Anno 1919.
Trentasei anni, quasi calvo, abitava in quegli anni a Milano, all’ultimo piano di un appartamento di Foro Buonaparte.
Diceva in giro di essere povero.
Che se sei un politico, alla gente fa sempre un bell’effetto.
Naturalmente non era vero.
Sposato in municipio, viveva in quell’appartamento con i suoi tre figli, la suocera e una domestica.
Usava il “tassì”, ma amava le automobili.
Quando prenderà la patente (tardi) la sua prima auto sarà una Bianchi.
Per passare poi a un'Alfa Romeo.
Continuando a usare il “tassì”.
D’estate tutta la famiglia al mare
Rigorosamente a Senigallia.
Teatro? Quasi tutte le sere. Ma non lirica, perché lo faceva dormire.
La cosa che amava di più? I fuochi artificiale, quelli che alla fine facevano il botto.
Dove prendeva i soldi?
Come direttore di un giornale, il suo giornale, qualcosa portava a casa.
Quando usciva un suo articolo vendeva quasi centomila copie.
Costi? Pochissimi.
Una sede che più misera non si poteva.
La chiamavano “Il Covo”.
E un motivo c'era pure.
Quando era partito dal paese natio aveva le toppe al sedere. Ora aveva un giornale di proprietà.
Ma sarà il fido fratello Arnaldo, che sta per arrivare a Milano, a procurargli tutti i soldi per mantenere la baracca.
Tra accuse di scandali e giro di bustarelle.
Non tutti erano però d’accordo sulla linea del suo giornale.
Come il Gian Capo, pseudonimo di Giovanni Capodivacca, uno dei suoi redattori.
Si era unito a lui in quell’avventura il 23 marzo.
Otto mesi gli erano bastati per capire che tutta quella violenza non faceva per lui.
Già. Il 23 marzo 1919.
Una data storica per quelli.
La nascita dei “Fasci di Combattimento” in Piazza San Sepolcro. Da qui il termine “Sansepolcristi”.
Tre giorni prima, il 20 marzo 1919, lui era venuto a Dalmine.
Lo ricordo bene. Anche se ero solo un ragazzino.
E’ passato più di un secolo da quel giorno, dalla prima occupazione della fabbrica dove poi sarei andato a lavorare.
Dopo la prima guerra mondiale la Dalmine era in una situazione precaria tale da costringere la proprietà tedesca a cederla alla Franchi-Gregorini.
La strategia della proprietà italiana era di privilegiare le altre fabbriche del gruppo.
A Dalmine erano previsti licenziamenti.
C’erano parecchie tensioni tra la proprietà e i lavoratori.
A febbraio c’erano state le prime richieste.
Tutte rifiutate dall’azienda.
Duemila, tra operai e impiegati, chiedevano una riduzione dell’orario di lavoro da 48 a 44 ore settimanali, il sabato pomeriggio libero, l’aumento dei salari e il riconoscimento della rappresentanza sindacale.
Tutto rifiutato.
Con la minaccia di chiudere per sempre la fabbrica.
E il 16 marzo 1919 era scattata l’occupazione. Occupazione senza interrompere il lavoro.
A casa alla sera ci potevano andare solo i vedovi con figli.
La sera del 17 marzo 1.500 soldati circondarono la Dalmine costringendo gli operai a uscire sotto la minaccia delle armi.
Tutto finì il 20 marzo.
Con la proprietà che accettò solo di riconoscere l’organizzazione sindacale. Nulla più.
Solo un giornale a tiratura nazionale parlò di quella occupazione.
Con enfasi pure.
“Il Popolo d’Italia”.
Fu proprio il 20 marzo che lui arrivò a Dalmine.
Parlò davanti a un migliaio di lavoratori nella sede della cooperativa sociale della Uil.
Ringraziando i lavoratori per la loro azione, che definì “uno sciopero creativo”.
“Vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici”.
Poco più di un anno dopo inizierà a scatenare gli squadristi fascisti contro gli operai in sciopero.
Già.
Chi sono?
Mi chiamo Natale Betelli Giorgio, nato a Sforzatica (Bg) il 20 dicembre 1905.
