Non potevo mancare proprio oggi, 23 giugno 1992, davanti al Palazzo di Giustizia di Palermo.
Siamo in tanti, almeno diecimila, a ricordare la morte, avvenuta esattamente un mese fa, di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca e di Vito, Rocco e Antonio, gli agenti della scorta.
1.950 metri ci separano dalla casa di Falcone.
Il corteo si è avviato.
E’ un pomeriggio assolato e dentro tutti noi c’è tanta rabbia, tanta tristezza.
Negli ultimi due anni sono stati oltre 200 gli uomini uccisi dalla mafia. Uomini di Stato e non solo.
Ho visto nel corteo la moglie di Libero Grassi.
Quante vittime. Troppe. Ognuno con la sua storia.
Mentre ci incamminiamo ripenso a una di quelle vittime invisibili, che ormai nessuno ricorda più.
Vorrei poter far conoscere a tutti la sua storia.
Ormai dimenticata.
Una storia che però io non ho dimenticato.
E la memoria torna a quel maledetto 21 dicembre 1946. Dicono che a volte ci sono domande senza risposte.
E’ vero. Soprattutto se in quei momenti hai quattro anni.
«Perché papà non c’è più? Ha fatto forse qualcosa di male?»
Doveva essere speciale quel Natale. Soprattutto dopo aver scoperto qual era il mio regalo. Che fosse la mamma e non la Vecchia Natala e portarmelo non mi creò nessun turbamento. Che importanza poteva avere?
«Per me un cappottino rosso, per te un berretto blu» confidai a Pinuccio
Già, Pinuccio, il mio fratellone di sei anni dormiva nel lettino accanto quel giorno.
Papà non era ancora tornato e mamma era in cucina.
Per papà, mamma era da sempre la sua Mimì. Il loro amore sempre ostacolato dalla famiglia di lei.
Lei veniva da una famiglia con la “robba”
Invece papà di “robba” ne aveva poca.
Anzi, proprio niente. La famiglia di mamma invece era benestante. Il nonno, commerciante e possidente, aveva lasciato ai suoi cinque figli dei terreni e una bella quantità di denaro contante.
Per papà invece solo musica e compagnia.
Lei sempre con scarpe nuove, carne a volontà e tante proposte di matrimonio.
Lui senza “robba” sì, ma bello, alto, distinto e intelligente. Stanchi di vedersi sempre di nascosto, dopo due anni avevano deciso la fuitina.
Si erano sposati il 10 settembre 1939. Come clandestini.
Anni difficili. Senza corredo, senza soldi, senza niente.
Solo con il loro grande amore. Dopo nove mesi era nato Pinuccio. Poi papà era partito per la guerra.
Qualche licenza. E dopo due anni ero nata io.
Nonna Antonia non aveva voluto nemmeno conoscermi.
Poi la fine della guerra.
Con tanti sacrifici papà era riuscito a mettere su una falegnameria tutta sua, ma la famiglia di mamma non perdeva occasione per screditarlo.
Papà amava il suo lavoro di ebanista.
Ma non era la sua sola passione.
Amava la musica. Suonava tutti gli ottoni, anche se preferiva il suo bombardino.
Figura centrale della banda musicale.
L’unico ricordo che ho di papà riguarda proprio la musica. Nel settembre 1946, durante la festa di Santa Fortunata, Patrona di Baucina.
Sentivo la banda suonare e sapevo che c’era anche papà lì in mezzo.
Non riuscendo a vederlo, perché ero piccola, ero corsa tra la gente. Perdendomi.
Stavo per piangere quando le braccia di papà mi avevano issato sulle sue spalle. Che bello. Che orgoglio.
Il corteo avanza e continua a ingrossarsi. Buon segno.

Perché quelle domande? «Perché papà non c’è più? Ha
fatto qualcosa di male?»
Ricordate me e Pinuccio a letto dopo aver scoperto i regali di Natale?
Furono le urla di mamma a svegliarmi. “Cola, Cola, chi ti ficiru?”
E papà. “Mimì, mi spararu”. I cinque colpi li avevo sentiti. Mamma aveva trascinato papà sanguinante sul letto di casa. Poi la corsa in ospedale.
Due giorni dopo papà non c’era più.
«Perché papà non c’è più? Ha fatto qualcosa di male?».

