Oggi è il 31 maggio 1975.
Sono in albergo e mi sto preparando per una tappa del Giro molto importante per la mia squadra, la Jollj Ceramica.
Oggi c'è la Cronoscalata del Ciocco con Battaglin, il mio capitano, in maglia rosa.
Io sono solo un suo gregario.
Quello di fare il gregario non era il sogno della mia vita.
Non lo é mai stato, fin dall’inizio, a dodici anni, quando per caso salii su una bicicletta da corsa. Troppo grande per un bambino dalle gambe come grissini.
E così un vigile mi aveva fermato ad un incrocio.
Imbranato, non ero riuscito a sganciare i pedali. Finire lungo disteso fu un attimo. Sono nato a San Vigilio di Concesio (BS) il 13 gennaio del 1949, ultimo di otto figli.
Perché Fausto? Il fratello di mio padre si chiamava Faustino. Inoltre papà era tifoso di Coppi.
A 16 anni ero diventato Campione Italiano Allievi. Tra tra i dilettanti non mi ero comportato male. Avevo vinto la Settimana Ciclistica Bergamasca e passare tra i professionisti fu nella logica delle cose.
Senza mai vincere qualcosa di importante.
Per questo faccio il gregario
Ci tenevo, e ci tengo ancora, a vincere una tappa in questo Giro.
Per me, per mia moglie Giusi e il piccolo Andrea.
Giusi l’ho conosciuta a quattordici anni.
Dieci anni di fidanzamento, i primi soldi nei professionisti, e il matrimonio.
Poi l’arrivo del piccolo Andrea. Image
Mi chiamano alla partenza della cronoscalata. Spero di fare bene. Almeno oggi non devo portare la borraccia al mio capitano.
Ricordo il servizio militare. Pensavo di potermi allenare nel Battaglione Atleti. Non mi presero. Un metro e settanta di altezza per 65 Kg. Ma quale atleta
Tra poco tocca a me. Il mio capitano Battaglin partirà ultimo. Spero mi abbia perdonato per quella incomprensione. Nella tappa di Campobasso, intendo.
Giuro che non l’ho visto forare.
Dovevo passargli la mia bicicletta, ma giuro che non l’ho proprio visto.
Aveva perso la maglia rosa che era finita sulle spalle dello spagnolo Galdos salvo poi riconquistarla due giorni fa, nella cronometro di Forte dei Marmi.
Non l’aveva presa bene, ma è acqua passata. Sono pronto a partire.
Speriamo bene. A dopo.
Non so cosa dire. Sono un po’ frastornato.
La cronoscalata si è conclusa con l’arrivo del mio capitano Battaglin.
Incredibilmente lui è arrivato nono. A 1’ 48” dal vincitore. Il sottoscritto. In classifica generale è a soli 6” da me. Galdos a 2’. Gimondi a 3’ come Baronchelli.
Ho rilasciato una dichiarazione alla stampa. “Ho la maglia rosa, ma Battaglin è il mio capitano. Quando vorrà riprendersela gli basterà attaccare e io non lo seguirò. Cercherò di fermare gli altri”.
E’ giusto così.
In fondo mi pagano per fare il gregario.
Sono alla partenza dell’ultima tappa, Alleghe - Passo dello Stelvio. Lo Stelvio, la “cima Coppi” con i suoi 2757 metri di altezza.
Una tappa da 186 chilometri con il Passo di San Pellegrino e il Costaluna nella parte iniziale.
I giornali hanno poca fiducia in me. ImageImage
Ieri è stata dura conservare la maglia rosa.
Nel tappone dolomitico con il Pordoi noi italiani abbiamo fatto un figura barbina.
Io ho salvato la maglia rosa grazie all’aiuto di Gimondi, con molto affanno.
A 1’ 26” dal vincitore De Vlaeminck, per la sua settima vittoria al Giro
Lo spagnolo Galdos è arrivato a soli 3” dal vincitore e in classifica è a soli 41” da me. Baronchelli è arrivato a 2’06”. Come dite? Dove è finito il mio capitano Battaglin?
E’ successo tutto nella tappa di Arenzano, il giorno dopo la cronoscalata che mi aveva dato la maglia rosa
Doveva essere una tappa tranquilla dopo le fatiche dei giorni precedenti.
Invece per il mio capitano quel primo giugno fu un incubo.
Un primo giugno strano con cielo grigio, vento e pioggia.
