Il New York Times mi ha dedicato un bellissimo necrologio, scrivendo alla fine “una modesta casalinga che non ha mai pensato di aver fatto qualcosa di straordinario". Effettivamente è così. Mai pensato. Fino all’ultimo giorno della mia vita, il 2 maggio 2008. Maledetta polmonite
Avevo 68 anni, ma a dire il vero la mia vita era già terminata quel giorno, il 22 luglio 1975, quando un camion guidato da un ubriaco ci aveva travolti uccidendo sul colpo il mio Richard.
Aveva solo 41 anni, sapete?
Io 36.
Viva, ma da quel giorno senza un occhio.
“Loving v. Virginia 388 U.S. 1967”, non vi dice niente? Tranquilli, è normale.
Oggi per voi molte cose sono scontate.
Non era così a miei tempi, nel 1958.
In Virginia non era scontato per un uomo nemmeno innamorarsi e sposare una donna.
Perché dipendeva dal tipo di donna.
Assurdo vero?
Avevo conosciuto Richard quando avevo undici anni, lui diciassette.
Era un amico di famiglia e col tempo avevamo iniziato a frequentarci.
A diciotto anni ero rimasta incinta.
Richard venne a vivere dai miei genitori.
Eravamo follemente innamorati.
Ci sposammo a Washington, nel luglio del 1958. “Richard Loving vuoi tu sposare la qui presente Mildred Jeter?”.
Tornammo a casa, nella contea di Caroline, in Virginia. Finalmente come coniugi Loving.
Perché ci eravamo sposati a Washington?
Lo capii qualche mese dopo. Ricordo che era notte, più o meno le due, quando fummo svegliati da un fracasso infernale. Un fracasso che fa una porta d’ingresso quando viene sfondata.
Non fu un bel risveglio con tutte quelle torce puntate in faccia. In primo piano lui, lo sceriffo
C’erano altri due poliziotti, e cani, che ci ringhiavano contro.
Ci buttarono giù dal letto e ci arrestarono.
Scoprimmo dopo che fu per colpa di una soffiata. Qualcuno era andato dallo sceriffo e gli aveva detto una cosa incredibile.
Che io e Richard ci eravamo sposati.
Lo so cosa state pensando. “E allora?”.
Infatti. Fu la stessa cosa che pensai quando ci lessero il capo d’accusa.
Secondo la legge Richard non poteva assolutamente sposare una come me.
Una che si era macchiata di quel crimine fin dalla nascita.
Il crimine? Ero nera.
E lui bianco.
Due persone di “razze” diverse.
E in Virginia, ma anche in almeno 15 altri Stati, era vietato unirsi in matrimonio.
Ero finita in cella per quel “crimine”.
E a loro importava poco, anzi praticamente niente, che fossi incinta di cinque mesi.
Dopo qualche mese il processo.
Il giudice ci condannò in base alla Racial Integrity Act, una legge del 1924.
“Illegale per qualsiasi persona bianca dello Stato, sposare qualcuno che non sia una persona bianca”
Il giudice ci condannò a un anno di reclusione.
Pena sospesa se..
Che tenero.
Se fossimo andati via dalla Virginia per almeno 25 anni. Tenero era tenero dai.
Non avrei mai più potuto vedere la mia famiglia, i miei cari, la mia città natale.
Decidemmo di lasciare lo Stato, ma cinque anni dopo la situazione diventò per me insopportabile.
Fui io a scrivere al procuratore generale Robert Kennedy. Non era giusto quello che ci avevano fatto. Non era giusto impedire a qualcuno di amarsi.
Non speravo molto in quella lettera, ma qualcosa si mosse. Bob Kennedy inviò la mia richiesta alla American Civil Liberties Union.
Un’associazione nata nel 1920 per difendere diritti e libertà individuali garantiti dalla Costituzione degli Stati Uniti. E c’era il quattordicesimo emendamento, secondo cui “tutte le persone nate negli Stati Uniti sono cittadini degli Stati Uniti e dello Stato in cui risiedono”.
