Sinceramente ho perso il conto delle medaglie che mi hanno appuntato sul petto, l’ultima circa due anni fa, nel 1942, la Navy Distinguished Service Medal.
E allora mi domando.
Che ci faccio davanti a una commissione d’inchiesta della Marina degli Stati Uniti? Image
L’accusa è pesante.
Sono ritenuto il principale responsabile del più grande disastro, in termini di uomini e navi, subito in mare aperto dalla Marina degli Stati Uniti durante la seconda guerra Mondiale.
Per aver portato la flotta proprio al centro del disastro.
Chi sono?
Mi chiamo William Frederick Halsey, comandante in capo della Terza Flotta degli Stati Uniti.
E sono qui per difendermi.
Il mondo deve sapere cosa è successo.
Nessuno di noi era preparato e le mie decisione furono prese solo nell’interesse delle operazioni militari in corso. Image
In attesa della sentenza che arriverà tra poco, sento il dovere di raccontarvi come sono andate veramente le cose.
Cominciando da quel giorno, quando dal comando arrivò l’ordine di muovere la Terza Flotta, la mia flotta, verso le acque di Luzon.
E così lasciammo la base di Ulithi, un atollo delle Isole Caroline ad ovest dell'Oceano Pacifico, l’11 dicembre 1944.

Il nostro compito?
Distruggere le basi da dove partivano i kamikaze, gli aerei suicidi giapponesi. Image
Il tutto rientrava in una più vasta operazione di appoggio al generale MacArthur per la conquista delle Filippine. Tutto precedeva alla perfezione.
Anche l’appuntamento con le unità della Task Group 30.8 che dovevano rifornirci di combustibile.
Arrivammo all’appuntamento il 13 dicembre.
Dopo il rifornimento (le unità non fornivano solo combustibile, ma armi e pezzi di ricambio) diedi loro il nuovo appuntamento.
Il 17 dicembre a 450 miglia a est di Luzon.
E il 14 dicembre iniziammo l’attacco alle basi dei kamikaze sull’isola.
In tre giorni distruggemmo 270 aerei giapponesi. Terminata l’operazione diedi l’ordine di fare rotta verso est per incontrare di nuovo la Task Group 30.8 come concordato.
I tempi erano ristretti.
Il 19 dovevamo attaccare di nuovo le basi giapponesi come previsto dal piano di MacArthur.
Il 17 iniziammo le operazioni.
C’era vento e il mare era mosso.
Il tempo continuava a peggiorare.
Nessuno poteva immaginare quello che stava per accadere.
Il rifornimento iniziò a essere difficile. Complicato.
I cacciatorpedinieri facevano fatica ad avvicinarsi e quelli che ci riuscivano vedevano rompersi cavi e manichette dalla furia del vento.
Fu allora che chiesi agli addetti al servizio meteorologico cosa stesse accadendo. Image
«Una depressione sul lato orientale e una tempesta in arrivo da sud est» fu la loro risposta.
Il consiglio era di spostarsi dalla zona riprovando il rifornimento il giorno dopo.
Nessuno capì cosa stava per arrivarci addosso.
Neppure io.
Comunque decisi di spostare il nuovo rifornimento a nord ovest, lontano da quella tempesta tropicale, come l’avevano chiamata.
Chiesi più volte dove fosse esattamente il centro della tempesta.
Senza ottenere risposta.
Presi la decisione di spostare la Terza Flotta più a sud, anche se vicina alle basi giapponesi.
Il vento continuava però ad aumentare.
