《Il basso ha trovato il suo Paganini》
Due mostri di bravura? Certo.
Accostamento ardito? Forse.
Paganini visse una vita più che intensa, tra teatri, successi, principesse, puttane e bettole. Mille leggende all'ombra del diavolo.
Jaco Pastorius visse una vita strana, strana come
lui. Che fosse strano lo pensavano tutti, e lo era davvero.
Pur con un ego debordante, era un ragazzo buono e di cuore. Gentile, generoso, fin troppo forse, finì a vivere in un parco, per strada, finché non lo ammazzarono di botte, letteralmente.
Era entrato in un club a sentire
Santana dal vivo e, preso dall'entusiasmo, era saltato sul palco a congratularsi con Alphonso Johnson, che era il bassista al quale aveva soffiato il posto nei Weather Report a metà anni'70. A Santana il gesto non piacque, lo fece buttare fuori dal locale,e di lì Jaco andò da un'
altra parte, dove gli impedirono di entrare e lo massacrarono di botte. Magari gli avrà detto qualcosa, a quell'energumeno che faceva il buttafuori, vai a sapere... Resta il fatto che l'energumeno se la cavò con pochi mesi di galera, pur avendo privato il mondo di un talento d'
eccezione in un modo mostruoso. Era un ragazzo sofferente, Jaco, con un disturbo molto serio che ancora oggi è una sfida per la psichiatria, figuriamoci all'epoca. Ma era dolce, gentile, affettuoso, con un gran senso dell'umorismo, e da autodidatta aveva rivoluzionato il modo di
suonare il basso, e lo sapeva. Era consapevole del suo talento, fin troppo, e suonava con dei giganti verso i quali nutriva un rispetto reverenziale e della cui attenzione gioiva incontenibilmente. Lui voleva solo suonare. Sempre. Il successo arrivò all'improvviso, e poi i soldi.
All'inizio li mandava alla mamma, poi alla sua famiglia, per i suoi bambini, che adorava ma non poteva vedere liberamente. Perché era strano, Jaco, era strano a casa tanto quanto aveva iniziato a esserlo sul palco. Ingestibile. Come quando si presentò coi capelli rasati e del na-
stro isolante sulle guance, perché stava cercando di "tenere insieme la faccia"... Aveva dei cari amici musicisti che gli volevano bene, ma nessuno seppe aiutarlo davvero, questo ragazzo strano, nessuno poté impedire che finisse ammazzato malamente a soli 35 anni.
Il Paganini del
basso elettrico, diceva l'articolo, quando il mondo non poté fare a meno di accorgersi di lui. Ma Paganini morì di malattia. Sifilide, e varie altre cose. Il violinista maledetto e sciupafemmine che di sicuro aveva fatto un patto col diavolo, ché solo così si spiegava la maestria
straordinaria del suo tocco! E invece sin da piccolo aveva suonato instancabilmente, costretto dal padre, per giorni, mesi, anni. Il tocco velocissimo - proprio come Jaco - tanto che le dita gli sanguinavano, mentre instancabile si contorceva sul suo strumento. Anche Jaco quando
suona si contorce, balla, si muove, intrattiene, il palco è tutto suo. Ha quei pollici strani, dev'essere per questo che è così fenomenale, dicono. Qualche matto si è rotto le dita apposta per cercare, inutilmente, d'imitarlo.
E Niccolò? Anche lui aveva una malattia rara che gli
permetteva di articolare braccia e mani in modo innaturale. Era per questo che suonava cose impossibili, si diceva.
E invece, "Se tu sapessi quanto lavoro ci ho messo, non mi chiameresti genio", diceva Michelangelo. E l'esercizio instancabile era qualcosa che accomunava anche
Jaco e Niccolò. Che però, oltre all'esercizio sovrumano, furono e restano due personalità uniche, al di là della tentazione di evocare un qualcosa di sovrannaturale.
Paganini incarnò l'idea dell'artista romantico che il suo tempo chiedeva, nel bene e nel male. Jaco non volle mai
piegarsi al mercato. Avrebbe potuto suonare davvero qualsiasi cosa, facendosi i suoi conti, ma non lo fece mai. Era un fenomeno tale che a volte i soldi gli piovevano da ogni dove. Ma poi magari dava da mangiare a tutti i senzatetto di NYC e era di nuovo sul lastrico. "Non attac-
carti alle cose", diceva a un suo amico, "le cose non sono importanti". Suonava sempre, anche negli ultimi anni sbandati per strada. Raggranellava qualche spiccio e allora cambiava le corde al basso.. Ci sono filmati in cui ne parla. Lo ascolto e mi commuovo. Mi commuovo sempre❤

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18 Nov
Ci fu un tempo in cui non c'erano i selfie.
Né gli autoscatti. Né, ancora, alcuna arte figurativa per un ritratto. Significa forse che non ci fosse quel sentimento, intimo e profondo, che, oltre e prima di ogni volontà artistica, spinge a soddisfare precisi bisogni, tutti molto
umani? Evidentemente no, anche se poi il modo in cui ci relazioniamo all'immagine si declina a seconda dei tempi.