Era sufficiente per accusare lo stato della Virginia di violare la costituzione con quella stupida legge.
Come reagì lo Stato della Virginia? Confermò la nostra condanna. Perché, scrissero, la sentenza garantiva equità della pena. Avevano infatti condannato sia me che mio marito
Non volevamo arrenderci.
Puntammo in alto, alla Corte Suprema degli Stati Uniti.
“Amo mia moglie e non è giusto che non possa vivere con lei in Virginia” scrisse mio marito.
La Corte Suprema, all’unanimità, dichiarò il Virginia Racial Integrity Act del 1924 anticostituzionale.
“Secondo la nostra Costituzione la libertà di sposare, o non sposare, una persona di un'altra razza risiede nell'individuo e non può essere violata dallo Stato”. Potemmo così tornare a casa, dalla nostra famiglia.
A coltivare la nostra terra.
Tutto bene quindi?
Non proprio.
Vi assicuro che non fu facile vivere in Virginia.
La sentenza non cambiò la mentalità di certa gente, che continuò a osteggiare la nostra unione.
Ma a noi bastava il nostro amore.
E i nostri tre figli, Donald, Peggy e Sidney.
Non fu comunque un percorso facile.
L’Alabama inizialmente non accettò la sentenza, anzi inasprì la legge contro i matrimoni interrazziali.
E’ stato l’ultimo Stato ad adattarsi alla decisione della Corte Suprema.
Nell’anno 2000.
Il giudice Anthony Kennedy nella sentenza (2015) che ha legalizzato il matrimonio gay negli USA ha citato Loving v. Virginia del 1967 che annullò i divieti sulle unioni interrazziali.
“La Corte ha da tempo ritenuto che il diritto al matrimonio sia protetto dalla Costituzione”.
Grazie ad @AndreaBrandani2 per avermi suggerito di raccontare la storia dei coniugi Loving.
Una storia d’amore che ci ha insegnato che anche persone semplici possono superare ostacoli insormontabili. Che chiunque può cambiare la storia.
Basta combattere. Senza arrendersi. Mai.

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16 Sep
Finalmente tocca a me Johannes.
Sono rimasto seduto tranquillo lasciando che Giulio Cesare raccontasse la sua versione.
Che non sta in piedi.
Lui ha raccontato di essere stato tradito, pugnalato (in effetti questo è vero), pur essendo stato un benefattore nei nostri confronti.
«I lettori valuteranno.
Con Cesare non siamo riusciti, stante lo spazio, a rispondere alla domanda: “cosa hai ottenuto, tu Bruto e gli altri congiurati, con la sua morte?
Visti i risultati è stata del tutto inutile agli scopi che si prefiggeva.
Quindi politicamente sbagliata»
Perché sbagliata? Ma hai idea di cosa fosse diventato Giulio Cesare negli ultimi anni? Sempre più autoritario. Tra i sessanta senatori della congiura c’erano anche dei cesariani moderati contrari alla svolta autocratica di Cesare. Che mai avrebbe restaurato lo Stato repubblicano.
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14 Sep
Vuoi parlare un’altra volta con me, Johannes?
Non è che nei thread precedenti mi hai trattato bene.
Tra tutte le mie conquiste hai voluto raccontare l’unico mio errore, l’assedio in Alessandria.
E poi hai parlato pure di Cleopatra.
Ricorda che io sono Gaio Giulio Cesare.
«Gaio il praenomem, Giulio la gente di appartenenza, nel tuo caso la gens Giulia, Cesarem il cognomen, dalla famiglia.
Volevo parlare con te della tua morte.
Lo so, “tra tutte le conquiste …”, l’hai già detto.
Ma vedi. Penso che vada raccontata.
Erano senatori Gaio».
E mi hanno pugnalato ventitré volte quei vigliacchi. Senatori, persone rispettabili, che nascondevano un pugnale sotto la toga, per uccidere uno del loro rango.