Papà non aveva fatto niente di male.
Papà era un sindacalista e segretario della Camera del Lavoro di Baucina.
In quegli anni era un continuo scontro con i gabellotti mafiosi perché lui cercava in ogni modo di far applicare i Decreti Gullo, la nuova legge sulla divisione dei prodotti agricoli.
I Decreti Gullo, emanati nell’ottobre 1944, assegnavano le terre incolte ai contadini riuniti in cooperative.
Inoltre modificavano il rapporto di mezzadria tra lavoratori e proprietari.
Papà nel frattempo aveva fondato la cooperativa San Marco.
E questo, ai gabellotti mafiosi, proprietari di fondi agricoli, non andava giù.
La legge? «Un’invenzione dei comunisti»
I sindacalisti? «Rossi, ladri e fannulloni».
E giù minacce.
E quando le minacce non bastarono più…
“Arroganti e sovversivi dell’ordine costituito. Non degni di essere ammessi al cospetto di Dio” erano definiti quei morti ammazzati.
Come mio padre. Per questo anche a lui, come agli altri, furono negati i funerali in chiesa.
Nemmeno un'ultima benedizione, come chiedeva mamma.
Il corteo è arrivato nei pressi dell’abitazione di Giovanni Falcone. Al microfono una donna ha appena finito di leggere una poesia.
Ho urlato a mio marito: "Devo andare. Anch’io ho qualcosa da dire!". Lui ha provato a fermarmi.
Sono salita e ho afferrato il microfono.
«Ascoltatemi, per favore, anch’io ho qualcosa da dire. Sappiate che i morti di mafia, non sono solo questi che oggi piangiamo. La mafia uccide da sempre e ha ucciso anche un giovane di 37 anni pieno di vita e di speranze, con un futuro tutto da vivere.
«E sapete perché? Perché rivendicava Giustizia, Libertà e condizioni di vita più umane per i lavoratori della terra. Era il 21 dicembre 1946. Il suo nome è Nicolò Azoti, io sono la figlia e non l’ho conosciuto!»
Nicolò Azoti venne ucciso con cinque colpi di pistola alle spalle. Morì dopo due giorni di agonia riuscendo a dire il nome del suo assassino, il gabellotto del feudo Traversa, che lo aveva minacciato qualche giorno prima.
L’inchiesta venne però archiviata. Nessun colpevole.
Antonina, che a quei tempi aveva 4 anni, ha scritto un libro “Ad alta voce. Il riscatto della memoria in terra di mafia” per far conoscere a tutti la storia di suo padre.
Uno dei trentanove dirigenti sindacali uccisi dalla mafia in quegli anni. Ormai vittime invisibili.
Ricordate il cappottino rosso, regalo di Natale per Antonina?
Venne donato alla piccola solo dopo essere stato tinto di nero, il colore del lutto.
Grazie a @nicsac2 per avermi suggerito di raccontare la storia di Nicolò Azoti, una delle tante vittime ormai invisibili.
Che ha lottato contro le ingiustizie. E come molti altri, morto senza ottenere giustizia.

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21 Jan
«Sono sei miglia al largo di Avezzano, altezza duemila piedi. Posso scendere?»

«Non c’è traffico. Scendete pure»

Sono quasi le 19. E’ una bella domenica e ho approfittato per fare un volo d'addestramento a bordo di questo stupendo Augusta Bell 205.
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E quante vite ho salvato nelle oltre 3.500 ore di volo.
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12 Jan
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bit.ly/39m9e3j
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11 Jan
Esagerato. Parlo dello storico Erodoto, considerato da Cicerone come il «padre della storia».
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Ma dai.
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Assurdo.
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8 Jan
Che ci faccio seduto su una panchina negli spogliatoi dello stadio “The Dell”, lo stadio dei Saints?
Semplice.
Perché questo è il mio stadio. E il Southampton la mia squadra. La squadra dove gioco da sedici anni ormai.
E oggi sono triste, molto triste.
E' passato più di un secolo. Questo stadio infatti è stato costruito esattamente 103 anni fa, nel 1898.
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4 Jan
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Ecco, penso di essere stato solo quel bambino. Image
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Una mela in testa, ma via. In testa no di sicuro.
E quando mai.
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16 Dec 20
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