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May 17, 2022 20 tweets 15 min read Read on X
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Può Recep Tayyip #Erdogan bloccare l'adesione di #Finlandia e #Svezia alla #NATO?
Domanda molto più che teorica, viste le ultime dichiarazioni del Sultano, nelle ultime ore pronto ad assicurare che la #Turchia "non cederà" sulla questione del loro ingresso nell'Alleanza.
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Premessa. #Erdogan accusa i 2 Paesi di "supporto ai terroristi del Pkk". Nel mirino la concessione di asilo politico ai cittadini 🇹🇷 di etnia curda, oltre che l'ospitalità offerta ai seguaci del predicatore Fethullah #Gulen, per Ankara mandante del fallito golpe del 2016.
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#Erdogan ha definito la #Svezia come un "vivaio" per le organizzazioni terroristiche, aggiungendo che "nessuno di questi Paesi ha un atteggiamento chiaro e aperto. Come possiamo fidarci di loro?".
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Secondo fonti del ministero della Giustizia turco citate dall'agenzia di stampa Anadolu, #Svezia e #Finlandia negli ultimi cinque anni hanno risposto negativamente a 33 richieste di estradizione da parte della #Turchia.
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A ciò si aggiunga il fatto che governo si è impegnato a bloccare le candidature dei Paesi che hanno imposto sanzioni contro la #Turchia. E nel 2019 sia #Svezia che #Finlandia hanno smesso di vendere armi ad Ankara in risposta alla sua attività in #Siria.
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Il segretario di Stato USA #Blinken ha espresso fiducia rispetto al fatto che #Svezia e #Finlandia aderiranno alla #NATO nonostante le preoccupazioni espresse dalla #Turchia. Parole importanti, in vista dell'incontro di domani con il ministro degli Esteri turco #Cavusoglu.
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E qui si torna alla domanda iniziale: può il solo #Erdogan bloccare l'intera #NATO? La risposta è sì, almeno sulla carta.
Basta leggere l'art.10: "Le parti posso, CON ACCORDO UNANIME..."
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Il processo di adesione può essere riassunto in 7 fasi:
1) invito dei Paesi NATO, "colloqui di adesione" a Bruxelles in due sessioni. Nella prima si discutono questioni politiche e militari; nella seconda questioni legali, contributo al bilancio comune ecc..
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2) accettazione obblighi e impegni sotto forma di una lettera di intenti indirizzata al Segretario Generale NATO e presentazione dei calendari per il completamento delle riforme necessarie, che potrebbero continuare anche dopo che questi paesi saranno diventati membri NATO.
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3) la #NATO prepara i Protocolli di adesione al Trattato di Washington per ciascun invitato.
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4) I governi degli Stati membri #NATO ratificano i protocolli, secondo i loro requisiti e procedure nazionali, che variano da paese a paese. Gli USA ad esempio richiedono una maggioranza di due terzi al Senato, nel Regno Unito non è richiesto il voto parlamentare formale.
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5) Una volta che tutti i paesi #NATO hanno notificato al governo 🇺🇸, depositario del Trattato di Washington, l'accettazione dei protocolli del Trattato del Nord Atlantico sull'adesione dei potenziali nuovi membri, il Segr. Generale invita i paesi ad aderire al Trattato.
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6) Gli invitati aderiscono al Trattato del Nord Atlantico secondo le loro procedure nazionali.
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7) Dopo aver depositato i propri strumenti di adesione presso il Dipartimento di Stato americano, gli invitati diventano formalmente membri della #NATO.
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Il fatto che il processo di adesione alla #NATO richieda l'ok unanime di tutti i Paesi membri implica ovviamente che non sia facile entrare a far parte dell'Alleanza.
La #Turchia si è esposta pubblicamente, ma non è difficile immaginare che anche altri Paesi - in maniera
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meno visibile - abbiano ad oggi delle riserve sull'ingresso di #Finlandia e #Svezia. È altrettanto vero, però, che forse non vi è mai stato momento migliore di questo, per cercare di entrare nella #NATO.
La contrapposizione tra Occidente e Russia, la condanna (quasi)
17/20
unanime nei confronti dell'invasione dell'#Ucraina, difficilmente spingeranno un attore del campo occidentale a rischiare di alienarsi il favore della maggioranza a guida USA, in un momento in cui le scelte di campo sono fondamentali.
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Ecco perché è lecito attendersi, da parte di #Erdogan, una mossa di natura tattica: il Sultano sta probabilmente alzando la posta del proprio sì a #Finlandia e #Svezia per ottenere delle compensazioni su altri fronti.
Sebbene i due Scandinavi si siano detti
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"non interessati a trattare con #Erdogan", altri dovranno farlo al loro posto.
Su tutti gli USA, la cui leadership sarà cruciale per assicurare che la #NATO non si renda protagonista di un clamoroso autogol.
dangelodario.it/2022/05/17/erd…
Qui l'articolo completo.
20/20
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Aug 1
🚨🪖🇺🇸🇷🇺 Viste le circostanze, il Blog si rende protagonista di uno "strike preventivo".

