Agli americani, la donna disse: “Mi accadrà qualcosa?”
Era il 29 maggio del 1945, a chiederlo la caposala del reparto di Pediatria, Mina Wörle, presso il complesso ospedaliero di Kaufbeuren. Era appena morto Richard Jenne, di 4 anni, per una dose eccessiva di sonnifero.
Ma non fu un errore, lei stava applicando i protocolli dell’Aktion T4, un programma fortemente voluto da Hitler, passato poi alla storia come la più massiccia e brutale operazione di eugenetica.
Cominciò già nel 1933, quando furono forzatamente sterilizzate circa 300.000 persone che avevano dato alla luce figli disabili. Poi nel 1938 la prima esecuzione, un bambino di nome Knauer, in seguito ad una visita ispettiva di uno dei medici personali di Hitler, Viktor Brack.
Era stata la stessa famiglia del bambino, nato con gravi malformazioni fisiche e definito “idiota”, a chiedere per lettera al Fürher la sua ‘”uccisione pietosa”. Dopo la visita del “dottor” Brack seguì l’eutanasia del bambino.
Vi chiederete “Come può una famiglia chiedere l’uccisione di un proprio figlio?”
Potenza della Propaganda del regime nazista, che ha portato ad idolatrare Hitler e ad annientare tutte le coscienze.
La campagna di persuasione era partita già da anni, addirittura con manifesti.
Il manifesto sopra parla del nuovo popolo, fatto di giovani sani di una razza superiore.
“60,000 Reichsmark è quello che una persona con una patologia ereditaria costa alla comunità durante la sua vita. Cittadini, sono anche i vostri soldi.”
Una vita quanti soldi vale?
Un altro medico personale di Hitler, Karl Brandt, si occupò di mettere in atto il programma di eutanasia eugenetica.
Il Ministero dell’Interno ordinò a tutti i medici e alle ostetriche degli ospedali tedeschi di denunciare tutti i casi di bambini nati con gravi malformazioni.
Furono circa 275.000 i neonati ed i bambini soppressi, la maggior parte tramite iniezioni, alcuni in camere riempite di monossido di carbonio.
Dai bambini lo sterminio si estese poi a tutti i pazienti ricoverati da anni, con problemi fisici o mentali.
A decidere per la vita o la morte era una commissione di tre medici, che apponevano sulla scheda semplicemente un + o un -.
Il + significava che il paziente era condannato a morte. La presenza della sindrome di Down comportava sempre 3 +.
Tutto questo accadeva all’oscuro delle famiglie a cui venivano sottratti i bambini: veniva detto loro che sarebbero stati curati in ospedali speciali. Dopo qualche settimana arrivava loro il certificato di morte per polmonite o altre cause naturali.
Molte famiglie si insospettirono e nascosero in seguito i figli che presentavano dei problemi fisici.
Le uccisioni eugenetiche erano state autorizzate nel 1939, giorno in cui Hitler pubblicò una lettera in cui diceva che l’eutanasia era autorizzata per le persone incurabili.
Il programma Aktion T4 fu sospeso nel 1941, ma non fu mai espressamente vietato. La maggior parte degli omicidi avvenne in realtà negli anni seguenti al ‘41.
Quando gli americani arrestarono Mina Wörle la guerra era finita da 3 settimane.
Oggi, 9 dicembre, cade l’anniversario del “Processo dei dottori” a Norimberga, era il 1946.
Al banco degli imputati i medici responsabili di esperimenti sui prigionieri e tutti i medici e funzionari coinvolti nel programma di eugenetica.
Mina Wörle fu condannata a 18 mesi, morirà nel 1973 a 78 anni.
Nel suo reparto morirono 210 bambini.
Era solo un’infermiera che seguiva un protocollo, così stabilirono.
Karl Brandt e Viktor Brack furono invece condannati a morte ed impiccati nella prigione di Landsberg nel ‘48.
Lo scopo dell’Aktion T4 era eliminare le “vite indegne di essere vissute”. Uomini che decidono per altri uomini sulla dignità della vita.

“Tanto muoiono solo gli ultra ottantenni, mica sono produttivi”.
(Cit. Toti)
Un commento finale: chi fra i giovani di oggi, ma anche in generale di tutte le età, sa cosa è stato l’Aktion T4?
Pochi, uno su mille forse. Probabilmente molto meno.
Uccidere lo studio della Storia è uccidere la speranza di un mondo migliore.

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14 Dec
Siemens, un nome che tutti conoscete sicuramente.
Ma forse non sapete che nel 1931 io, John Rabe, ero stato nominato direttore di un importante ufficio estero di questa azienda.
Ho dovuto così trasferirmi a Nanchino, nella provincia di Jiangsu, a circa 300 Km. Da Shanghai. Image
Io ero tedesco, nato ad Amburgo e iscritto per forza al partito nazista, non c’era alternativa.
Ma visto l’aria che tirava in Germania ero ben contento di stare in Cina, mi trovavo benissimo.

