"Alle donne il silenzio reca grazia".
C'è stato un tempo in cui si pensò che questa apparentemente innocua affermazione andava fatta capire con le cattive, se con le buone non passava. In Europa, nel '500, si diffuse un aggeggio noto come Briglia della Comare, uno strumento di
tortura di lunga fortuna, con cui si esponevano al pubblico ludibrio, e infliggendo atroce dolore, le donne (del popolo) che si permettevano di parlare in libertà. In teoria serviva a punire la maldicenza, la calunnia. In pratica fu usato ampiamente contro quelle donne che osa-
vano ribellarsi alle regole, quelle familiari in primis, per volontà di padri e mariti.
C'è una lunga, eterna tradizione che "gradisce" la donna zitta. La conosciamo bene, ancora oggi sopravvive in tanti modi. Che magari sono più sottili e infidi, subdoli messaggi travestiti da
romanticherie, come dice MariaTeresa giustamente, o più espliciti in altre circostanze. Ma la tradizione è antica e risale alla culla della ns cultura. Se ad Atene le donne facevano una vita di merda, seppur con significative differenze anche Roma si preoccupava a modo suo che
certi messaggi fondamentali passassero chiari e forti. E come sempre i miti accorrevano in soccorso delle operazioni educative.
È così che nasce Tacita Muta.
il cui nome è tutto un programma, no? E lo è a maggior ragione se pensiamo che questa ragazza, una ninfa in effetti, ori-
ginariamente si chiamava Lara, o Lala, dal greco laleo, e quindi parlava eccome.
Aveva saputo che Giove s'era messo in testa di sedurre la sua sorellina e perciò l'aveva messa in guardia, mandando a monte i piani del dio e facendo sì che Giunone lo scoprisse. Una dea infuriata
rende un dio terribile, e per questo Giove, incazzato nero e vendicativo, l'aveva punita mozzandole la lingua. E l'aveva data a Mercurio perché la portasse negli Inferi, il regno dei morti, e quindi del silenzio per sempre. Lungo il tragitto, siccome non bastava, Mercurio aveva
visto bene, già che c'era, di stuprarla. Pure. Tanto ormai era muta e sarebbe stata confinata negli Inferi, nessuno l'avrebbe saputo.
La donna perfetta, dunque. Incapace di lamentarsi, di denunciare, di accusare. Muta, appunto.
E benché Numa Pompilio si sforzò di dare a questo
mito una veste di sacralità magica da onorare, restò intatta la sostanza: zitta, donna, non ti conviene parlare, neanche per aiutare tua sorella, o ne pagherai le conseguenze. E se sarai stuprata, resterai inascoltata.
Perciò, a perenne memoria, nel Foro c'era un sacello che ri-
cordava Tacita Muta. E perché tutto fosse chiaro, di fronte c'era il sacello di Aius Locutius (o Loquator), il cui nome non credo di dover spiegare. Lui, parlando, aveva salvato Roma, anche se non mi ricordo più perché. Ma i discorsi degli uomini sono preziosi, questo è il punto.
Le donne che parlano invece sono fastidiose. Questo era, ed è ancora, il messaggio. Basta leggere le sempre troppe battuttine che scorrono qui tutti i giorni, postate dai sempre troppi simpatici del luogo.
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《Il basso ha trovato il suo Paganini》
Due mostri di bravura? Certo.
Accostamento ardito? Forse.
Paganini visse una vita più che intensa, tra teatri, successi, principesse, puttane e bettole. Mille leggende all'ombra del diavolo.
Jaco Pastorius visse una vita strana, strana come
lui. Che fosse strano lo pensavano tutti, e lo era davvero.
Pur con un ego debordante, era un ragazzo buono e di cuore. Gentile, generoso, fin troppo forse, finì a vivere in un parco, per strada, finché non lo ammazzarono di botte, letteralmente.
Era entrato in un club a sentire
Santana dal vivo e, preso dall'entusiasmo, era saltato sul palco a congratularsi con Alphonso Johnson, che era il bassista al quale aveva soffiato il posto nei Weather Report a metà anni'70. A Santana il gesto non piacque, lo fece buttare fuori dal locale,e di lì Jaco andò da un'
Ci fu un tempo in cui non c'erano i selfie.
Né gli autoscatti. Né, ancora, alcuna arte figurativa per un ritratto. Significa forse che non ci fosse quel sentimento, intimo e profondo, che, oltre e prima di ogni volontà artistica, spinge a soddisfare precisi bisogni, tutti molto
umani? Evidentemente no, anche se poi il modo in cui ci relazioniamo all'immagine si declina a seconda dei tempi.
