Ci fu un tempo in cui non c'erano i selfie.
Né gli autoscatti. Né, ancora, alcuna arte figurativa per un ritratto. Significa forse che non ci fosse quel sentimento, intimo e profondo, che, oltre e prima di ogni volontà artistica, spinge a soddisfare precisi bisogni, tutti molto
umani? Evidentemente no, anche se poi il modo in cui ci relazioniamo all'immagine si declina a seconda dei tempi.
Nel tempo lontano in cui ancora non c'è la pittura, tanto meno la fotografia, vive però un vasaio di Corinto che si chiama Butade, abilissimo, e padre sensibile. Sua
figlia s'è innamorata follemente di un giovane che però a un certo punto decide di partire per non tornare mai più. La ragazza si dispera. Butade soffre nel vederla così distrutta, e allora escogita un modo per aiutarla. Così, la notte prima della partenza dell'amato, lei si reca
nel luogo in cui questi dorme e, alla luce di una fiamma, ne traccia il contorno dall'ombra proiettata sul muro. La mattina seguente lui se ne va, e Butade va a rilevare il profilo del ragazzo tracciato sul muro per ricrearne il simulacro. Lo plasma con l'argilla, lo mette a cuo-
cere nel forno, e così facendo non solo dà origine, secondo il mito, alle arti figurative e al ritratto, ma ne designa il significato più profondo:
l'immagine nasce per colmare un vuoto, per fissare in eterno ciò che tende invece a fuggire. Riempie un'assenza, offrendo consola-
zione. L'assenza e la mancanza sono i sentimenti ancestrali che originano la spinta a riempire quel vuoto, a rimpiazzare qualcosa che non abbiamo [più] con un'immagine. Che sia l'ombra nostra, o l'ombra di un amore, o di qualsiasi altra cosa si desideri, l'immagine è necessaria a
sostituire ciò che non c'è con una "pseudopresenza" che altro non è che "l'indicazione di un'assenza".
E allora forse chiediamoci cosa ci manchi davvero, oggi, perché ci inondiamo di immagini di ogni sorta, perché ci stordiamo così, compulsivamente, in una furia che ha forse poco
di creativo e molto di consolatorio. Cosa ci sfugge che vorremmo trattenere, quale ombra vorremmo rubare? Di cosa abbiamo tanto desiderio?
Se questo da un lato ci dice che non potremo mai fare a meno dell'arte, dall'altro non è arte, credo, l'oppio di ciò di cui ci droghiamo...🙄
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Ciò che mi ha sempre incuriosito, ma che non ho mai veramente approfondito, del Canova è il suo ruolo di "commissario straordinario" nominato dal Papa per il recupero delle opere d'arte che Napoleone aveva razziato dall'Italia. Ne recuperò parecchie, e venne scelto non solo per
la competenza ma anche perché era un personaggio molto noto in Europa. Non so se formò una squadra per la ricerca e il recupero come Napoleone aveva formato la sua quando aveva deciso di portarsi via il meglio del meglio e decidere che era tutta roba della Francia. Parigi doveva
essere il nuovo centro mondiale della cultura e il Louvre doveva essere rimpinzato il più possibile. Perciò s'era scelto fior fiore di esperti e li aveva spediti a saccheggiare l'Italia.
Ma Canova? Me lo sono sempre immaginato da solo, cosa che probabilmente è sbagliata :),
"Avrei davvero voluto morire quando lei mi lasciò in affannoso pianto" scrive Saffo nel VII sec. aC, "tra molte cose dicendomi 'Come soffriamo atrocemente, Saffo! io ti lascio contro il mio volere.' Ed io le rispondevo 'Va' serena, e di me serba il ricordo. Sai quanto ti ho amata
Se mai lo dimenticassi, sempre io ricorderò i bei momenti che vivemmo [...] quando sul morbido letto ti saziavi, né mai vi furono danze nei sacri boschi a cui fossimo assenti'..."
