Siamo prossimi alla partenza del TT, il Tourist Trophy. Nessun straniero ha mai vinto, solo vittorie di motociclisti del Regno Unito.
Anche se la Guzzi, la mia moto, questa corsa l’ha già vinta due anni fa, nel 1935.
In due categorie. Ma non con un pilota italiano.
A vincere nella 250 e nella classe 500 su Guzzi era stato il pilota irlandese Stanley Woods. Correvo anch’io sulla stessa moto quell’anno, il 1935, ed ero anche favorito dopo aver stabilito nelle prove un incredibile 30’10” sul giro. Un vero record.
Ero per gli inglesi “The Black Devil” per il colore della mia tuta e per gli americani il “corridore atomico”.
Ci tenevo a vincere. Invece con la mia Guzzi 250 era finito in un banco di nebbia, un corvo in mezzo alla strada e relativa caduta.
Con due vertebre rotte.
Mi ero iscritto alla gara delle 500 due giorni dopo, ma poi il mio team mi aveva convinto a lasciar perdere. Come dite? Ero matto a voler correre in quelle condizioni? Sorrido. Io ho fatto di peggio. In attesa della partenza vi racconto come ho rischiato di non essere qui oggi.
E’ successo solo tre mesi fa. Mentre mi arrampicavo sui tornanti del Lario, su su fino al valico della Madonna del Ghisallo. Scontrarsi a quella velocità con un carretto trainato da un asino non fu cosa da poco. Gamba fratturata e due dita del piede tranciate di netto.
Voi cosa avreste fatto? Io raccolsi le dita in un fazzoletto convinto che tanto in un modo o nell’altro all’ospedale di Como me le avrebbero riattaccate.
Perché alla gara di oggi io non potevo mancare. Questo interminabile e folle anello stradale sull’Isola di Man è il mio sogno
Ci sono tutti i migliori.
Io corro con una Guzzi 250 cc., poi ci sono gli inglesi e il formidabile squadrone tedesco della DKV.
E così sono qui, a 32 anni e con due dita mozzate. Per vincere.
Questo giorno, 16 giugno 1937, rimarrà nella storia, ne sono certo.
Partenza.
Via.
Il primo giro è andato così così.
Primo davanti alle tribune è passato Kluge, a 8” Woods, a 10” Smith. Poi io e Thomas.
Alla fine del secondo giro è Woods a passare per primo superando Kluge.
Io quinto, dopo un caduta.
La mia rimonta è tutta nelle parole del telecronista inglese. «Le notizie che mi pervengono da ogni zona del circuito concordano su un punto solo: Omobono Tenni sta curvando con pazzo abbandono creando dubbi sul fatto che egli possa finire la gara in un pezzo solo”.
Beh, pazzo ero pazzo, ma amavo la velocità.
A qualunque costo. Anche quello di non tener conto delle leggi dell’equilibro. Superai Kluge stabilendo il record sul giro con 29’ 08”. Poi mi avvicinai a Woods, che era in testa.
Arrivato a 16” mi fermai un attimo.
Per cambiare una candela surriscaldata.
Per poi ripartire sempre più veloce tra le urla della folla. Raggiunsi e superai Woods al sesto giro. Concludendo la corsa da vincitore.
Primo italiano su moto italiana.
Vi avevo detto che avrei vinto.
Ho percorso i 427 chilometri in 3 ore 32’ e 6/10, nuovo primato della circuito.
Dando trenta secondi a Wood e di oltre quattro minuti a Thomas. Ricordate le due dita mozzate? All’ospedale di Como mi ero dimenticato il fazzoletto con le due dita.
Nella tasca, intendo.
Ora vado in un ufficio postale, come dopo ogni vittoria. Un telegramma a casa con scritto “«Primo et giro più veloce». “ Ripensando alla mia infanzia.
Sono nato a Tirano il 24 luglio 1905.
Poi ci eravamo trasferiti a Treviso.
Nel 1922 avevo iniziato a consegnare copie de “il Gazzettino” in tutte le edicole della zona in sella ad una motocarrozzetta. Dopo una breve parentesi in una officina meccanica, mi ero messo in proprio a riparare motociclette.
Ero un ragazzino timido e riservato, ma quando salivo su una motocicletta mi trasformavo. Tutto merito della velocità.
E del Presidente del Moto Club di Treviso, che nel 1924 cominciò a farmi correre su una “bicicletta a motore” da 125cc.
Vittoria dopo vittoria, giro veloce dopo giro veloce, ero arrivato alla Bianchi e poi alla Guzzi. Ero un folle della velocità, tanto da costringere Carlo Guzzi ad espormi spesso il cartello “rallentare” durante le corse.
Che ignoravo, naturalmente.
Omobono Tenni non amava fare calcoli in gara. “Gli spettatori non vogliono vedere calcoli, ma vedermi andare veloce”.
“Mi ritirerò solo quando ci sarà qualcuno più veloce di me” ripeteva spesso.
Non andò così.
Era il 1° luglio del 1948. quando...
Dopo aver provato la nuova Guzzi 250 bicilindrica con la quale avrebbe disputato due giorni dopo il GP di Berna, decise di fare un giro del circuito con la sua Albatros 250.
In una curva la pedana si impuntò contro l’asfalto scagliandolo contro un albero.
La morte fu immediata.
Lo stesso giorno, sullo stesso circuito, nel rettilineo sul lato ovest, perse la vita anche il pilota Achille Varzi ribaltandosi con la sua Alfa Romeo a causa della pioggia.