Fu dopo aver frequentato la scuola elementare del paese, e dopo un periodo di apprendistato, che venni assunto alla Dalmine.
Dopo il 25 luglio 1943 l'iscrizione al partito Comunista, collaborando con il fronte clandestino di Liberazione. C’ero io alla testa nel primo comitato di agitazione alla Dalmine dopo l’8 settembre.
Dopo lo sciopero del novembre ‘44 i fascisti mi inserirono tra i ricercati.
Mi arrestarono esattamente il 2 marzo 1945.
I fascisti mi portarono prima alla caserma della Gnr di Osio Sotto, poi assieme ad altri tre, a quella di Treviglio.
Quei fascisti li comandava il tenente Palazzolo.
Mi seviziarono e mi torturarono per tutta la notte.
Volevano estorcermi informazioni sull’attività antifascista nella Dalmine e sul ruolo avuto dai sei giovani incarcerati a Milano.
Dalla mia bocca non uscì una sola parola.
L’ultima cosa che ricordo?
Mentre ero a terra sanguinante.
Urlai loro: "me la pagherete!”.
I fascisti mi tapparono la bocca per sempre. A scarpate. Non mi pento. Meglio la morte che tradire i miei compagni. Invece di consegnare il corpo alla mia famiglia mi fecero sparire.
Perché loro erano i carnefici e noi le vittime. Non ci provate. Loro i carnefici, noi le vittime
Alla Dalmine girò la voce.
“ È inutile che cerchiamo il Betelli…, a Treviglio c’è la saponaia… dove facevano il sapone… l’hanno buttato nella soda caustica, hanno fatto il sapone con il Betelli!”
Non andò proprio così.
Per nascondere il misfatto, la mia uccisione, i fascisti avevano organizzato da prima un falso attacco partigiano e poi mi avevano gettato in un affluente del fiume Adda.
Niente tomba, niente fiori dalla mia famiglia.
Perché il mio corpo non fu mai ritrovato.
Dopo la Liberazione gli assassini di Natale furono processati e condannati all’ergastolo, pena che dopo i vari condoni e amnistie si ridusse a pochi anni.
Natale Betelli nel 2012 è stato insignito della medaglia d’oro al valore civile dal Presidente Giorgio Napolitano.
"Finiremo tutti colpevoli per non aver capito che i mali grandi e irrimediabili dipendono dall’indulgenza verso i mali ancora piccoli e rimediabili”.
(Vittorio Foa)
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Il New York Times mi ha dedicato un bellissimo necrologio, scrivendo alla fine “una modesta casalinga che non ha mai pensato di aver fatto qualcosa di straordinario". Effettivamente è così. Mai pensato. Fino all’ultimo giorno della mia vita, il 2 maggio 2008. Maledetta polmonite
Avevo 68 anni, ma a dire il vero la mia vita era già terminata quel giorno, il 22 luglio 1975, quando un camion guidato da un ubriaco ci aveva travolti uccidendo sul colpo il mio Richard.
Aveva solo 41 anni, sapete?
Io 36.
Viva, ma da quel giorno senza un occhio.
“Loving v. Virginia 388 U.S. 1967”, non vi dice niente? Tranquilli, è normale.
Oggi per voi molte cose sono scontate.
Non era così a miei tempi, nel 1958.
In Virginia non era scontato per un uomo nemmeno innamorarsi e sposare una donna.
Perché dipendeva dal tipo di donna.
Finalmente tocca a me Johannes.
Sono rimasto seduto tranquillo lasciando che Giulio Cesare raccontasse la sua versione.
Che non sta in piedi.
Lui ha raccontato di essere stato tradito, pugnalato (in effetti questo è vero), pur essendo stato un benefattore nei nostri confronti.
«I lettori valuteranno.
Con Cesare non siamo riusciti, stante lo spazio, a rispondere alla domanda: “cosa hai ottenuto, tu Bruto e gli altri congiurati, con la sua morte?
Visti i risultati è stata del tutto inutile agli scopi che si prefiggeva.