Chiesi il rientro degli aerei un volo.
Due non riuscirono ad appontare.
I piloti abbandonarono l’aereo lanciandosi col paracadute. Image
Gli addetti al servizio meteorologico continuavano a dirmi che si trattava di una tempesta tropicale, ma gli operatori radar, che avevano l’abitudine di allungare la portata per superare la monotonia, cominciarono a vedere qualcosa che non avevano mai visto prima.
A sessanta miglia dalla nostra formazione cominciarono a vedere delle strane forme.
Forme mai viste, tanto che pensarono a un guasto dei radar.
Fu solo alle quattro del mattino che il capitano di fregata George Kosko entrò nella mia cabina.
Svegliandomi di soprassalto.
Kosko dirigeva il servizo meteorologico sulla mia nave ammiraglia, la corazzata New Jersey.
Capii immediatamente dal suo sguardo che stava per dirmi qualcosa di terribile.
Qualcosa a cui non ero preparato.
Qualcosa che non avevo mai affrontato.
« E’ un Tifone!» urlò. Image
Salii ansimando sul ponte di comando comunicando a tutte le navi della flotta di abbandonare le operazioni e di allontanarsi immediatamente dalla zona.
Nello stesso tempo comunicai a Mac-Arthur che la mia flotta non avrebbe potuto attaccare il 19.
Fu in quel momento che iniziò il finimondo.
Il vento aumentò d’intensità, il mare diventò schiumoso e la visibilità si ridusse al minimo. Dal centro delle navi non si riusciva a vedere la poppa o la prua.
Sotto la forza del vento cominciarono a inclinarsi paurosamente. Image
Fin oltre il punto critico. Çon onde alte 20 metri e la nave inclinata non sapevo più quale fosse il mare e il cielo.
Tra le 10 e le 14 del 18 ottobre 1944 ci trovammo nel centro del tifone.
La portaerei Cowpens di 11.000 tonnellate si inclinò e molti aerei caddero in mare Image
Ordinai alla Cowpens di lasciare la formazione.
Sulla portaerei Altamaha una gru ruppe i cavi d’acciaio distruggendo gli aerei.
Ne aveva a bordo 65. Ne perse in mare 43.
Ai cacciatorpedinieri andò anche peggio.
Sbalzati come fuscelli e invasi dall’acqua di mare. Image
Gli impianti elettrici cominciarono a saltare.
Molti uomini e ufficiali caddero in mare e fu impossibile recuperarli.
E poi vetri in frantumi, locali allagati.
Un vero inferno.
Al cacciatorpediniere USS Tabberer furono strappate le antenne e poi il fumaiolo. Image
Il “Tifone Cobra” (questo il suo nome anche se molti lo chiamano come me, “Tifone Halsey”) ci inflisse più danni dei giapponesi.
Tre cacciatorpedinieri affondati. Cinque portaerei, un incrociatore e altri tre cacciatorpedinieri gravemente danneggiati. Image
Una ventina di altre navi danneggiate seriamente.
146 aerei distrutti.
E soprattutto, 790 tra ufficiali e marinai scomparsi in mare. Oltre agli ottanta feriti.
Un’autentica débâcle per la mia flotta. ImageImage
La commissione d’inchiesta appurò le responsabilità del comandate William Frederick Halsey.
A sua discolpa l’intenzione di voler concludere le operazioni militari previste.
La Commissione non prese nei suoi confronti nessuna azione punitiva.
Nel giugno del 1945 il comandante incrociò di nuovo un tifone, chiamato Connie.
Perse 7 uomini e 75 aerei.
Fu promosso Ammiraglio l’11 dicembre 1945.