Nel tempo lontano in cui ancora non c'è la pittura, tanto meno la fotografia, vive però un vasaio di Corinto che si chiama Butade, abilissimo, e padre sensibile. Sua
figlia s'è innamorata follemente di un giovane che però a un certo punto decide di partire per non tornare mai più. La ragazza si dispera. Butade soffre nel vederla così distrutta, e allora escogita un modo per aiutarla. Così, la notte prima della partenza dell'amato, lei si reca
Ciò che mi ha sempre incuriosito, ma che non ho mai veramente approfondito, del Canova è il suo ruolo di "commissario straordinario" nominato dal Papa per il recupero delle opere d'arte che Napoleone aveva razziato dall'Italia. Ne recuperò parecchie, e venne scelto non solo per
la competenza ma anche perché era un personaggio molto noto in Europa. Non so se formò una squadra per la ricerca e il recupero come Napoleone aveva formato la sua quando aveva deciso di portarsi via il meglio del meglio e decidere che era tutta roba della Francia. Parigi doveva
essere il nuovo centro mondiale della cultura e il Louvre doveva essere rimpinzato il più possibile. Perciò s'era scelto fior fiore di esperti e li aveva spediti a saccheggiare l'Italia.
Ma Canova? Me lo sono sempre immaginato da solo, cosa che probabilmente è sbagliata :),
"Avrei davvero voluto morire quando lei mi lasciò in affannoso pianto" scrive Saffo nel VII sec. aC, "tra molte cose dicendomi 'Come soffriamo atrocemente, Saffo! io ti lascio contro il mio volere.' Ed io le rispondevo 'Va' serena, e di me serba il ricordo. Sai quanto ti ho amata
Se mai lo dimenticassi, sempre io ricorderò i bei momenti che vivemmo [...] quando sul morbido letto ti saziavi, né mai vi furono danze nei sacri boschi a cui fossimo assenti'..."
Saffo dedica questa poesia, evidentemente, a una sua allieva prediletta, una delle tante di cui fu
maestra nel tiaso. Una che aveva amato, ricambiata, come spesso accadeva. Ma anche con lei era arrivato il momento della separazione, e questo accadeva quando la ragazza andava a sposarsi. Ché quello era lo scopo della formazione che aveva ricevuto nel tiaso, impartita da Saffo e
C'era una volta a Roma uno che parlava, e soprattutto scriveva. Sarebbe diventato la condanna di tanti liceali e il suo nome risuonato, a volte, minaccioso: Marco Tullio CICERONE. Oggi a Roma si sarebbe chiamato, però, Er Cecione, e forse così avrebbe suscitato meno timore :)
Perché Marco Tullio aveva un cecio sulla faccia, perciò il cognomen era Cicero :)
Questo era tipico dei Romani, dare soprannomi a presa di culo, per ironizzare, deridere, spesso dispregiativi. Del resto a prendersi parecchio sul serio bastavano i Greci, che si davano nomi magni-
loquenti ed esaltanti tipo Aristotele (prrr! :p).
A Roma no. A Roma c'era Publio Ovidio Nasone, che ce lo immaginiamo facilmente :), c'era Claudio, che evidentemente zoppicava (cfr. il ns "claudicante"), c'era Bruto, che era scemo, così come Varrone. :)
Cercavo in effetti, ché mi
Già, #OTD nel 1849 moriva Edgar Allan Poe, di morte misteriosa, tra deliri ed allucinazioni.
Aveva in realtà tentato di uccidersi dopo la scomparsa della sua amatissima Virginia, la sua "sposa bambina" che, come tutte le persone che amava tanto, era morta troppo presto.
Morivano
tutte, sempre. E lui restava solo. Una vita di eccessi furiosi, e lui non riusciva a morire. Ci aveva provato sul serio, una volta: una dose smisurata di laudano; ma, per la grande assuefazione, non c'era riuscito. La cara zia - che pure doveva essere viva e vegeta... - dov'era?
Dove, in questo tormento? Da quanto non la vedeva? Troppo! Allora doveva esser morta anche lei, di sicuro, come tutte quelle che amava..! Impossibile che non fosse così, morivano tutte, e se c'era qualcosa che aveva imparato dalla vita era questa lezione sopra ogni altra! Certo,