Poi sono arrivati i giapponesi. Image
Era scoppiata nel ‘36 la guerra fra Cina e Giappone, e il 13 Dicembre 1937 le truppe dell’Impero giapponese entrarono a Nanchino.
Fate conto che in Italia di questa guerra si sa molto poco, non si studia, ma morirono dai 14 ai 20 milioni di cinesi, nessuno sa esattamente quanti. Image
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12 Dec
Mi chiamo Mary Anning, ma immagino nessuno mi conosca.
Quando sono nata era il 1799, l’Inghilterra era in guerra con Napoleone. La mia famiglia era troppo povera per farmi studiare, ho imparato a leggere e a scrivere frequentando un po’ una scuola cristiana. Image
Eravamo talmente poveri che dei nove fratelli e sorelle che ho avuto ne ho persi otto, morti appena nati o piccolissimi. Erano altri tempi, certo.
Bastava nascere cento anni dopo e forse sarei diventata famosa.
Certo è difficile diventare famose con sempre il martello in mano. Image
Mio padre mi trasmise la passione per i fossili, vivevamo a Lyme Regis e lì i fossili non mancavano.
Lui era ebanista, ma mi insegnò a trovarli, a pulirli e a riconoscerli.
Quando mio padre morì dovetti vendere la sua collezione.
Poi per vivere continuai a cercarli. Image
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11 Dec
A 21 ero orfana di padre, lavoravo come lavapiatti o cameriera e, siccome avevo avuto in casa un patrigno alcolista e manesco, mi ero fatta la promessa di guadagnarmi il pane da sola.
Non volevo mai più dipendere da un uomo.
Una sera leggo un articolo che mi fa infuriare: “What Girls Are Good For” nel quale si afferma che “le donne appartengono alla casa, e il loro compito naturale è prendersi cura della famiglia. Il lavoro femminile è un’aberrazione”.
Così presi la penna e scrissi alla redazione del giornale:
“È un’aberrazione volere essere libera, indipendente? Lo sa il giornalista cosa si prova a essere una donna giovane e indigente? È una condanna senza via d’uscita.”
Al giornale piacque la mia risposta e mi assunsero.
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10 Dec
A volte dovevo sedare i bambini e poi rinchiuderli in un sacco per farli sembrare morti, oppure li nascondevo tra stracci sporchi di sangue dentro le ambulanze, o nelle casse di attrezzi del furgone di un tecnico del comune.
Tutti i mezzi erano buoni per portarli via di lì.
Ero a Varsavia, nel più grande Ghetto Ebreo di tutta l’Europa, quasi 500.000 persone prigioniere lì dei nazisti.
Fame, malattie come la dissenteria o il tifo, soprusi e violenze ogni giorno.
Poi le deportazioni, destinazione Treblinka, e da lì nessuno tornava poi indietro.
Riuscivo ad entrare lì tutti i giorni, come infermiera mandata dal Comune. Avevo preso a cuore la battaglia contro l’antisemitismo già da giovane, e mi ero anche innamorata di due ebrei. Per difendere le mie idee mi avevano persino espulso dall’Università per tre anni.
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7 Dec
Avevo fatto mio il tocco e il tratto di Veermer: facevo gli stessi colori, in particolare il blu di lapislazzuli con olio di lillà, usavo i pennelli dell’epoca e tele originali del 1600. Riuscivo anche a riprodurre la “craquelure”, il reticolo di crepe che si forma con il tempo. Image
Non mi considero un truffatore, ero molto di più un falsario: ero un vero artista innamorato di Veermer.
Non riprodussi solo alcune sue tele, ma ne dipinsi di nuove attribuendole con successo al pittore del ‘600.
In realtà nel 1947 dovetti subire un processo, rischiavo l’ergastolo per un reato molto più grave di essere un falsario: mi accusarono di essere un collaborazionista dei tedeschi.
Di Goering in particolare. Image
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18 Nov
Vespa e il “consenso” popolare.
Scusate ma no.
Non accetto che si possa travisare la realtà così impunemente.
Sulla “macchina del consenso” ci sono fiumi di inchiostro, montagne di pagine di studiosi e storici che hanno analizzato e spiegato il fenomeno.
1/n
Era un consenso costruito, molte volte estorto, sempre organizzato dall’alto.
Lo storico Philip V. Cannistraro coniò la definizione di “fabbrica del consenso”: meccanismi di controllo, di orientamento dell’opinione pubblica e di inquadramento delle masse.
2/n
Accettazione e sopportazione, non consenso.
Manipolazione e orchestrazione. L’utilizzo di simboli, miti e slogan che nelle masse acquisivano intensità e provocavano persuasione.
Le masse erano in gran parte analfabete: la radio, i giornali ed i cinegiornali controllati.
3/n
Read 17 tweets

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