Le ultime dichiarazioni di Donald Trump presteranno il fianco, soprattutto in Italia, a una narrazione di tipo allarmista e catastrofista.

Breve spoiler: non siamo sull'orlo di una guerra nucleare tra Russia e Stati Uniti. Ma non significa che le parole del Presidente americane siano prive di significato. Anzi. Vediamo perché.Image
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🇺🇸🇷🇺 Intanto un breve riepilogo delle puntate precedenti.

Dmitry Medvedev, ex presidente russo, nei giorni scorsi prende di mira Trump per la decisione di annunciare sanzioni nei confronti della Russia in assenza di un cessate il fuoco in Ucraina.

A questo proposito il russo, noto per i suoi toni "incendiari" sui social, scrive: "Trump sta giocando all'ultimatum con la Russia: 50 giorni o 10...Dovrebbe ricordare due cose:

1. La Russia non è Israele e nemmeno l'Iran.

2. Ogni nuovo ultimatum è una minaccia e un passo verso la guerra. Non tra Russia e Ucraina, ma con il suo stesso Paese. Non seguire la strada di Sleepy Joe!".Image
3/n
🇺🇸🇷🇺 The Donald viene informato della reazione di Medvedev e lancia un primo avvertimento: "Non mi interessa cosa faccia l’India con la Russia. Possono affondare insieme con le loro economie morte, per quel che mi riguarda. Abbiamo fatto pochissimi affari con l’India, i loro dazi sono troppo alti, tra i più alti al mondo. Allo stesso modo, la Russia e gli Stati Uniti non fanno quasi alcun affare tra loro. Manteniamolo così e dite a Medvedev, l’ex presidente fallito della Russia, che crede di essere ancora presidente, di fare attenzione alle sue parole. Sta entrando in un territorio molto pericoloso!".Image
Read 9 tweets
Jul 30
🚨🇺🇸 L'indagine del Washington Post è certamente un esperimento riuscito, probabilmente il modo migliore per capire perché - dal punto di vista mediatico e politico - Donald Trump stia soffrendo così tanto nella gestione del caso Jeffrey Epstein.

Di più: perché in vista delle elezioni midterm - oggi apparentemente lontane, ma per la politica americana abbastanza dietro l'angolo - la questione rappresenti il principale motivo di preoccupazione per il Partito Repubblicano.

Per venire a capo della questione, il Washington Post ha inviato nelle scorse ore un messaggio a 1.089 persone. Gli obiettivi erano molteplici: capire quanta attenzione il pubblico americano stesse riservando al dossier Epstein, che idea si fosse fatto dell'atteggiamento fin qui tenuto dall'amministrazione Trump, cosa pensasse veramente dell'intera vicenda.