Una semplice tappa di trasferimento.
Invece nella salita verso il passo Foce dei Carpinelli, per niente difficile, l’andatura improvvisamente era salita.
Erano state le squadre di Baronchelli e di Gimondi a fare l’andatura.
Allo scollinamento Battaglin non era passato con i primi, ma era l’inizio tappa.
Aveva tutto il tempo per rientrare.
Invece le cose per lui andarono sempre peggio.
Le ammiraglie andarono entrambe in suo aiuto lasciandomi solo.
E se avessi forato?
Ma il distaccò aumentò. 1’46” a Rapallo, 4’ a Sori e finalmente l’arrivo in volata e la vittoria di Bitossi sul lungomare di Arenzano.
Ci vollero dieci minuti per vedere arrivare Battaglin, il mio capitano. Per lui Giro finito.
Per me una grande occasione.
L’occasione della mia vita.
La tappa di oggi, intendo. Posso vincere il Giro. Ho paura. Lo Stelvio fa paura a tutti. Penso a Giusi, al piccolo Andrea, alla mia vita da gregario. So che tutti gli italiani sono incollati alla radiolina. Ho pregato alla partenza. Lo faccio sempre.
Siamo partiti. Quarantuno secondi si possono perdere come niente su quei 48 tornanti che non concedono respiro. E Galdos è micidiale in salita. Abbiamo superato San Pellegrino e Costalunga.
Galdos rimanda tutto allo Stelvio. L’avevo previsto. Non lo mollo di un centimetro.
Siamo ai piedi del “mostro”. Gli uomini di Galdos tirano come ossessi. Devo resistere. Piano piano si sono staccati dopo l’uscita dal Trafoi.
Siamo rimasti solo io e Galdos, con pendenze del 16%.
Uno scontro frontale.
Fra pareti di neve e gente che urla “Fausto” “Fausto”. ImageImage
Quel giorno Fausto Bertoglio, bresciano, coronò il suo sogno. Sotto il cartello che inneggiava “Fausto come Coppi“ arriverà secondo lasciando la vittoria Galdos, vincendo così l’edizione numero 58 del Giro d’Italia.
Lui, un semplice gregario. ImageImage
Quel giorno ripensò ai tanti che gli avevano consigliato di lasciar perdere con il ciclismo e di usare quel diploma di disegnatore meccanico per garantirsi una vita tranquilla e dignitosa.
Di lasciar perdere il suo sogno insomma. Image
Ma lui era testardo. Perché i sogni messi in un cassetto ti possono tormentare per tutta la vita. Lui aveva voluto almeno provarci.
Per evitare rimpianti. ImageImage
Fausto Bertoglio non riuscì più a bissare quell’epica impresa. Al termine del 1979 si ritrovò senza squadra.
Moser lo chiamò al Giro per aiutarlo, poi nel 1980 il ritiro. Nessuno lo voleva più.
Oggi ha un negozio di biciclette gestito dal figlio Paolo. Image
Perché Fausto è andato in pensione.
Il ciclismo lo ha dimenticato.
Ha dimenticato chi seppe, da semplice gregario, diventare nel lontano 1975
“un moderno principe azzurro su un cavallo d’acciaio”. Image

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22 Nov
Lui era il primo della classe, giusto così.
Giusto che la gente abbia pianto mio figlio solo per un giorno. E poi dimenticato.
Ma anche mio figlio aveva rincorso quel sogno, esattamente come lui.
Ed era riuscito a realizzarlo.
Anche se solo a trentaquattro anni.
Mi chiamo Rudolf e lui era mio figlio.
Quello dimenticato, intendo.
Mio figlio era nato a Salisburgo il 4 luglio 1960.
Già da piccolo ci diceva che da grande voleva fare il pilota di Formula 1.
Gli passerà, ripetevo a mia moglie cercando di tranquillizzarla.
A Roland non gli passò. Per niente.
Cominciò a costruire macchinine di legno, quelle a spinta. Era un bravo ragazzo.
Con quella grande passione. Ma noi avevamo pochi soldi e lui per guadagnare qualcosa aveva cominciato a lavorare in una panetteria.
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18 Nov
“Ma sì, liberiamo il popolo romano da una preoccupazione incessante, visto che gli sembra troppo lungo aspettare la morte d’un vecchio”. Tra poco il veleno che ho nell’anello porrà fine alla mia vita. In fondo sono vissuto sessantaquattro anni. Non pochi.
