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Alla vigilia del decisivo vertice nella base #USA di #Ramstein, in #Germania, sull'asse Washington-Berlino si registra la tensione più alta dall'inizio dell'invasione russa dell'#Ucraina.
Il cancelliere tedesco #Scholz è infatti da giorni protagonista di un'ostinata
2/n resistenza rispetto alla richiesta della Casa Bianca: consegnare a #Kyiv i carri armati #Leopard2, ritenuti cruciali per la difesa ucraina.
Dichiarazioni di funzionari tedeschi, citate dal WSJ nella serata di ieri, tradiscono la portata della sfida: la Germania, fanno
3/n sapere, non consentirà agli alleati di cedere i Leopard 2 di fabbricazione tedesca - su cui Berlino mantiene la licenza di esportazione - né darà via i suoi tank, a meno che gli Stati Uniti non decidano di fare lo stesso con i loro #Abrams. Mossa politicamente astuta,
4/n vendibile all'opinione pubblica come logica, oltre che legittima. Ma militarmente immotivata. Il numero 3 del Pentagono, Colin Kahl, ha infatti chiarito come l'Abrams non sia, molto semplicemente, ciò di cui l'Ucraina necessita.
Colpa del lungo e complicato addestramento che
5/n i soldati di Kyiv dovrebbero sostenere, dell'impossibilità di assicurare al sistema un'adeguata manutenzione, della difficoltà nel reperire eventuali pezzi di ricambio. Problemi che verrebbero meno se la Germania acconsentisse a cedere i suoi "panzer", largamente utilizzati
6/n da Paesi NATO ed UE, facili da maneggiare (si parla di 3-6 settimane di addestramento) dunque ideali - oltre che per capacità di sfondare le linee nemiche - anche sotto il profilo logistico. Paesi come Polonia, Finlandia, Danimarca, dotate del "Main Battle Tank" in grado di
7/n viaggiare con un'autonomia di 300 km e di raggiungere la velocità di 68 km/h, si sono già detti disponibili a formare una "coalizione" di fornitori Leopard 2. Secondo gli analisti dell'International Institute for Strategic Studies, ne occorrono almeno 100 per produrre un
8/n effetto dove più conta: sul campo di battaglia. Una cifra inferiore costituirebbe unicamente un'operazione di maquillage da parte dell'Occidente, una difesa sterile, a "macchia di Leopard".
Delle ragioni - ufficiali ed ufficiose - addotte dalla Germania per motivare il suo
9/n diniego alla cessione - diretta ed indiretta - di Leopard 2 all'Ucraina, parlo più approfonditamente in questo articolo, a disposizione degli iscritti.👇
10/n Dietro questo pezzo c'è un lungo lavoro di studio, ricerca, analisi: se apprezzi il mio lavoro, se vuoi continuare a leggere i miei articoli, sostieni il Blog iscrivendoti ora. Ti ringrazio.
1/8🚨🪖🇫🇷🇷🇺🇺🇦 Per trovare un precedente - una conferenza stampa di un Capo di Stato maggiore francese - bisogna tornare indietro fino al 2021. Al mondo di ieri, per intenderci. Quello in cui la guerra non era ancora scoppiata nel cuore del continente europeo.
Eppure le parole del generale Thierry Burkhard sono importanti non solo per la loro rarità. Lo sono perché affrontano verità che quasi nessuno vuole sentire. Perché non edulcorano, non proteggono l’opinione pubblica da ciò che fa paura: la fine delle illusioni di sicurezza, l'affermazione della forza come strumento di potere, il ritorno della guerra.
Come i lettori sapranno, la stragrande maggioranza dei contenuti del Blog è riservata agli iscritti. In questo caso ho deciso di fare un'eccezione: lascio questo articolo a disposizione di tutti. Non coltivo l'arrogante pretesa di modificare con un post la consapevolezza degli italiani su certi temi, non sono nessuno per farlo e non ne ho i mezzi. Ma se anche poche persone apriranno gli occhi - senza paura, senza allarmismi, ma con lucidità - allora queste molte ore di lavoro saranno servite a qualcosa. Buona lettura.
2/8 🚨🪖🇫🇷🇷🇺 La premessa del generale Burkhard è la seguente: "In precedenza avevamo l'abitudine di dire che una crisi ne scacciava un'altra. Oggi non è più così. Al contrario, le crisi si sovrappongono, si sommano, se non addirittura si moltiplicano".