Quindi politicamente sbagliata»
Perché sbagliata? Ma hai idea di cosa fosse diventato Giulio Cesare negli ultimi anni? Sempre più autoritario. Tra i sessanta senatori della congiura c’erano anche dei cesariani moderati contrari alla svolta autocratica di Cesare. Che mai avrebbe restaurato lo Stato repubblicano.
Vuoi parlare un’altra volta con me, Johannes?
Non è che nei thread precedenti mi hai trattato bene.
Tra tutte le mie conquiste hai voluto raccontare l’unico mio errore, l’assedio in Alessandria.
E poi hai parlato pure di Cleopatra.
Ricorda che io sono Gaio Giulio Cesare.
«Gaio il praenomem, Giulio la gente di appartenenza, nel tuo caso la gens Giulia, Cesarem il cognomen, dalla famiglia.
Volevo parlare con te della tua morte.
Lo so, “tra tutte le conquiste …”, l’hai già detto.
Ma vedi. Penso che vada raccontata.
Erano senatori Gaio».
E mi hanno pugnalato ventitré volte quei vigliacchi. Senatori, persone rispettabili, che nascondevano un pugnale sotto la toga, per uccidere uno del loro rango.
Chi è che si sta avvicinando?
Johannes, io quello non lo voglio vedere dopo quello che mi ha fatto.
«No Cleopatra, Cesare non c’è. Abbiamo chiacchierato per un paio di thread e ho avuto come l’impressione che non volesse sentir parlare di te. Ha ripetuto “storia finita”, nulla più. Non ha risposto nemmeno alla domanda se fosse finito nella trappola di Alessandria per amore tuo»
Hai raccontato come ci siamo incontrati? Giulio Cesare era l’unica possibilità di riconquistare il trono e per sfuggire agli uomini di mio fratello un servitore mi portò nel palazzo nascosta in un sacco per tappeti.
Perché quella faccia Johannes? Hai scritto “dentro un tappeto?”
«Ho sbagliato, scusa.
Un’errata traduzione degli storici. Era un sacco per tappeti. Conquistare i favori di Cesare non ti fu difficile. Eri bellissima, colta, elegante e soprattutto seducente. E giovane. A Cesare, in su con gli anni, non parve vero di avere accanto una come te»
«Salve Gaio Giulio Cesare. Ieri abbiamo parlato dell’assedio di Alessandria.
Tu chiuso in trappola dall’esercito egiziano ( leggere qui bit.ly/3DzE1YX ).
“Un conflitto non necessario”, come racconta Plutarco. Unico sollievo, avere vicino a te Cleopatra».
Salve et tu, Johannes. Scusa, ma non voglio parlare di lei. Storia finita. Fattela raccontare da lei.
Voglio invece dire ancora qualcosa sul rischio che ho corso ad Alessandria.
Ricorda che io ero un politico prestato alla guerra. Malgrado questo ero praticamente imbattibile.
«Lo so. Imbattibile nelle guerre asimmetriche, quelle in cui tra i contendenti c’è una disparità non solo di forze, ma anche di strategia e tattica.
Hai scritto molto al riguardo nei libri del De bello Gallico, il racconto della tua conquista della Gallia».
Dunque Johannes hai dialogato con tutti ormai. Con Augusto, con Caligola, persino con Nerone. Con donne romane come Livia Drusilla e Messalina e con nemici di Roma come Annibale e Pirro. Per non parlare di quel vigliacco di Gaio Flaminio Nepote sconfitto da Annibale sul Trasimeno
«Piano con le offese. Gaio Nepote meritava un dialogo. Molti altri sono stati sconfitti da Annibale, ma Polibio e Livio si sono guardati bene da sottolinearlo.
Publio Cornelio Scipione o Tiberio Sempronio Longo, per esempio.
Per non parlare dei generali sconfitti a Canne».
Gaio Flaminio Nepote era stato eletto tribuno, portavoce delle istanze della plebe.
Che poteva legiferare.
E cosa ti inventa con la prima legge?
Distribuire ai poveri le terre conquistare ai Galli. Capisci? Le terre che spettavano ai patrizi lui li voleva dare ai poveri.