Ma con un rimpianto.
Lo avevo detto al mio grande nemico durante quell’incontro a Rodi. L’incontro tra due veterani. Stavamo discutendo della nostra vita e delle nostre battaglie quando lui mi chiese quali fossero per me i tre migliori condottieri di tutti i tempi.
Risposi che al primo posto avrei Alessandro di Macedonia. Poi Pirro, il re dell’Epiro, e poi… me stesso. Lui aveva sgranato gli occhi esclamando: ”Tu al terzo posto? Ma allora? Se tu mi avessi vinto?”
“Beh in quel caso mi sarei messo al primo posto”.
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15 Nov
Da gennaio a luglio di quest’anno, siamo nel 1572, mi daranno come ricompensa una “pensione” di due ducati al mese.
Il minimo dopo quello che ho fatto.
E soprattutto dopo quello che ho subito. Quando è successo? Pochi mesi fa. Una domenica. Esattamente il 7 ottobre 1571
Che successe quel giorno?
Dovreste saperlo. E’ su tutti i libri di storia.
Lo so, la storia è una materia da sempre mal digerita persino sui banchi di scuola. Tranquilli. Vi racconterò qualcosa io.
Lunghezza del thread permettendo.
Ricordo che quel giorno una lieve brezza increspava il mare.
E la più imponente flotta di galee che la cristianità fosse mai riuscita a mettere insieme, per combattere i turchi, avanzava controvento nel mar Ionio.
Read 24 tweets
13 Nov
Non hanno tutti i torti a chiamarmi “Mago Bakù”, il fachiro. Mangio pochissimo, dormo quasi niente, giro sempre seminudo e a piedi scalzi. E non sono le uniche stranezze. Colleziono libri antichi, amo la psicologia, la magia, l’ipnosi e le teorie di Freud.
I miei uomini lo sanno. Finché sono sveglio non hanno niente da temere. Per questo, come vi ho detto, dormo pochissimo.
Chi sono? Sono il comandante del sommergibile Cappellini della Regia Marina Italiana.
E oggi, 16 ottobre 1940, ho un problema. Image
Ieri alle 23.15 abbiamo incrociato a 800 miglia ad ovest di Casablanca il piroscafo Kabalo da 7.500 tonnellate, battente bandiera belga.
Lo so, non siamo in guerra con il Belgio, ma sappiamo che è stato noleggiato dalla marina inglese e armato con un cannone di 102 mm.
Read 24 tweets
11 Nov
Il 4 agosto 1578 per il Portogallo fu un giorno infausto.
Per il più grave lutto della sua storia.
Il giorno in cui lui era morto, intendo.
O meglio. Scomparso. Lui, Don Sebastiano I, 24 anni, fior fiore della nobiltà lusitana.
Sedicesimo re del Portogallo e dell'Algarve.
Sicuramente morto nella battaglia di Alcazarquivir, in Marocco, contro l’esercito islamico del sultano Abd al-Malik.
Come poteva pensare di battere i 50.000 cavalieri del sultano con i suoi 20.000 uomini. Era stata una carneficina.
Il suo corpo? Mai ritrovato.
Dopo la sua morte era salito al trono il suo prozio, il cardinale Enrico.
Ma Sebastiano era troppo amato dal suo popolo.
Era nato così un movimento chiamato “sebastianismo “, che sperava nel ritorno del re scomparso.
Per riportare il Paese al suo antico splendore.
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9 Nov
Siamo prossimi alla partenza del TT, il Tourist Trophy. Nessun straniero ha mai vinto, solo vittorie di motociclisti del Regno Unito.
Anche se la Guzzi, la mia moto, questa corsa l’ha già vinta due anni fa, nel 1935.
In due categorie. Ma non con un pilota italiano.
A vincere nella 250 e nella classe 500 su Guzzi era stato il pilota irlandese Stanley Woods. Correvo anch’io sulla stessa moto quell’anno, il 1935, ed ero anche favorito dopo aver stabilito nelle prove un incredibile 30’10” sul giro. Un vero record. Image
Ero per gli inglesi “The Black Devil” per il colore della mia tuta e per gli americani il “corridore atomico”.
Ci tenevo a vincere. Invece con la mia Guzzi 250 era finito in un banco di nebbia, un corvo in mezzo alla strada e relativa caduta.
Con due vertebre rotte.
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