Com'è andata? Qualunque stratega politico risponderebbe che in questi numeri si nascondono dei segnali che il Presidente non può permettersi di sottovalutare.👇Image
2/n
🇺🇸 Prima questione: quanta attenzione stanno dedicando gli americani alle notizie sul caso Epstein? Circa un adulto su 4, il 26%, dice di stare prestando "molta" attenzione al dossier, mentre un altro 38% dice di seguire con "una certa attenzione" gli sviluppi che ruotano attorno alla vicenda. Sommate, queste percentuali, dicono che più della metà degli americani sta mostrando interesse nei confronti del caso, sebbene il dato di quani esprimono maggiore coinvolgimento sia leggermente inferiore al 34% di coloro che nel mese di giugno si dicevano "molto" interessati a capire la piega che avrebbero preso le proteste di Los Angeles.

È indicativo che a dirsi più presi dal flusso di notizie siano i democratici, probabilmente speranzosi di trovare un caso capace di mettere in crisi la presidenza. Ma il fatto che più di un repubblicano su due (con differenza pressoché impercettibile a favore di quelli MAGA) stia seguendo con cura l'argomento suggerisce una verità difficile da smentire: la Casa Bianca non può sperare semplicemente che la gente si dimentichi e lasci andare.

Bisognerà trovare una conclusione che soddisfi la curiosità dell'opinione pubblica.Image
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3/n
🇺🇸 Seconda questione: gli americani approvano o disapprovano la gestione da parte dell'amministrazione Trump?

Qui per il Presidente i numeri si fanno a dir poco preoccupanti.

Il 58% degli intervistati esprime parere negativo sulla condotta della Casa Bianca. Neanche 2 statunitensi su 10 (il 16%) approvano le mosse del Presidente e della sua squadra. Alla richiesta di spiegare la loro posizione, alcuni degli intervistati citano alcuni degli argomenti più popolari in questi giorni: "Trump non è stato trasparente, sembra molto probabile che abbia qualcosa da nascondere". E ancora: "Sta evitando di fare ciò che aveva promesso: rilasciare gli Epstein Files".

A differenza di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, in particolare osservando la pressione dei deputati noti per essere rappresentanti di spicco del mondo MAGA, lo zoccolo duro trumpiano fornisce ancora oggi una prova di fiducia nei confronti del proprio leader rispetto agli altri segmenti.

In particolare, il 43% dice di approvare la sua gestione del caso, mentre "solo" il 17% disapprova e il 39% si rifiugia in un diplomatico "non sa".

Ma in una competizione elettorale in cui anche qualche decimale può fare la differenza, in un senso o nell'altro, il malcontento del MAGA è un elemento che non può non turbare gli strateghi repubblicani. A maggior ragione se unito ad altri dati: un elettore GOP su quattro (24%) esprime contrarietà rispetto alla linea presidenziale.

Cifre che diventano inquietanti fra gli indipendenti, per il 63% negativi nei confronti della gestione del caso da parte dell'amministrazione.

Perché è importante? Perché quasi sempre sono proprio gli elettori non schierati a decidere chi vince le elezioni negli Stati Uniti.Image
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Read 4 tweets
Jul 19
🚨🪖🇮🇹
1/8 L'indagine del CENSIS va presa per quel che è: un sondaggio, ovvero la fotografia di un momento. Ribadisco l'ovvio per consolare il lettore (e pure un po' me stesso): qualora l'Italia si ritrovasse in guerra, i suoi abitanti sarebbero più o meno consapevolmente protagonisti di quel fenomeno noto come "rally around the flag", letteralmente "raduno attorno alla bandiera". Dinanzi all'emergenza, al pericolo vero, c'è da credere (e da sperare) che una percentuale molto più elevata dell'attuale 16% risponderebbe positivamente al richiamo della patria, dicendosi disposto a combattere per la propria terra (nonché libertà). Eppure è inutile nascondersi, fa un certo effetto scoprire che fra gli individui anagraficamente più adatti alla difesa del Paese (18-45 anni) la percentuale più alta (39%) protesterebbe contro la guerra in nome di un anacronistico pacifismo. Sarebbe stato curioso aggiungere un quesito al sondaggio: "Scenderebbe in strada con la bandiera arcobaleno anche nel bel mezzo di un bombardamento?".

