"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
Che teneri. L'acqua di rose è un'essenza che ha tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Ti viene da pensare ai bambini.
Forse per questo hanno pensato bene di intitolare un parco giochi a lui.
A Filettino, infatti, c’è un parco giochi per bambini intitolato a Rodolfo Graziani, il macellaio del Fezzan.
Non è roba recente. Gli è stato dedicato a
nel 1938 dal podestà Domenico Pontesilli.
Già. Un parco giochi per bambini.
E quell'anno. Il 1938. Un anno maledetto.
Io me lo ricordo bene quell’anno.
Le leggi razziali contro noi ebrei.
Un parco giochi per bambini.
Avete ancora un parco gioco per bambini intitolato a un gerarca fascista.
Qualcuno ha detto: "Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
Sul Manifesto della razza in appoggio alle leggi razziali fasciste c’era anche la sua firma, sapete?
Chi sono?
Mi chiamo Settimio Calò.
Condannato il 16 ottobre del 1943.
Quale è stata mia condanna?
Costretto a sopravvivere.
Quel 16 ottobre 1943 abitavo a Roma in via del Portico D’Ottavia al numero 49.
Sì, nel ghetto ebraico.
Quella notizia mi aveva riempito di gioia.
Da accanito fumatore avevo saputo che nella tabaccheria a Monte Savello erano arrivate delle stecche di sigarette.
Una manna dal cielo vista la difficoltà dei rifornimenti. Per questo uscii di casa all’alba.
Per essere uno dei primi evitando così eventuali code.
Dormivano tutti quando richiusi la porta dietro di me. A cominciare da mia moglie, Clelia Frascati.
Avevo 45 anni. Mi ero sposato molto giovane.
Da quel matrimonio erano nati i nostri gioielli. Dormivano anche loro quella mattina.
Ester, 20 anni, Rosa di 18, Ines di 16, David di 13, Elena di 11, Angelo di 8, Nella di 6, Raimondo di 4, Samuele 6 mesi ancora da compiere.
C’era anche mio nipote, figlio di una mia sorella, Settimio Caviglia, di 12 anni.
Ho letto che qualcuno ha scritto ci fosse anche Bellina, un’altra mia figlia. Non è così. Bellina era morta anni prima, nel 1933.
In casa moglie, 9 figli e un nipotino.
E io a cercare sigarette.
E un po’ di fila la feci.
E poi tornai a casa felice, dopo aver recuperato qualche sigaretta.
La salita delle scale, l’apertura della porta.
E quel silenzio. Un silenzio insolito a quell’ora. Chiamai tutti per nome.
Silenzio. Le stanze erano completamente vuote.
Capii all’istante quello che era successo.
Mentre ero a comprare le sigarette i tedeschi erano entrati in casa e avevano portato via tutti.
Sapevo cosa significava essere rastrellati dai nazi-fascisti.
Lo sapevo.
Impazzire fu la logica conseguenza.
Uscii di casa. Ricordo di avere corso.
Corso, senza sapere dove.
Qualcuno mi disse che c’era gente radunata alla Lungara.
Li raggiunsi e urlai: “Aspettate, ci sono anch’io”.
Volevo riunirmi alla mia famiglia, ma un soldato italiano mi ricacciò indietro.
Che sia maledetto.
Continuavo a piangere.
Il 19 ottobre mia sorella Liliana andò alla stazione della Tiburtina.
Vide suo figlio, mio nipote, rannicchiato all’interno di un vagone diretto in Polonia.
“Vai a casa mamma, abbi cura dei miei fratellini” le disse. Povero bambino.
La moglie, i nove figli e il nipotino di Settimio Calò furono tutti uccisi appena arrivati ad Auschwitz-Birkenau.
Come molti altri bambini portati via ai loro genitori. Come i sei figli di Leone e Virginia Bondi per esempio.
Molte le famiglie distrutte.
Settimio Calò è morto cinquant’anni fa distrutto dal dolore.
Aveva vissuto il resto della vita nel rimorso per essere sopravvissuto.
Una famiglia, la sua, simbolo di tutte le famiglie distrutte dall’odio.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
In quel “sabato nero” tra le ore 05:30 e le ore 14:00 del 16 ottobre 1943 tra gli oltre mille ebrei deportati ad Auschwitz (ne torneranno solo diciassette) c’erano 288 tra neonati, bambini e ragazzi fino 15 anni.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
Dieci ragazzi di 15 anni, quindici di 14, diciannove di 13, diciassette di 12, sedici di 11, diciassette di 10, dieci di 9, sedici di 8, sedici di 7, ventitrè di 6, ventuno di 5, ventiquattro di 4, ventitrè di 3, venticinque di 2, tredici di 1.
"Acqua di rose".
Con loro due neonati di 10 mesi, uno di 9 mesi, due di 8 mesi, due di 7 mesi, cinque di 6 mesi, due di 5 mesi, due di 4 mesi, tre di un mese, 1 di 15 giorni e uno, figlio di Marcella, nato al momento dell’arresto.
Più due bambini senza nome.
"Acqua di rose".
Di tutti questo angeli si salvò solo Enzo Camerino di quindici anni, figlio di Italo.
Tutto gli altri passarono dal camino delle camere a gas al loro arrivo ad Auschwitz-Birkenau.
Nessun parco giochi è dedicato quei bambini.
Fulvia Ripa di Meana, che verrà decorata con croce di guerra al valor militare per la sua attiva partecipazione alla resistenza contro i nazi-fascisti a Roma, stava passando da via Fontanella Borghese quando vide tre camion pieni di bambini.