Esattamente quattro ore dopo la morte di Tenni.
Il corpo di Tenni venne portato fino a Treviso su un camion della Moto Guzzi bardato a lutto.
Omobono Tenni è considerato come uno dei più leggendari motociclisti di tutti i tempi.
Un vero diavolo nero. Il primo pilota non inglese capace di vincere all’Isola di Man.
Tenni non fu solo un grande pilota. Durante la guerra e con le gare sospese, Tenni conobbe molti partigiani.
Un giorno venne avvicinato da una persona conosciuta nelle corse.
Voleva sapere i nomi dei partigiani per denunciarli ai tedeschi.
Tenni non fece un solo nome.
Questo gli costò molti guai. Non solo a lui, ma anche alla sua famiglia. Il 15 marzo 1945 suo nipote venne fucilato in Valbondione (Bergamo). Alla fine della guerra si rifiutò di fare il nome della persona che lo aveva avvicinato. "Lo avevo già perdonato", disse.
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Il 4 agosto 1578 per il Portogallo fu un giorno infausto.
Per il più grave lutto della sua storia.
Il giorno in cui lui era morto, intendo.
O meglio. Scomparso. Lui, Don Sebastiano I, 24 anni, fior fiore della nobiltà lusitana.
Sedicesimo re del Portogallo e dell'Algarve.
Sicuramente morto nella battaglia di Alcazarquivir, in Marocco, contro l’esercito islamico del sultano Abd al-Malik.
Come poteva pensare di battere i 50.000 cavalieri del sultano con i suoi 20.000 uomini. Era stata una carneficina.
Il suo corpo? Mai ritrovato.
Dopo la sua morte era salito al trono il suo prozio, il cardinale Enrico.
Ma Sebastiano era troppo amato dal suo popolo.
Era nato così un movimento chiamato “sebastianismo “, che sperava nel ritorno del re scomparso.
Per riportare il Paese al suo antico splendore.
Era stato il mio comandante, il capitano di corvetta Costantino Borsini, a dirmi di scendere nella zattera. Tanto ormai la nave era perduta.
Io avevo obbedito, avendo avuto assicurazioni dallo stesso comandante che mi avrebbe seguito.
Appena i marinai si fossero messi in salvo.
Era bella la mia nave. La Francesco Nullo, cacciatorpediniere della Regia Marina italiana. Bella e veloce. La più veloce della classe Sauro. Riusciva a raggiungere la velocità di 37,4 nodi. In attesa del comandante vi racconto come sono finito in questo angolo del Mar Rosso.
Mi chiamo Vincenzo Ciaravolo e sono nato a Torre del Greco il 21 novembre 1919.
Visto che oggi è il 21 ottobre 1940, fate voi i conti.
Non sono un semplice marinaio, ma attendente del capitano Borsini.
Sono stanco di arrivare secondo, ma cosa posso fare per cambiare le cose?
Ho tutto per vincere, esperienza e competenza. Non come quei tre.
Per la Targa Florio di quest'anno, il 1923, ci hanno affidato quattro Alfa Romeo “RL”.
Una a me, una ad Antonio Ascari (che tenero il suo piccolo Alberto), una all’amico Enzo Ferrari e una a Giulio Masetti.
La Targa Florio è una delle gare più prestigiose al mondo e l’Alfa Romeo ha bisogno un risultato importante.
Che posso fare per vincere?
Trovato.
Come dite? Ho studiato il tracciato in ogni minimo dettaglio? Analizzato i miei avversari e i loro punti deboli? Niente di tutto ciò.
Ho fatto qualcosa che, ne sono certo, mi porterà alla vittoria.
Strano che nessuno ci abbia mai pensato prima.
Definirmi una copia è mancarmi di rispetto.
Io sono unica. E oltretutto più umana, più bella, più hermosa insomma. Giudicherete voi. Comunque è stato appurato che siamo nate più o meno nello stesso periodo.
Sì, quasi gemelle.
Quasi gemelle, ma non proprio uguali uguali. Lei è un centimetro in più in altezza e quattro centimetri in meno in larghezza.
Forse per il fatto che abbiamo due padri diversi. Il mio molto più giovane.
Probabilmente un allievo dell’altro, il suo maestro.
Siamo nate entrambe tra il 1503 e il 1504 a Firenze. Lei più sfumata.
Io più semplice, più compatta.
Come detto, da padri diversi. Forse sotto la supervisione del maestro.
Fatto sta che i miei colori sono più nitidi.
Grazie a Gabriella Greison per la prefazione. @GREISON_ANATOMY
Fisica, scrittrice, autrice e performer teatrale. Definita “la donna della fisica divulgativa italiana” e anche “la rockstar della fisica”.
«Prego signori date mie notizie alla mia cara mamma mentre io muoio per la Patria…».
Oggi, 29 marzo 1941, ho scritto un ultimo messaggio alla mia famiglia. Ho affidato poi il messaggio al mare dentro una bottiglia.
Povera mamma.
Mi chiamo Francesco. E sto per morire.
Ho solo il tempo di raccontarvi come siamo finiti in questo lembo del Mediterraneo Orientale. Imbarcato sul Fiume, incrociatore pesante della Regia Marina italiana classe Zara.
Lui, quello che ha fatto anche cose buone, era piuttosto contrariato per le continue delusioni e i ripetuti rovesci della nostra marina.
Prima la mazzata nella notte di Taranto dell’11 novembre del 1940. La Cavour quasi colata a picco e la Littorio e la C. Duilio danneggiate.