Il capo delle forze armate francesi è per questo pessimista (o realista): "Per quanto mi riguarda, faccio fatica a vedere quali potrebbero essere le vie d’uscita o di stabilizzazione nel breve termine". Anzi, "penso di essere di fronte a delle tappe che vengono superate e dalle quali non si torna indietro", quindi "non ha senso dirsi 'adesso mi metto in posizione di attesa, resisto un po’ e poi tutto tornerà come prima e potrò riprendere i miei affari come un tempo'".
Il mondo è cambiato davvero.
3/8 🚨🪖🇫🇷🇷🇺 Esistono a detta del generale Burkhard diversi livelli di minaccia, muovendo dall'interno verso l'esterno del Paese. A partire dalle minacce ibride, insidiose "perché seminano il dubbio, scelgono un terreno favorevole, e sono spesso difficili da attribuire formalmente. Anche se di solito si intuisce chi c’è dietro e a chi 'giova il crimine', l'attribuzione formale non è semplice".
Il loro obiettivo principale è minare la coesione nazionale, "il centro di gravità di tutti i Paesi, anche della Francia, perché è un elemento chiave della resilienza. La coesione nazionale è la nostra forza, ma può anche diventare una debolezza. Quando è forte, dissuade gli attacchi. Ma quando è debole, aumenta il rischio e inibisce la nostra capacità di reazione e la volontà di difenderci".
Quando allarga lo sguardo al resto del mondo, il numero uno dell'esercito parigino cita diversi attori, dalla Cina all'Iran, ma è alla Russia che assegna la definizione di "minaccia duratura e più determinante".
Mosca, afferma Burkhard, "ha apertamente designato la Francia come suo primo avversario in Europa.
Non sono io a dirlo: è Vladimir Putin che lo ha dichiarato".
La Federazione Russa viene descritta dal Capo di Stato maggiore come "un universo relativamente chiuso, con una capacità decisionale estremamente centralizzata e un condizionamento della popolazione fin dalla giovane età, un elemento da tenere bene a mente".
1/6🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Ho cinque notizie interessanti. Sono abbastanza per un punto nave serale.
È impossibile non partire dalla telefonata fra Donald Trump e Vladimir Putin. Nonostante quanto dichiarato dai due protagonisti della conversazione (durata più di due ore), la svolta tanto attesa - ancora una volta - non c'è. Il Cremlino prende tempo, esplora formati e formule, nel solco della "migliore" tradizione diplomatica russa, ma in definitiva non si avvicina al cessate il fuoco incondizionato accettato da Volodymyr Zelensky. Prima e dopo la telefonata, però, si segnalano alcuni fatti importanti. Vediamoli insieme.
2/6 🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦 Un tempo sarebbe stato il minimo sindacale, ma non è da sottovalutare il fatto che, prima di iniziare la chiamata con Putin, The Donald abbia parlato con Volodymyr Zelensky.
Secondo il Wall Street Journal, il presidente USA avrebbe chiesto al leader ucraino di cosa avrebbe dovuto discutere con Putin.
Zelensky ha risposto che Trump avrebbe dovuto spingere Putin ad accettare un cessate il fuoco di 30 giorni; insistere per un futuro incontro Putin-Zelensky a cui Trump stesso avrebbe dovuto prendere parte e ribadire che gli Stati Uniti non prenderanno alcuna decisione sull'Ucraina senza il contributo di Kyiv.
C'è un passaggio, nel resoconto di Trump - in particolare quello per cui "le condizioni saranno negoziate tra le due parti, come è giusto che sia, poiché solo loro conoscono i dettagli di una trattativa di cui nessun altro è a conoscenza" - che sembra segnare un punto in favore dell'Ucraina. Rispetto alle prime settimane dall'insediamento, Trump non sembra più voler "imporre" un accordo a Kyiv.
Merito soprattutto di Zelensky, che accettando l'idea di una tregua incondizionata ha visto il bluff di Putin, ma anche dei leader occidentali, importanti per consigliare a Zelensky le regole d'ingaggio adeguate per non perdere il favore del presidente USA.
3/6 🚨🇺🇸🇷🇺🇺🇦Altro aspetto interessante. Le parole di JD Vance prima della telefonata fra Trump e Putin: "I colloqui procedono da un po' di tempo. Ci rendiamo conto che siamo a un punto morto. Penso che il Presidente dirà al Presidente Putin: "Senti, sei serio? Sei serio su questo?"'.
È possibile che quando Putin ha parlato di conversazione "franca" si riferisse a qualcosa del genere.
E fa comunque uno strano effetto, visti i precedenti, sentire il vicepresidente USA dichiarare quanto segue: "Credo che onestamente il Presidente Putin non sappia bene come uscire dalla guerra".
Di nuovo: è poco, una variazione millimetrica, ma è la prova che l'Ucraina sta giocando bene le sue carte.
