»
Quella notizia significava una cosa sola. Guai.
E scontri in città. Quella notte dormimmo tutti in bagno, l’unica stanza della casa che non poteva essere raggiunta da eventuali colpi esplosi dalla strada.
Mentre il telefono continuava a squillare.
Sinceramente ho perso il conto delle medaglie che mi hanno appuntato sul petto, l’ultima circa due anni fa, nel 1942, la Navy Distinguished Service Medal.
E allora mi domando.
Che ci faccio davanti a una commissione d’inchiesta della Marina degli Stati Uniti?
L’accusa è pesante.
Sono ritenuto il principale responsabile del più grande disastro, in termini di uomini e navi, subito in mare aperto dalla Marina degli Stati Uniti durante la seconda guerra Mondiale.
Per aver portato la flotta proprio al centro del disastro.
Chi sono?
Mi chiamo William Frederick Halsey, comandante in capo della Terza Flotta degli Stati Uniti.
E sono qui per difendermi.
Il mondo deve sapere cosa è successo.
Nessuno di noi era preparato e le mie decisione furono prese solo nell’interesse delle operazioni militari in corso.
Johannes, ci sei? Sotto trovi il link della nostra conversazione di ieri dove mi hai accusato di essere un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Come mai allora per l’immaginario collettivo sono da sempre un personaggio mitico? bit.ly/3cFLfiJ
«A dire il vero ho detto che malgrado letteratura e cinema ti abbiano descritto come un buon sovrano, alcuni hanno parlato di te in altri termini. Punto.
Comunque continua.
Sei rimasto a quando venisti a sapere che tuo fratello Giovanni era sul punto di usurparti il trono».
Vero. Giovanni, quel caro fratello a cui mio padre aveva riservato il suo più grande affetto.
E’ così. Non aveva occhi che per lui. Che dovevo fare?
Ho lottato per difendere quello che mi spettava.
Puoi farmene una colpa?
E poi erano tradizioni di famiglia tutti quei litigi.
Dicerie. Messe in giro per screditarmi. In fondo voi conoscete bene la mia storia. Film, libri, persino cartoni animati hanno raccontato le mie gesta.
Tutti concordi nel ritenermi un buon sovrano.
Lui era malvagio e usurpatore.
Mio fratello Giovanni, intendo.
«Scusa Riccardo, sono Johannes. Non vorrei contraddirti, ma qualcuno ha riassunto con altre parole la tua vita e il tuo regno.
Ti ha descritto diversamente.
Precisamente come un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Ma che dici. Non hai visto i film su Robin Hood, l’eroe che rubava ai ricchi per dare ai poveri?
Viene raccontato molto bene l’amore che il popolo aveva per me. Tutti aspettavano il mio ritorno, lottando contro mio fratello Giovanni. Lui sì che era cattivo.
Non potevo mancare proprio oggi, 23 giugno 1992, davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.
Siamo in tanti, almeno diecimila, a ricordare la morte, avvenuta esattamente un mese fa, di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca e di Vito, Rocco e Antonio, gli agenti della scorta.
1.950 metri ci separano dalla casa di Falcone.
Il corteo si è avviato.
E’ un pomeriggio assolato e dentro tutti noi c’è tanta rabbia, tanta tristezza.
Negli ultimi due anni sono stati oltre 200 gli uomini uccisi dalla mafia. Uomini di Stato e non solo.
Ho visto nel corteo la moglie di Libero Grassi.
Quante vittime. Troppe. Ognuno con la sua storia.
Mentre ci incamminiamo ripenso a una di quelle vittime invisibili, che ormai nessuno ricorda più.
Vorrei poter far conoscere a tutti la sua storia.
Ormai dimenticata.