Ma se credete che questo sia il peggio, siete fuori strada.Image
🚨🪖🇮🇹
2/8 Il 26% degli intervistati, infatti, sostiene che dinanzi a un conflitto armato rifiuterebbe il reclutamento. La soluzione per difendere l'Italia, spiega questa porzione di italiani, è infatti arruolare soldati di professione. Idea non così campata in aria (per quanto impercorribile, per una questione prettamente numerica) se non fosse per il seguito: questi cittadini del Belpaese vorrebbero infatti affidare la difesa dell'Italia a mercenari stranieri, chissà perché convinti che basterebbe pagare, trovare qualcuno un po' più fesso, per salvare il Paese. Quasi più coerente il 19% di italiani - allarmante il 22% nella fascia maschile di età compresa fra i 18 e i 34 anni - che annuncia senza mezzi termini: una guerra in Italia? Spiacenti, noi diserteremmo, lasceremmo il Paese.Image
🚨🪖🇮🇹
3/8 Che il governo italiano - e quelli che verranno - abbia un problema enorme in quanto a consapevolezza dell'opinione pubblica rispetto allo scenario internazionale emerge ancora più chiaramente dalla Tabella numero 2, quella in cui agli intervistati viene chiesto da dove provengano le principali minacce potenziali per l'Italia sul piano miliare. Se un 50% indica con successo la Russia e un 31% i Paesi islamici, fa riflettere che addirittura il 23% ritenga che gli Stati Uniti possano attaccare la Penisola. Previsione a dir poco fuori dalla realtà, nonostante gli umori ondivaghi dell'attuale inquilino della Casa Bianca.

Altrettanto lunare il 16% che vede in Israele una minaccia militare per il Belpaese: lo Stato Ebraico viene ritenuto più pericoloso della Cina, vissuta come una minaccia soltanto dal 12%, e della Corea del Nord, ferma al 10% nonostante il recente invio di truppe nel cuore d'Europa a sostegno della Russia.

Voglio ribadirlo: sono più gli italiani che credono che gli Stati Uniti possa attaccare l'Italia di quelli che pensano possa farlo la Cina. È un problema per noi, perché conferma che molti italiani vivono in una realtà alternativa, ma lo è in prospettiva anche per gli americani: la presidenza Trump sta disperdendo un capitale di sentimento importante, fondamentale qualora in futuro l'America dovesse avere bisogno dei propri Alleati in giro per il mondo, in particolare nell'Indo-Pacifico. Si legga alla voce "Taiwan".

x.com/dariodangelo91…
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Jul 11
1/8🚨🪖🇫🇷🇷🇺🇺🇦 Per trovare un precedente - una conferenza stampa di un Capo di Stato maggiore francese - bisogna tornare indietro fino al 2021. Al mondo di ieri, per intenderci. Quello in cui la guerra non era ancora scoppiata nel cuore del continente europeo.

Eppure le parole del generale Thierry Burkhard sono importanti non solo per la loro rarità. Lo sono perché affrontano verità che quasi nessuno vuole sentire. Perché non edulcorano, non proteggono l’opinione pubblica da ciò che fa paura: la fine delle illusioni di sicurezza, l'affermazione della forza come strumento di potere, il ritorno della guerra.