1/8 🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Il mondo poteva cambiare. Così hanno deciso di cambiare il mondo.
È questo il senso della scoperta realizzata dall'esercito israeliano in uno dei tunnel sotterranei della Striscia di Gaza, della conferma ai peggiori sospetti coltivati in questi mesi, da quando le fiamme della guerra sono tornate a divampare in Medio Oriente.
Nei giorni immediatamente precedenti al 7 ottobre, i vertici di Hamas mettevano nero su bianco le loro intenzioni: compiere, per citare le parole pronunciate da Yahya Sinwar in persona, un "atto straordinario", capace di far deragliare il processo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, il negoziato che a suo dire avrebbe relegato per sempre la causa palestinese ai margini della storia.
I documenti ritrovati dall'esercito israeliano sono di straordinaria importanza. Analizziamoli insieme.
2/8 🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Il verbale di una riunione tenuta dall'ufficio politico di Hamas a Gaza il 2 ottobre 2023 - revisionato dal Wall Street Journal - cita espressamente le parole di Yahya Sinwar:
"Non c'è dubbio che l'accordo di normalizzazione saudita-sionista stia progredendo in modo significativo".
Tale intesa, avverte, "aprirebbe la porta alla maggioranza dei Paesi arabi e islamici affinché seguano la stessa strada".
Si tratta dell'esito sempre temuto dai nemici dello Stato Ebraico, da coloro che da generazioni ne hanno profetizzato la distruzione, cercandone l'annientamento con tutte le proprie forze.
È per questo che, rivolgendosi ai suoi uomini, Sinwar traccia la strada: è arrivato il momento di porre in atto il "grande progetto", l'attacco a cui da più di due anni lavora nell'ombra.
3/8 🚨🪖🇮🇱🇵🇸🇮🇷🇸🇦 Yahya Sinwar non usa mezzi termini, con il suo piano punta in alto: l'obiettivo è quello di "provocare una mossa importante o un cambiamento strategico nei percorsi della regione".
Per farlo, in segreto, si è dato da fare per mobilitare l'intero "Asse della Resistenza" a guida iraniana.
Documenti ritrovati nelle profondità di Gaza infatti svelano: "il macellaio di Khan Younis", attraverso alcuni emissari, ha già bussato alla porta di Teheran.
Ha chiesto un'assistenza finanziaria nell'ordine di 500 milioni di dollari e un salto di qualità nell'equipaggiamento dei circa 12mila terroristi che rispondono ai suoi ordini.
🚨🇻🇦 1/9
Ormai ci siamo, a 24 ore dall'ingresso in conclave è il momento del thread definitivo. Tutto ciò che serve sapere sull'elezione del prossimo Papa.
E allora, iniziamo: il testo fondamentale per la scelta del "Successore di Pietro" è la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis (1996), emanata da Giovanni Paolo II e aggiornata da Benedetto XVI prima e da Francesco dopo di lui.
I grandi protagonisti del conclave sono ovviamente i cardinali elettori. È bene riflettere su questo punto: fra i 133 che domani varcheranno la soglia della Cappella Sistina c'è già il prossimo Pontefice.
🚨🇻🇦 2/9
Per i porporati si tratta delle ultime ore di "libertà". A partire dalle 15:00 di domani, tutti gli impianti di trasmissione del segnale di telecomunicazione per cellulare radiomobile presenti nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, esclusa l'area di Castel Gandolfo, saranno disattivati. Il ripristino del segnale sarà effettuato soltanto dopo l'annuncio dell'avvenuta elezione del Santo Padre.
Quando sarà eletto il Papa? Non conosciamo il giorno esatto. Ma possiamo avere un'idea del momento della giornata.
Domani un solo scrutinio e una sola possibile fumata bianca, non prima delle 19:00. Poi, a partire da giovedì, quattro scrutini (due al mattino e due al pomeriggio): in caso di mancato accordo, la fumata nera arriverà attorno alle 12:00 e attorno alle 19:00. Le fumate bianche potranno essere però anticipate anche verso le 10:30 e verso le 17:30.
Insomma, dovremo tenere le antenne dritte per questi tutta la giornata.
🚨🇻🇦 3/9
Promemoria: chi diventa Papa? Papa Ratzinger ha introdotto nel 2007 una modifica sostanziale alla "legge elettorale" del Vaticano, assicurandosi che l'elezione del Pontefice richieda sempre una maggioranza qualificata di due terzi.
Con questa decisione ha eliminato la possibilità, prevista in precedenza, di passare a una maggioranza semplice dopo 33 o 34 scrutini infruttuosi. Ciò significa che il prossimo Santo Padre dovrà ottenere il favore di almeno 89 colleghi.