Chi è che si sta avvicinando?
Johannes, io quello non lo voglio vedere dopo quello che mi ha fatto.
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6 Sep
«No Cleopatra, Cesare non c’è. Abbiamo chiacchierato per un paio di thread e ho avuto come l’impressione che non volesse sentir parlare di te. Ha ripetuto “storia finita”, nulla più. Non ha risposto nemmeno alla domanda se fosse finito nella trappola di Alessandria per amore tuo»
Hai raccontato come ci siamo incontrati? Giulio Cesare era l’unica possibilità di riconquistare il trono e per sfuggire agli uomini di mio fratello un servitore mi portò nel palazzo nascosta in un sacco per tappeti.
Perché quella faccia Johannes? Hai scritto “dentro un tappeto?”
«Ho sbagliato, scusa.
Un’errata traduzione degli storici. Era un sacco per tappeti. Conquistare i favori di Cesare non ti fu difficile. Eri bellissima, colta, elegante e soprattutto seducente. E giovane. A Cesare, in su con gli anni, non parve vero di avere accanto una come te»
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28 Aug
«Salve Gaio Giulio Cesare. Ieri abbiamo parlato dell’assedio di Alessandria.
Tu chiuso in trappola dall’esercito egiziano ( leggere qui bit.ly/3DzE1YX ).
“Un conflitto non necessario”, come racconta Plutarco. Unico sollievo, avere vicino a te Cleopatra».
Salve et tu, Johannes. Scusa, ma non voglio parlare di lei. Storia finita. Fattela raccontare da lei.
Voglio invece dire ancora qualcosa sul rischio che ho corso ad Alessandria.
Ricorda che io ero un politico prestato alla guerra. Malgrado questo ero praticamente imbattibile.
«Lo so. Imbattibile nelle guerre asimmetriche, quelle in cui tra i contendenti c’è una disparità non solo di forze, ma anche di strategia e tattica.
Hai scritto molto al riguardo nei libri del De bello Gallico, il racconto della tua conquista della Gallia».
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27 Aug
Dunque Johannes hai dialogato con tutti ormai. Con Augusto, con Caligola, persino con Nerone. Con donne romane come Livia Drusilla e Messalina e con nemici di Roma come Annibale e Pirro. Per non parlare di quel vigliacco di Gaio Flaminio Nepote sconfitto da Annibale sul Trasimeno
«Piano con le offese. Gaio Nepote meritava un dialogo. Molti altri sono stati sconfitti da Annibale, ma Polibio e Livio si sono guardati bene da sottolinearlo.
Publio Cornelio Scipione o Tiberio Sempronio Longo, per esempio.
Per non parlare dei generali sconfitti a Canne».
Gaio Flaminio Nepote era stato eletto tribuno, portavoce delle istanze della plebe.
Che poteva legiferare.
E cosa ti inventa con la prima legge?
Distribuire ai poveri le terre conquistare ai Galli. Capisci? Le terre che spettavano ai patrizi lui li voleva dare ai poveri.
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25 Aug
«Troppo piccola» mi dissero.
«Non possiedi i giusti parametri fisici per giocare ad alto livello. Per questo non potrai mai giocare in Nazionale.» Io non capivo. Amavo quello sport. Avevo cominciato a giocarci a dieci anni e già a tredici avevo esordito nel campionato nazionale.
L’inizio dell’ultima storia di “Non esistono piccoli campioni”, quella sulla cubana Mireya Luis, sembra la storia della mia vita, Johannes.Troppo piccolo.Da non poter giocare nell’NBA. Eppure io amavo e amo giocare a basket. Forse è il caso di raccontare la mia storia dall’inizio
Papà era un appassionato di Basket NBA.
Vecchio tifoso dei Lakers, dopo che io ero nato, il 7 febbraio 1989, aveva fatto una scommessa con un amico durante le Finals di quell’anno.
I LA Lakers contro i “cattivi ragazzi”, come venivano chiamati i Detroit Pistons.
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