Come i lettori sapranno, la stragrande maggioranza dei contenuti del Blog è riservata agli iscritti. In questo caso ho deciso di fare un'eccezione: lascio questo articolo a disposizione di tutti. Non coltivo l'arrogante pretesa di modificare con un post la consapevolezza degli italiani su certi temi, non sono nessuno per farlo e non ne ho i mezzi. Ma se anche poche persone apriranno gli occhi - senza paura, senza allarmismi, ma con lucidità - allora queste molte ore di lavoro saranno servite a qualcosa. Buona lettura.Image
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🚨🪖🇫🇷🇷🇺 La premessa del generale Burkhard è la seguente: "In precedenza avevamo l'abitudine di dire che una crisi ne scacciava un'altra. Oggi non è più così. Al contrario, le crisi si sovrappongono, si sommano, se non addirittura si moltiplicano".

Il capo delle forze armate francesi è per questo pessimista (o realista): "Per quanto mi riguarda, faccio fatica a vedere quali potrebbero essere le vie d’uscita o di stabilizzazione nel breve termine". Anzi, "penso di essere di fronte a delle tappe che vengono superate e dalle quali non si torna indietro", quindi "non ha senso dirsi 'adesso mi metto in posizione di attesa, resisto un po’ e poi tutto tornerà come prima e potrò riprendere i miei affari come un tempo'".

Il mondo è cambiato davvero.Image
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🚨🪖🇫🇷🇷🇺 Esistono a detta del generale Burkhard diversi livelli di minaccia, muovendo dall'interno verso l'esterno del Paese. A partire dalle minacce ibride, insidiose "perché seminano il dubbio, scelgono un terreno favorevole, e sono spesso difficili da attribuire formalmente. Anche se di solito si intuisce chi c’è dietro e a chi 'giova il crimine', l'attribuzione formale non è semplice".

Il loro obiettivo principale è minare la coesione nazionale, "il centro di gravità di tutti i Paesi, anche della Francia, perché è un elemento chiave della resilienza. La coesione nazionale è la nostra forza, ma può anche diventare una debolezza. Quando è forte, dissuade gli attacchi. Ma quando è debole, aumenta il rischio e inibisce la nostra capacità di reazione e la volontà di difenderci".

Quando allarga lo sguardo al resto del mondo, il numero uno dell'esercito parigino cita diversi attori, dalla Cina all'Iran, ma è alla Russia che assegna la definizione di "minaccia duratura e più determinante".

Mosca, afferma Burkhard, "ha apertamente designato la Francia come suo primo avversario in Europa.
Non sono io a dirlo: è Vladimir Putin che lo ha dichiarato".

La Federazione Russa viene descritta dal Capo di Stato maggiore come "un universo relativamente chiuso, con una capacità decisionale estremamente centralizzata e un condizionamento della popolazione fin dalla giovane età, un elemento da tenere bene a mente".Image
Read 8 tweets
May 19
1/6🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Ho cinque notizie interessanti. Sono abbastanza per un punto nave serale.

È impossibile non partire dalla telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin. Nonostante quanto dichiarato dai due protagonisti della conversazione (durata più di due ore), la svolta tanto attesa - ancora una volta - non c'è. Il Cremlino prende tempo, esplora formati e formule, nel solco della "migliore" tradizione diplomatica russa, ma in definitiva non si avvicina al cessate il fuoco incondizionato accettato da Volodymyr Zelensky. Prima e dopo la telefonata, però, si segnalano alcuni fatti importanti. Vediamoli insieme.Image
2/6
🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Un tempo sarebbe stato il minimo sindacale, ma non è da sottovalutare il fatto che, prima di iniziare la chiamata con Putin, The Donald abbia parlato con Volodymyr Zelensky.

Secondo il Wall Street Journal, il presidente USA avrebbe chiesto al leader ucraino di cosa avrebbe dovuto discutere con Putin.

Zelensky ha risposto che Trump avrebbe dovuto spingere Putin ad accettare un cessate il fuoco di 30 giorni; insistere per un futuro incontro Putin-Zelensky a cui Trump stesso avrebbe dovuto prendere parte e ribadire che gli Stati Uniti non prenderanno alcuna decisione sull'Ucraina senza il contributo di Kyiv.