La Costituzione apostolica parla chiaro: se dopo tre giorni di votazioni i cardinali non riescono ad eleggere un Papa, si fa una pausa di massimo un giorno per pregare, riflettere e confrontarsi liberamente. Durante la pausa, uno dei cardinali più anziani tiene un breve discorso spirituale. Poi le votazioni riprendono.
Se, dopo altri sette scrutini, non si arriva a un risultato, si fa un'altra pausa con le stesse modalità.
Si ripete lo stesso schema una terza volta: sette votazioni, seguite da una pausa e un'esortazione spirituale da parte di un altro cardinale anziano. Se anche dopo tutto questo non c’è ancora un Papa, si dedica un giorno intero alla preghiera e al dialogo.
A quel punto, si restringe la scelta: è ballottaggio fra i due cardinali che hanno preso più voti nell'ultimo scrutinio. Questi due non possono votare, e non basta la maggioranza semplice: servono sempre i due terzi per essere eletti.
1/6🚨🇻🇦 È l'elezione più affascinante e misteriosa al mondo, un rito che si ripete da secoli, sospeso tra fede e storia, simbolismo e silenzio, attesa e commozione.
La morte di Papa Francesco richiede tatto, ma i (pochi) giorni che ci separano dal conclave sono in qualche modo la coda del suo pontificato, il cammino verso l'ultimo atto della sua visione.
Il Santo Padre ha preparato il momento della sua morte con cura: ha plasmato il Collegio cardinalizio con nomine coerenti con la sua idea di Chiesa, posto le basi per un riequilibrio di forze tra le correnti che indirizzano la traiettoria del cattolicesimo contemporaneo.
Il processo di nomina del suo successore potrebbe essere uno dei più incerti degli ultimi decenni.
E allora, con il rispetto che il momento impone, muoviamoci idealmente tra le mura vaticane, tentiamo di capire quali sono - intanto - le "regole del gioco".
2/6🚨🇻🇦 La legge elettorale del conclave
La normativa che regola l’elezione del Papa si basa principalmente sulla Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis (1996), emanata da Giovanni Paolo II e aggiornata da Benedetto XVI e da Francesco.
Papa Ratzinger, in particolare, ha introdotto nel 2007 una modifica sostanziale, assicurandosi che l'elezione del Pontefice richieda sempre una maggioranza qualificata di due terzi. Con questa decisione ha eliminato la possibilità, prevista in precedenza, di passare a una maggioranza semplice dopo 33 o 34 scrutini infruttuosi.
Ad avere diritto di voto sono i cosiddetti "cardinali elettori", ovvero tutti quelli che non abbiano compiuto 80 anni alla data della morte del Papa.
Secondo l'ultimo aggiornamento disponibile sul sito del Vaticano, a soddisfare questi requisiti sono oggi 136 cardinali. Ipotizzando che tutti e 136 i cardinali si rechino a Roma, il successore di Francesco dovrà ottenere il consenso di almeno 91 "colleghi".
La regola dei 2/3 è valida a oltranza. Se dopo 33 scrutini non c'è ancora il nome del nuovo Papa si procede a un ballottaggio fra i due cardinali che hanno ottenuto il maggior numero di voti nell’ultimo scrutinio. Ma anche in questa fase è necessaria una maggioranza di due terzi per l’elezione: i due candidati in ballottaggio non possono votare.
3/6🚨🇻🇦 Quando si vota e le operazioni di...segretezza
Benedetto XVI ha ordinato che dall'introduzione della "Sede Vacante" si attendano "per quindici giorni interi gli assenti prima di iniziare il Conclave". Si tratta del tempo necessario per far sì che i Cardinali elettori distribuiti ai quattro angoli del globo raggiungano Roma e il Vaticano.
Non si tratta di una scadenza fissa: Papa Ratzinger ha infatti lasciato facoltà di anticipare l'inizio del Conclave "se consta della presenza di tutti i Cardinali elettori, come pure la facoltà di protrarre, se ci sono motivi gravi, l’inizio dell’elezione per alcuni altri giorni".
Dopo al massimo venti giorni, però, tutti i Cardinali elettori presenti sono tenuti a procedere all'elezione del nuovo Pontefice. È il momento in cui il Vaticano si blinda, deciso a proteggersi da occhi e orecchie indiscreti.
Niente telefoni, niente internet, niente televisione. Soprattutto: nessun contatto con il mondo esterno.
