Vi giuro, ho fatto quello che potevo.
E’ tutto registrato. Il radiocronista Andrew West lo stava intervistando.
“Sono qui. Rafer ha afferrato l’uomo che ha sparato. Prendigli la pistola. Il dito…il dito…prendi l’arma Rafer. Bravo, l’hai preso”.
L’ho preso, bloccato, è vero, ma troppo tardi. Quel giorno di più non potevo fare.
E mi dispiace. Da morire.
Non essere riuscito a salvargli la vita, intendo.
Un dispiacere che non ho mai dimenticato.
Mi chiamo Rafer Johnson e sono nato a Hillsboro, Texas, il 18 agosto 1934.
Papà voleva darci un futuro migliore di una baracca senza elettricità e impianto idraulico. Per questo, all’età di nove anni, ci eravamp trasferiti con mio fratello Jim a Kingsburg, in California.
Eravamo l’unica famiglia nera in città.
Prima di Rosa Parks e di Martin Luther King, per intenderci.
Papà era deluso da quella vita. Per quello beveva.
E così, per noi fratelli, i fine settimana erano sempre un incubo.
Alla Kingsburg Joint Union High School ero uno studente modello.
Ma lo ero sempre stato.
Sempre eletto presidente di classe.
Mi piacevano il calcio, il basket e il baseball, anche se per il mio fisico sarei stato più adatto a giocare a football americano.
Un fisico che mi permetteva di sopportare il dolore. Per questo a casa mi mettevo sempre in mezzo offrendomi come “volontario” per prendere le botte da mio padre.
Fu grazie al mio allenatore che presi quella decisione.
Quella definitiva.
Accadde quando avevo 17 anni e lui mi portò a Tulare, a vedere il ragazzo prodigio, Bob Mathias.
Bob alla mia stessa età aveva iniziato ad allenarsi in quella specialità. E nello stesso anno aveva vinto la medaglia d’oro ai Giochi Olimpici di Londra del 1948.
Straordinario.
Nella specialità forse più difficile, l’ultima ad essere entrata nel programma ufficiale dell'atletica leggera. Il decathlon.
Dieci gare massacranti che richiedono, per alcune velocità ed esplosività, mentre per altre, come i 1.500 metri, una buona dose di resistenza.
E così iniziai ad allenarmi.
E dopo poche settimane cominciai a vincere .
I progressi maggiori li feci una volta entrato alla UCLA (Università della California, Los Angeles).
Dopo sole quattro gare stabilii il record del mondo. Niente male, vero?
Fu solo l’inizio.
Vinsi i Giochi Panamericani nel 1955 e mi qualificai sia nel decathlon che nel salto in lungo per le Olimpiadi del 1956 a Melbourne. Un infortunio mi impedì di gareggiare nel salto in lungo.
Arrivai secondo nel decathlon.
La mia ultima sconfitta.
Persi tutto il 1957 per un infortunio, e il 1959 per un incidente d’auto.
Stabilii però il record del mondo nel 1958.
E con un nuovo record del mondo, stabilito poco tempo prima, mi presentai alle più belle Olimpiadi di sempre.
A Roma. Nel 1960.
L’anno prima avevo ricevuto un’offerta.
Kirk Douglas mi voleva nel film che stava per girare, Spartacus. Per interpretare il gladiatore etiope Draba, che rifiuta di uccidere Spartacus. Per paura di essere definito professionista e quindi saltare le Olimpiadi non se ne fece niente
Portabandiera per il mio Paese, ero favorito e detentore del recod del mondo.
Il mio avversario più agguerrito? Il sovietico Kuznetsov. Ma soprattutto lui, il rappresentante di Taiwan Yang Chuan-Kwang.
Entrambi provenienti dalla stessa Università, la UCLA
Allenato dal mio stesso allenatore, eravamo molto amici.
"CK era diventato come un fratello. Sapevo quanto fosse bravo".
All’Università ci davamo consigli a vicenda, ci aiutavamo sempre. Andò così anche a Roma. Dopo ogni gara. E furono gare bellissime.
Dovete sapere che il decathlon è una specialità composta da dieci gare, disputate in due giorni, di diverse discipline.
Qualcosa di massacrante, dove bisogna essere resistenti come rocce.
Il punteggio, dopo ogni prestazione, viene calcolato usando una tabella.
Non starò a raccontarvi per filo e per segno come andarono quelle dieci gare.
Fu un’alternanza di emozioni.
Jang fece ottime prestazioni e mi mise in grosse difficoltà. Arrivammo all’ultima gara convinti, ognuno, di poter vincere la medaglia d’oro.
Molto vicini nel punteggio.
Arrivai al traguardo dell’ultima gara, i 1.500 metri, subito dietro Yang. Vincendo l’oro di soli 58 punti. (8.392 a 8.334).
Ricordo che appoggiai la testa sulla sua spalla prima di abbracciarlo.
Per dirgli che avevo preso la decisione di abbandonare per sempre le gare.
Cosa che feci. Lo so. Pochi conoscono la mia storia. Qualcuno mi ricorda solo come l’atleta che ha acceso la torcia alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984.
Pochissimi ricordano che io ero lì, accanto a lui, quando fu colpito.
"Uno dei momenti più devastanti della mia vita".
Lo avevo conosciuto nel 1961, ed eravamo diventati subito amici.
Mi aveva coinvolto in molti suoi progetti, lui e suo «Non abbiamo bisogno di odio»
Quella sera ero accanto a lui per celebrare la sua vittoria alle primarie presidenziali democratiche della California.
Era il 6 giugno 1968. Intorno alle 00.15.
Dopo il discorso lo avevavano fatto uscire passando dalle cucine dell’Ambassador Hotel a Los Angeles.