Nel tempo lontano in cui ancora non c'è la pittura, tanto meno la fotografia, vive però un vasaio di Corinto che si chiama Butade, abilissimo, e padre sensibile. Sua
figlia s'è innamorata follemente di un giovane che però a un certo punto decide di partire per non tornare mai più. La ragazza si dispera. Butade soffre nel vederla così distrutta, e allora escogita un modo per aiutarla. Così, la notte prima della partenza dell'amato, lei si reca
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1 Nov
Ciò che mi ha sempre incuriosito, ma che non ho mai veramente approfondito, del Canova è il suo ruolo di "commissario straordinario" nominato dal Papa per il recupero delle opere d'arte che Napoleone aveva razziato dall'Italia. Ne recuperò parecchie, e venne scelto non solo per
la competenza ma anche perché era un personaggio molto noto in Europa. Non so se formò una squadra per la ricerca e il recupero come Napoleone aveva formato la sua quando aveva deciso di portarsi via il meglio del meglio e decidere che era tutta roba della Francia. Parigi doveva
essere il nuovo centro mondiale della cultura e il Louvre doveva essere rimpinzato il più possibile. Perciò s'era scelto fior fiore di esperti e li aveva spediti a saccheggiare l'Italia.
Ma Canova? Me lo sono sempre immaginato da solo, cosa che probabilmente è sbagliata :),
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27 Oct
"Avrei davvero voluto morire quando lei mi lasciò in affannoso pianto" scrive Saffo nel VII sec. aC, "tra molte cose dicendomi 'Come soffriamo atrocemente, Saffo! io ti lascio contro il mio volere.' Ed io le rispondevo 'Va' serena, e di me serba il ricordo. Sai quanto ti ho amata
Se mai lo dimenticassi, sempre io ricorderò i bei momenti che vivemmo [...] quando sul morbido letto ti saziavi, né mai vi furono danze nei sacri boschi a cui fossimo assenti'..."
Saffo dedica questa poesia, evidentemente, a una sua allieva prediletta, una delle tante di cui fu
maestra nel tiaso. Una che aveva amato, ricambiata, come spesso accadeva. Ma anche con lei era arrivato il momento della separazione, e questo accadeva quando la ragazza andava a sposarsi. Ché quello era lo scopo della formazione che aveva ricevuto nel tiaso, impartita da Saffo e
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25 Oct
C'era una volta a Roma uno che parlava, e soprattutto scriveva. Sarebbe diventato la condanna di tanti liceali e il suo nome risuonato, a volte, minaccioso: Marco Tullio CICERONE. Oggi a Roma si sarebbe chiamato, però, Er Cecione, e forse così avrebbe suscitato meno timore :) Image
Perché Marco Tullio aveva un cecio sulla faccia, perciò il cognomen era Cicero :)
Questo era tipico dei Romani, dare soprannomi a presa di culo, per ironizzare, deridere, spesso dispregiativi. Del resto a prendersi parecchio sul serio bastavano i Greci, che si davano nomi magni- Image
loquenti ed esaltanti tipo Aristotele (prrr! :p).
A Roma no. A Roma c'era Publio Ovidio Nasone, che ce lo immaginiamo facilmente :), c'era Claudio, che evidentemente zoppicava (cfr. il ns "claudicante"), c'era Bruto, che era scemo, così come Varrone. :)
Cercavo in effetti, ché mi Image
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7 Oct
Già, #OTD nel 1849 moriva Edgar Allan Poe, di morte misteriosa, tra deliri ed allucinazioni.
Aveva in realtà tentato di uccidersi dopo la scomparsa della sua amatissima Virginia, la sua "sposa bambina" che, come tutte le persone che amava tanto, era morta troppo presto.
Morivano
tutte, sempre. E lui restava solo. Una vita di eccessi furiosi, e lui non riusciva a morire. Ci aveva provato sul serio, una volta: una dose smisurata di laudano; ma, per la grande assuefazione, non c'era riuscito. La cara zia - che pure doveva essere viva e vegeta... - dov'era?
Dove, in questo tormento? Da quanto non la vedeva? Troppo! Allora doveva esser morta anche lei, di sicuro, come tutte quelle che amava..! Impossibile che non fosse così, morivano tutte, e se c'era qualcosa che aveva imparato dalla vita era questa lezione sopra ogni altra! Certo,
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24 Jul
"L'isola dei morti", di Arnold Boecklin (1880-86)
"Sono convinto che susciterà l'impressione che desidero", scrisse il pittore al committente. E non si sbagliava.
Lenin ne teneva una copia sopra il letto.
Hitler acquistò la 3^ versione per una cifra spropositata e se la portò ap-
presso dalla Cancelleria fin dentro il bunker dove si ammazzò.
Dopo l'occupazione di Berlino, Stalin fece portare il quadro a Mosca, dove rimase fino agli anni '90, quando fu poi restituito alla Germania.
Freud ne aveva 22 copie nel suo studio, e l'analizzò a lungo.
E poi Strind-
berg, Dalì, D'Annunzio, De Chirico, Rachmaninov... Boecklin ne fece altre 4 versioni perché, ho letto, non riuscì a separarsi dalla prima. La 4^ versione (ne resta la foto ⬇️ in b/n) andò distrutta durante la Guerra.
"Il dipinto che ipnotizza", lo hanno chiamato. Molti, nel ri-
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