C'è un passaggio, nel resoconto di Trump - in particolare quello per cui "le condizioni saranno negoziate tra le due parti, come è giusto che sia, poiché solo loro conoscono i dettagli di una trattativa di cui nessun altro è a conoscenza" - che sembra segnare un punto in favore dell'Ucraina. Rispetto alle prime settimane dall'insediamento, Trump non sembra più voler "imporre" un accordo a Kyiv.

Merito soprattutto di Zelensky, che accettando l'idea di una tregua incondizionata ha visto il bluff di Putin, ma anche dei leader occidentali, importanti per consigliare a Zelensky le regole d'ingaggio adeguate per non perdere il favore del presidente USA.Image
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🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦Altro aspetto interessante. Le parole di JD Vance prima della telefonata fra Trump e Putin: "I colloqui procedono da un po' di tempo. Ci rendiamo conto che siamo a un punto morto. Penso che il Presidente dirà al Presidente Putin: "Senti, sei serio? Sei serio su questo?"'.

È possibile che quando Putin ha parlato di conversazione "franca" si riferisse a qualcosa del genere.

E fa comunque uno strano effetto, visti i precedenti, sentire il vicepresidente USA dichiarare quanto segue: "Credo che onestamente il Presidente Putin non sappia bene come uscire dalla guerra".

Di nuovo: è poco, una variazione millimetrica, ma è la prova che l'Ucraina sta giocando bene le sue carte.Image
Read 6 tweets
May 18
1/8
🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Il mondo poteva cambiare. Così hanno deciso di cambiare il mondo.

È questo il senso della scoperta realizzata dall'esercito israeliano in uno dei tunnel sotterranei della Striscia di Gaza, della conferma ai peggiori sospetti coltivati in questi mesi, da quando le fiamme della guerra sono tornate a divampare in Medio Oriente.

Nei giorni immediatamente precedenti al 7 ottobre, i vertici di Hamas mettevano nero su bianco le loro intenzioni: compiere, per citare le parole pronunciate da Yahya Sinwar in persona, un "atto straordinario", capace di far deragliare il processo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, il negoziato che a suo dire avrebbe relegato per sempre la causa palestinese ai margini della storia.

I documenti ritrovati dall'esercito israeliano sono di straordinaria importanza. Analizziamoli insieme.Image
2/8
🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Il verbale di una riunione tenuta dall'ufficio politico di Hamas a Gaza il 2 ottobre 2023 - revisionato dal Wall Street Journal - cita espressamente le parole di Yahya Sinwar:

"Non c'è dubbio che l'accordo di normalizzazione saudita-sionista stia progredendo in modo significativo".

Tale intesa, avverte, "aprirebbe la porta alla maggioranza dei Paesi arabi e islamici affinché seguano la stessa strada".

Si tratta dell'esito sempre temuto dai nemici dello Stato Ebraico, da coloro che da generazioni ne hanno profetizzato la distruzione, cercandone l'annientamento con tutte le proprie forze.

È per questo che, rivolgendosi ai suoi uomini, Sinwar traccia la strada: è arrivato il momento di porre in atto il "grande progetto", l'attacco a cui da più di due anni lavora nell'ombra.Image
3/8
🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Yahya Sinwar non usa mezzi termini, con il suo piano punta in alto: l'obiettivo è quello di "provocare una mossa importante o un cambiamento strategico nei percorsi della regione".

Per farlo, in segreto, si è dato da fare per mobilitare l'intero "Asse della Resistenza" a guida iraniana.

Documenti ritrovati nelle profondità di Gaza infatti svelano: "il macellaio di Khan Younis", attraverso alcuni emissari, ha già bussato alla porta di Teheran.

Ha chiesto un'assistenza finanziaria nell'ordine di 500 milioni di dollari e un salto di qualità nell'equipaggiamento dei circa 12mila terroristi che rispondono ai suoi ordini.Image
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