Sebbene nei documenti ufficiali queste pratiche non siano espressamente citate, fonti autorevoli hanno confermato l'esecuzione di operazioni di bonifica della Cappella Sistina e dei percorsi interni. Obiettivo: rimuovere eventuali microspie e apparecchi elettronici. Documentate anche attività di jamming (disturbo del segnale) per impedire comunicazioni ed evitare intercettazioni.
Sotto l'autorità del Cardinale Camerlengo ci si assicura che i porporati non vengano avvicinati da nessuno durante il percorso dalla Casa Santa Marta (dove alloggiano) fino al Palazzo Apostolico.
Una volta entrati nella Cappella Sistina, tutto il collegio cardinalizio giura segretezza assoluta e perpetua con chiunque non faccia parte del Conclave.
Il maestro delle celebrazioni pontificie può dunque intimare l'Extra omnes, il "fuori tutti" che sancisce l'inizio vero e proprio del Conclave. Chi non ha il diritto di voto deve lasciare la Cappella, il maestro chiude a chiave (appunto, conclave: "cum clave").
Da questo momento in poi nessun cardinale può lasciare il conclave, se non per motivi di salute: si sceglie il successore di Pietro.
1/6 🚨🇺🇸🇮🇱🇮🇷
Posso sbagliare, ma come ho scritto anche ieri sul Blog ho l'impressione che esista uno scarto importante fra ciò che l'opinione pubblica apprende e quanto sta accadendo realmente dietro le quinte sul fronte iraniano. La notizia di una riunione nella Situation Room fra Donald Trump e il team della Sicurezza Nazionale USA, di cui si è venuti a conoscenza solo diversi giorni dopo, è una prima conferma in questo senso. Ma nemmeno la più importante. Prendiamo l'ultimo report del New York Times: Bibi Netanyahu avrebbe proposto a Trump un attacco contro gli impianti nucleari iraniani già nel mese di maggio. Obiettivo: riportare indietro di almeno un anno il programma nucleare di Teheran, lo stesso che sarebbe oggi più vicino che mai alla capacità di produrre sei o più armi nucleari nel giro di pochi mesi o, al più tardi, un anno. Che sia chiaro: non si tratta di una vicenda marginale. Se la Repubblica Islamica mettesse realmente le mani sulla Bomba ci ritroveremmo - tutti - d'improvviso in un mondo diverso da quello in cui viviamo oggi. Un mondo ancora più pericoloso e instabile. Questo per spiegare qual è la posta in gioco. Adesso entriamo nel dettaglio.
2/6 🚨🇺🇸🇮🇱🇮🇷
Della divisione all'interno del team per la Sicurezza Nazionale USA abbiamo parlato approfonditamente di ieri (dangelodario.it/2025/04/16/don…): il fatto che su questo dossier si consumi uno scontro feroce tra "falchi" e "colombe" non è una dinamica inedita, ma tipica di tutte le ultime amministrazioni americane. Eppure i funzionari israeliani, per settimane, hanno coltivato la convinzione che i piani d'attacco elaborati a Tel Aviv per un'ipotetica offensiva contro Teheran sarebbero stati approvati e benedetti da Donald Trump. A smentirli sarebbe stata in particolare una nuova valutazione di intelligence portata all'attenzione del Presidente da Tulsi Gabbard, Director of National Intelligence, in un incontro tenutosi ad aprile. In questa occasione Gabbard avrebbe spiegato che lo stesso accumulo di armamenti americani (pensiamo soltanto all'arrivo dei B-2, i "fantasmi del cielo", sull'isola di Diego Garcia), avrebbe potuto rappresentare l'innesco di un conflitto più ampio con l'Iran, che gli Stati Uniti non desiderano.
3/6🚨🇺🇸🇮🇱🇮🇷
Non è stata solo Gabbard a esprimere scetticismo. Il massimo esponente della fazione delle "colombe", il vicepresidente Vance, avrebbe ribadito la convinzione che un attacco dovrebbe essere autorizzato soltanto dopo il fallimento della via diplomatica. Perplessità simili sul ricorso ad un'azione armata sarebbero state espresse anche dall'influente chief of staff della Casa Bianca, Susie Wiles, e dal capo del Pentagono, Pete Hegseth. La preoccupazione principale riguarda le conseguenze per i soldati USA in Medio Oriente: Washington dà infatti per scontato che un colpo contro l'Iran - che sia condotto da Israele in solitaria o con il supporto diretto degli Stati Uniti - provocherebbe in ogni caso una rappresaglia da parte di Teheran. Lo stesso Mike Waltz, il Consigliere per la Sicurezza Nazionale USA da sempre inserito tra i "falchi", avrebbe espresso il proprio scetticismo su almeno un punto del piano: la capacità israeliana di avere successo senza un sostanziale supporto americano.