Fu in quel momento che mi accorsi di quell’uomo con la pistola.
Fu nello stesso momento che sentii gli spari.
Con l’amico Rosey Grier, ex star della Nfl, avevamo cercato di fermarlo.
Sentii Andrew West, il radiocronista che urlava: “Prendigli la pistola. Il dito…il dito… prendi l’arma Rafer. Bravo l’hai preso”.
Lo avevo preso, sì. Ma troppo tardi.
L’amico Bob era stato colpito a morte.
Io ero lì, impegnato nella sua campagna elettorale. E non ero riuscito a salvarlo.
Ricordo ancora le serate passate a casa sua. Lui mi raccontava di come cambiare il Paese, di come era convinto di poterlo far diventare un posto migliore.
Rafer Johnson ci ha lasciato pochi giorni fa, il 2 dicembre 2020, all’età di 86 anni.
Dopo aver abbandonato l’atletica si era cimentato nel cinema. Una dozzina i suoi film, tra cui "Licenza di uccidere" della serie 007.
Ma non è stato solo un atleta e un attore.
E’ stato molto di più.
Un grande oratore, un giornalista sportivo, un grande uomo impegnato nell’aiuto ai disabili, ai ragazzi, alle persone bisognose. Un attivista.
“Un meraviglioso essere umano” come qualcuno lo ha definito.
Grazie a @mauroberruto ,134 volte CT della Nazionale Italiana Maschile di Pallavolo, bronzo ai Giochi Olimpici Londra del 2012, per avermi suggerito di raccontare la storia di Rafer Johnson.
Che ci ha insegnato a fare sempre tutto quello che si può. Nello sport. Come nella vita

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8 Dec
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/2IpDy3y
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline. Con quei bei cannoni tutti neri. Il morale alto. Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli". Il primo sparo? Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer. Resistemmo fino all’impossibile. Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata. Un durissimo colpo. (Bragation morirà il 12 settembre) Image
Read 24 tweets
7 Dec
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino. Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so. Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro.
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli. Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi. Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta. Strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti.
Read 22 tweets
5 Dec
Aprile 1911.
Settimana scorsa ho mandato in stampa il mio libro. Per evitare una censura da parte delle autorità, dato il contenuto altamente accusatorio nei confronti del Governo italiano, ho cercato di darne ampia diffusione.
Il prefetto voleva impedirmelo.
“In riferimento alla legge 28 giugno 1906 n° 278 non è possibile impedire la diffusione del libro” gli aveva scritto il Procur. Generale. Meno male.
Ho inviato due copie anche al Re e Regina. So che il prefetto va in giro a dire che l’autore di quel “lurido libello” deve pagare.
28 maggio 1911. Ho ricevuto indietro le copie che avevo inviato al Re Vittorio Emanuele e alla Regina Elena. “Il Re vi ringrazia per il pensiero che avete avuto nell’inviare questa vostra opera, ma a Sua Maestà non interessa”. Speravo molto in loro. Di ottenere almeno giustizia.
Read 25 tweets
3 Dec
Sarà pure una leggenda, ma non mai ho fatto niente per smentire una così bella storia. “Diavolo rosso” mi chiamavano.
E proprio quella leggenda racconta che l’appellativo mi venne rifilato da un parroco.
Quando finii nel bel mezzo di una processione creando il panico.
“Chiellì a l’è al diaul!” "Quello lì é il Diavolo!" aveva urlato il prete quando mi aveva visto in sella alla mia bicicletta da corsa con una maglia rossa, tipo camicia garibaldina.
Il mio motto di allora?
Fare ciò che per gli altri era impossibile. Image
Mi chiamo Giovanni e sono nato ad Asti (Trincere) il 4 giugno 1885. Papà faceva l’oste. Da ragazzo ero abbastanza irrequieto, ma amavo una cosa sola, correre in bicicletta.
Riuscii a comprarne una lavorando in una bottega di armaiolo meccanico.
Read 25 tweets
30 Nov
Giorni fa, alla fine del thread sulla battaglia di Lepanto, Johannes vi ha raccontato che solo uno dei comandanti della flotta turca riuscì a salvarsi. Si chiamava Uluç Alì Pascià, alla nascita Giovanni Dionigi Galeni.
Nato in provincia di Crotone. Calabrese.
Che poi sarei io.
Che ci faceva un calabrese al comando dell'ala sinistra dello schieramento ottomano?
Forse è il caso di raccontarvi la mia storia. Dall’inizio.
Sono nato a Le Castella, una frazione di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Johannes ha scritto giusto.
Alla nascita mi chiamavo Giovanni Dionigi Galeni, nato nel 1519 da papà Birno, che mi insegnò a leggere, a scrivere e andar per mare, e mamma Pippa De Cicco, una contadina.
Perché mi chiamavano “rognoso”?
Per via di una tigna sulla testa.
Read 25 tweets
25 Nov
Dottoressa in Medicina e Chirurgia con la votazione di 110 e lode accademica. WOW. Sono felicissima. Me lo sono meritato, dai.
Il percorso è stato difficile, ma quella sfilza di trenta e lode alla fine mi hanno fatta sentire orgogliosa di me stessa.
Ci sono tutti i miei cari nell'aula magna del rettorato dell'università di Messina.
Papà Enzo, mamma Cinzia, mia sorella Danila e i miei fratelli, Carmelo e Giuseppe, il piccolino, di sei anni.
E naturalmente la mia grandissima amica e collega Vittoria.
Ho sognato questo giorno fin da bambina.
Da piccola volevo diventare ginecologa, sapete? Dopo il liceo scientifico ad Agrigento avevo tentato per due anni i test per entrare a Medicina. Inutilmente. Ma io ero testarda.
E al terzo tentativo c’ero riuscita.
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