Della legge Casati si parla in tutti i manuali di storia.
Di Carlo Matteucci e Guido Baccelli no. Eppure sono i due dioscuri dei tentativi di riforma universitaria nell'Italia liberale. Tentativi falliti, per quello che è stato definito un "cimitero di ordinamenti" mai applicato
Matteucci, fisico, è ministro dell'Istruzione nel 1862. A lui si deve uno sforzo di omologazione delle università pubbliche per calendari, amministrazione, tasse ecc. Un'omologazione che spesso cancella i tratti specifici dei vecchi ordinamenti
Ma del resto l'obiettivo di Matteucci è ancora più ambizioso: fare di tante università un unico sistema organico. E farlo con la forza del dirigismo ministeriale. Il suo regolamento di fatto individua nel Regno 6 università propriamente dette
Torino, Pavia, Bologna, Pisa, Napoli, Palermo, a cui si aggiungeranno, si sa per certo, altri due atenei di lingua italiana: Padova e Roma. Sono le sedi più grandi e meglio dotate, che hanno un ruolo nel panorama internazionale
Solo loro rilasceranno lauree: chi studia altrove, deve poi laurearsi lì. Solo loro saranno finanziate al 100% dallo Stato e avranno tutte le facoltà. Presso di loro sorgeranno strutture modellate sulla Normale per formare i professori di liceo di cui c'è disperato bisogno
Le altre sedi vivranno se potranno: se avranno studenti che pagano e se troveranno enti locali che le finanziano, perché evidentemente c'è bisogno. Gli obiettivi sono chiari: da un lato i soldi sono pochi e bisogna investirli in centri funzionanti
Adeguati agli standard internazionali in cui tanta parte della classe dirigente del nuovo stato si è formata. Dall'altro gli atenei sono mal distribuiti: attorno all'Appennino centrare ce n'è uno ogni due province, nel Sud continentale solo Napoli
L'omologazione ha soppresso i licei universitari che erano un'articolazione locale fondamentale dell'istruzione superiore delle Due Sicilie, e per riequilibrare il tutto si fa in modo che gli atenei minori esistano solo come succursali
Il tentativo di razionalizazzazione dura un anno. Nel 1863 il ministro Michele Amari cede alle pressioni dei notabili provinciali in favore delle "loro" università e cancella tutto
Passa il tempo, muta lo scenario politico con l'emergere della Sinistra storica di governo, e tra gli anni '80 e '90 è a più riprese ministro Baccelli, medico romano di prestigio
Quel riordino (al risparmio) che Matteucci voleva fare in forza di legge, un esponente della Sinistra lo propone secondo i principi politici che animano la sua parte, ovvero con l'autonomia
Più volte fa discutere in Parlamento una riforma che concede l'autonomia amministrativa, culturale e di assunzioni alle singole sedi, con la responsabilità dell'uso del finanziamento di Stato e la necessità di trovare sul territorio fondi ulteriori per la crescita
Al di là del principio liberale sotteso al tutto, c'è anche la volontà di obbligare le università a dialogare con quel ceto imprenditoriale moderno che nella Sinistra storica trovava la sua espressione politica
So che è facile cedere alla tentazione di attualizzare il discorso, e non è detto che non abbia senso, ma innanzi tutto bisogna rifarsi al contesto. Nell'Italia in pieno sviluppo industriale gli atenei erano refrattari ad ampliare il campo del sapere
Tanto che i percorsi di studio tecnici e applicativi sorgevano in istituti superiori affiancati alle università tradizionali. Il numero di studenti cresceva (numeri che oggi ci sembrano ridicoli, ma passare in 50 anni da 6000 a 30.000 è un mutamento strutturale)
Ed era necessario adeguare docenti e strutture. Le idee di democratizzazione degli alti studi e di radicamento diffuso dell'istruzione superiore non erano ancora entrate in circolo, e nelle alte sfere non lo saranno per altri 60-70 anni
Baccelli si trova di fronte una comunità professorale ormai compatta e coesa in una comune identità, parte integrante della classe dirigente che esprime un gran numero di parlamentari, e vuole che sia essa a guidare lo sviluppo delle istituzioni accademiche in senso moderno
E' con lui che si conferma la piena elettività di rettori, presidi, rappresentanti al Consiglio superiore, commissioni di concorso; è con lui che la comunità accademica prende in mano gli strumenti per diventare politicamente parte attiva
E il risultato è che anche le sue proposte di riforma falliscono. Il Parlamento e i funzionari ministeriali non vogliono rinunciare ai loro strumenti di controllo e di coercizione sugli atenei, e una gran parte del corpo accademico accetta
Soprattutto in provincia, il rischio di chiudere i battenti per le università "deboli" è troppo grosso, e primum vivere, come si dice. Poi, certo, ci sono gruppi innovatori che nell'immobilismo della legge smuovono la cultura
La scuola fiorentina che introduce la formazione seminariale alla ricerca, i matematici, fisici e ingegneri che contribuiranno allo sforzo bellico del 1915, elaborando un nuovo rapporto top-down della ricerca scientifica che si consoliderà nel CNR
Eppure, sembra che senza i pieni poteri di Casati una riforma vera, che metta insieme il buono di queste sperimentazioni e le generalizzi, non si possa fare. Ci sono troppi interessi contrapposti in ballo, locali e di scuola
Ma dopo la grande guerra un governo i pieni poteri li otterrà...

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Ma dicevamo emergenza. La legge è promulgata il 13 novembre 1859: tecnicamente il regno di Sardegna è in guerra, e la legge non passa nemmeno per il Parlamento perché il governo ha i pieni poteri. Ufficialmente nasce per unificare i sistemi educativi di Piemonte e Lombardia
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