Questa la sua testimonianza.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza che ha tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Ti viene da pensare ai bambini.
A tutti quei bambini passati da un camino.
E la rabbia ti prende.
Per non dimenticare.
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"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza e non risulta che l'uso sia associato a rischi per la salute.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose?". Nessun rischio per la salute?
Questo lo dite voi.
Mi chiamano “Moretto” perché da piccolo ero scuro di capelli.
In realtà il mio nome è Pacifico Di Consiglio, nato a Roma il 10 giugno 1921.
Vivo in via Sant’Angelo in Pescheria, numero 28, a due passi dal Tempio Maggiore, nel cuore del Ghetto.
Come li ricordate i vostri diciassette anni? Felici? Spensierati? Beati voi.
Oggi, nel 1938, quello che «ha fatto anche cose buone» «all’acqua di rose» ha pensato bene di cacciare dalle scuole e dai posti di lavoro quelli come me.
Ebrei, insomma.
"Le leggi razziali? Applicate all'acqua di rose".
L'acqua di rose è un'essenza. Tra le sue caratteristiche la delicatezza.
Dicono anche che aiuti a contrastare le rughe e gli altri segni dell’invecchiamento.
Effettivamente per me fu impossibile.
Invecchiare, intendo.
Era il 17 settembre del 1944, quando con i miei compagni fummo sorpresi e circondati da circa 30 tedeschi e 120 fascisti.
Uno scontro impari.
Dino Degani, 18 anni di Negrar, figlio di un'importante famiglia monarchica e antifascista era con me.
Lui e gli altri mi urlarono di scappare.
Replicai: "Vuialtri g'avì voia de schersàr" e poi uscii allo scoperto col moschetto in mano.
Che ci facevo in quella baita sul monte Comun, situato tra la Valpolicella e la valle di Stallavena?
«Bentornato Licurgo. Ieri sera (qui bit.ly/2YtDuYP) abbiamo parlato degli spartiati, la casta militare.
“Torna con lo scudo o sullo scudo”.
Era il saluto delle madri spartane quando un figlio partiva per andare a combattere.
Morire in battaglia, l’onore più grande»
I 300 di Leonida alle Termopili sono l’esempio più alto. Abbiamo parlato degli spartiati, circa 10.000 e degli iloti circa 100.000. Esisteva una terza classe sociale. “Il ceto medio”. I Perieci.
50/60.000 uomini liberi che non potevano però partecipare alla vita politica.
«Senza poter votare, dovevano solo servire gli spartiati nel prepararsi alla guerra.
Potevano guadagnare, quello sì.
Erano commercianti, artigiani, fabbricanti di armi.
Il vero motore di Sparta.
Che permetteva agli spartiati di concentrarsi sulla guerra, senza lavorare»
“Brodo nero”. Sorrido pensando che vuoi raccontare la mia storia iniziando da un intingolo.
Precisamente da una carne di cinghiale cotta nel suo sangue con l’aggiunta di sale e aceto.
Posso dire che sei strano forte? Chi racconterebbe la storia di Sparta iniziando da un piatto.
«Caro Licurgo, non era un semplice piatto, dai.
Era la pietanza più apprezzata a Sparta.
Tanto che un re del Ponto fece venire alla sua reggia un cuoco spartano affinché cucinasse quella prelibatezza.
Pensava fosse una leccornia.
Invece…»
Te lo immagini un re del Ponto che inizia a sputare quella roba nel piatto?
In realtà, e il cuoco lo aveva detto chiaramente al re, per apprezzare quel piatto dovevi essere stato bagnato nell’Eurota, il fiume che attraversava Sparta.
Essere un vero spartano quindi.
Anno 1919.
Trentasei anni, quasi calvo, abitava in quegli anni a Milano, all’ultimo piano di un appartamento di Foro Buonaparte.
Diceva in giro di essere povero.
Che se sei un politico, alla gente fa sempre un bell’effetto.
Naturalmente non era vero.
Sposato in municipio, viveva in quell’appartamento con i suoi tre figli, la suocera e una domestica.
Usava il “tassì”, ma amava le automobili.
Quando prenderà la patente (tardi) la sua prima auto sarà una Bianchi.
Per passare poi a un'Alfa Romeo.
Continuando a usare il “tassì”.
D’estate tutta la famiglia al mare
Rigorosamente a Senigallia.
Teatro? Quasi tutte le sere. Ma non lirica, perché lo faceva dormire.
La cosa che amava di più? I fuochi artificiale, quelli che alla fine facevano il botto.
Dove prendeva i soldi?
Il New York Times mi ha dedicato un bellissimo necrologio, scrivendo alla fine “una modesta casalinga che non ha mai pensato di aver fatto qualcosa di straordinario". Effettivamente è così. Mai pensato. Fino all’ultimo giorno della mia vita, il 2 maggio 2008. Maledetta polmonite
Avevo 68 anni, ma a dire il vero la mia vita era già terminata quel giorno, il 22 luglio 1975, quando un camion guidato da un ubriaco ci aveva travolti uccidendo sul colpo il mio Richard.
Aveva solo 41 anni, sapete?
Io 36.
Viva, ma da quel giorno senza un occhio.
“Loving v. Virginia 388 U.S. 1967”, non vi dice niente? Tranquilli, è normale.
Oggi per voi molte cose sono scontate.
Non era così a miei tempi, nel 1958.
In Virginia non era scontato per un uomo nemmeno innamorarsi e sposare una donna.
Perché dipendeva dal tipo di donna.