«La guerra è finita. Quindi se compaiono aeroplani giapponesi, abbatteteli in modo amichevole». Image

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4 Feb
Johannes, ci sei? Sotto trovi il link della nostra conversazione di ieri dove mi hai accusato di essere un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Come mai allora per l’immaginario collettivo sono da sempre un personaggio mitico?
bit.ly/3cFLfiJ
«A dire il vero ho detto che malgrado letteratura e cinema ti abbiano descritto come un buon sovrano, alcuni hanno parlato di te in altri termini. Punto.
Comunque continua.
Sei rimasto a quando venisti a sapere che tuo fratello Giovanni era sul punto di usurparti il trono».
Vero. Giovanni, quel caro fratello a cui mio padre aveva riservato il suo più grande affetto.
E’ così. Non aveva occhi che per lui. Che dovevo fare?
Ho lottato per difendere quello che mi spettava.
Puoi farmene una colpa?
E poi erano tradizioni di famiglia tutti quei litigi.
Read 22 tweets
3 Feb
Dicerie. Messe in giro per screditarmi. In fondo voi conoscete bene la mia storia. Film, libri, persino cartoni animati hanno raccontato le mie gesta.
Tutti concordi nel ritenermi un buon sovrano.
Lui era malvagio e usurpatore.
Mio fratello Giovanni, intendo.
«Scusa Riccardo, sono Johannes. Non vorrei contraddirti, ma qualcuno ha riassunto con altre parole la tua vita e il tuo regno.
Ti ha descritto diversamente.
Precisamente come un «cattivo figlio, cattivo fratello, cattivo marito e pessimo re».
Ma che dici. Non hai visto i film su Robin Hood, l’eroe che rubava ai ricchi per dare ai poveri?
Viene raccontato molto bene l’amore che il popolo aveva per me. Tutti aspettavano il mio ritorno, lottando contro mio fratello Giovanni. Lui sì che era cattivo.
Read 25 tweets
23 Jan
Non potevo mancare proprio oggi, 23 giugno 1992, davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.
Siamo in tanti, almeno diecimila, a ricordare la morte, avvenuta esattamente un mese fa, di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca e di Vito, Rocco e Antonio, gli agenti della scorta.
1.950 metri ci separano dalla casa di Falcone.
Il corteo si è avviato.
E’ un pomeriggio assolato e dentro tutti noi c’è tanta rabbia, tanta tristezza.
Negli ultimi due anni sono stati oltre 200 gli uomini uccisi dalla mafia. Uomini di Stato e non solo.
Ho visto nel corteo la moglie di Libero Grassi.
Quante vittime. Troppe. Ognuno con la sua storia.
Mentre ci incamminiamo ripenso a una di quelle vittime invisibili, che ormai nessuno ricorda più.
Vorrei poter far conoscere a tutti la sua storia.
Ormai dimenticata.
Read 25 tweets
21 Jan
«Sono sei miglia al largo di Avezzano, altezza duemila piedi. Posso scendere?»

«Non c’è traffico. Scendete pure»

Sono quasi le 19. E’ una bella domenica e ho approfittato per fare un volo d'addestramento a bordo di questo stupendo Augusta Bell 205.
E’ un elicottero nuovo e moderno rispetto al vecchio Agusta Bell 47 G 3B-1 con cui ho operato per tanto tempo.
Quante missioni abbiamo compiuto insieme.
E quante vite ho salvato nelle oltre 3.500 ore di volo. Image
Le ricordo tutte, sapete? Quante vite di preciso? Parecchie. Basta contare gli omini stilizzati sulla carlinga del mio vecchio elicottero.
Dicono che sono un pioniere dell’elisoccorso in Italia. Vero. Le prime tecniche di salvataggio di persone in mare sono mie. Image
Read 20 tweets
12 Jan
Nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, vi ho raccontato perché sono arrivato alle Termopili.
E come ha aggirato i greci grazie a un certo Efialte che mi ha rivelato un sentiero nascosto tra le montagne. Andiamo avanti.
bit.ly/39m9e3j
Anni fa i Focesi hanno costruito un muro alle Termopili per difendersi dai Tessali. Quando i miei uomini sono andati in avanscoperta hanno visto alcuni greci “intenti in parte a compiere esercizi fisici in parte a pettinarsi le chiome”.
Il resto allora è dietro quel muro.
Ho saputo che dopo varie consultazioni Leonida ha preso la decisione di rimandare indietro il grosso dell’esercito greco rimanendo con i suoi 300 spartani e i 700 opliti tespiesi a difendere le Termopili.
Un sacrificio per permettere loro la ritirata?
Se è così è un folle.
Read 24 tweets
11 Jan
Esagerato. Parlo dello storico Erodoto, considerato da Cicerone come il «padre della storia».
Secondo lui oggi il mio esercito è composto da oltre cinque milioni di uomini tra guerrieri e personale di supporto.
In più ho 1.207 triremi e circa 3.000 navi da trasporto.
Ma dai.
Siamo tanti, non discuto, ma mai quel numero.
Messi su una strada sola, fossero cinque milioni di uomini, oggi l’avanguardia sarebbe qui alle “porte calde”, mentre la retroguardia ancora ai confini della Persia.
Assurdo.
Come potrei sfamare e dissetare milioni di uomini?
Sinceramente non mi sono messo a contarli uno per uno, ma penso di aver a disposizione circa 200.000 uomini e circa 1.000 navi tra triremi e trasporto.
Un bell’esercito comunque.
Sufficiente per fare quello che non è riuscito a mio padre.
Read 25 tweets

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