Saffo dedica questa poesia, evidentemente, a una sua allieva prediletta, una delle tante di cui fu
maestra nel tiaso. Una che aveva amato, ricambiata, come spesso accadeva. Ma anche con lei era arrivato il momento della separazione, e questo accadeva quando la ragazza andava a sposarsi. Ché quello era lo scopo della formazione che aveva ricevuto nel tiaso, impartita da Saffo e
C'era una volta a Roma uno che parlava, e soprattutto scriveva. Sarebbe diventato la condanna di tanti liceali e il suo nome risuonato, a volte, minaccioso: Marco Tullio CICERONE. Oggi a Roma si sarebbe chiamato, però, Er Cecione, e forse così avrebbe suscitato meno timore :)
Perché Marco Tullio aveva un cecio sulla faccia, perciò il cognomen era Cicero :)
Questo era tipico dei Romani, dare soprannomi a presa di culo, per ironizzare, deridere, spesso dispregiativi. Del resto a prendersi parecchio sul serio bastavano i Greci, che si davano nomi magni-
loquenti ed esaltanti tipo Aristotele (prrr! :p).
A Roma no. A Roma c'era Publio Ovidio Nasone, che ce lo immaginiamo facilmente :), c'era Claudio, che evidentemente zoppicava (cfr. il ns "claudicante"), c'era Bruto, che era scemo, così come Varrone. :)
Cercavo in effetti, ché mi
Già, #OTD nel 1849 moriva Edgar Allan Poe, di morte misteriosa, tra deliri ed allucinazioni.
Aveva in realtà tentato di uccidersi dopo la scomparsa della sua amatissima Virginia, la sua "sposa bambina" che, come tutte le persone che amava tanto, era morta troppo presto.
Morivano
tutte, sempre. E lui restava solo. Una vita di eccessi furiosi, e lui non riusciva a morire. Ci aveva provato sul serio, una volta: una dose smisurata di laudano; ma, per la grande assuefazione, non c'era riuscito. La cara zia - che pure doveva essere viva e vegeta... - dov'era?
Dove, in questo tormento? Da quanto non la vedeva? Troppo! Allora doveva esser morta anche lei, di sicuro, come tutte quelle che amava..! Impossibile che non fosse così, morivano tutte, e se c'era qualcosa che aveva imparato dalla vita era questa lezione sopra ogni altra! Certo,
"L'isola dei morti", di Arnold Boecklin (1880-86)
"Sono convinto che susciterà l'impressione che desidero", scrisse il pittore al committente. E non si sbagliava.
Lenin ne teneva una copia sopra il letto.
Hitler acquistò la 3^ versione per una cifra spropositata e se la portò ap-
presso dalla Cancelleria fin dentro il bunker dove si ammazzò.
Dopo l'occupazione di Berlino, Stalin fece portare il quadro a Mosca, dove rimase fino agli anni '90, quando fu poi restituito alla Germania.
Freud ne aveva 22 copie nel suo studio, e l'analizzò a lungo.
E poi Strind-
berg, Dalì, D'Annunzio, De Chirico, Rachmaninov... Boecklin ne fece altre 4 versioni perché, ho letto, non riuscì a separarsi dalla prima. La 4^ versione (ne resta la foto ⬇️ in b/n) andò distrutta durante la Guerra.
"Il dipinto che ipnotizza", lo hanno chiamato. Molti, nel ri-
Ora vi racconto il mio esame di maturità e del tempo in cui mi dipingevo le magliette da sola.
Nell'ansia di fondo che pervadeva quelle giornate di luglio, in quello che credetti essere un momento di lucidità battagliera, scelsi la mise.
Decisi così che avrei messo la mia amata
maglia col Che ♥️ La commissione, il cui pensiero un po' mi preoccupava, doveva sapere con chi aveva a che fare. Avevo saputo dal cd membro interno che non erano convinti che il compito d'italiano fosse farina del mio sacco, pensavano fossi riuscita a copiarlo in qualche modo,
sicché ero stata preparata al peggio. La furia! Avrei contrastato questa enorme ingiustizia a suon di argomentazioni d'ogni tipo, se non li avessi convinti li avrei comunque sfiniti, insomma hasta la victoria siempre e anche sulla lotta armata avevo iniziato,al limite,a farci un