Si racconta che quell’anno fossero tutti nella mia città. A Vienna nel 1913, intendo.
Tito, Hitler, Stalin, Freud e Trockij.
Arrivai anch’io quell’anno.
Il 25 settembre per la precisione.
Facendo la felicità di mamma Ludmila e di papà Frantisek.
I casi della vita.
Papà era tornato dalla Prima Guerra Mondiale sano e salvo.
Giocava nell’Herta Vienna quando subì un colpo ai reni durante uno scontro di gioco.
Rifiutò di farsi operare.
Lui aveva 30 anni quando morì. Io solo otto.
Mamma si mise a fare la cuoca in un ristorante per mantenere noi figli.
Ero piccolo e mi piaceva giocare col pallone, come papà.
Essendo poveri, senza scarpe naturalmente.
Bravo ero bravo. E soprattutto veloce.
Talmente bravo che entrai nelle giovanili dell’Herta Vienna a soli dodici anni. Le prime scarpe da gioco (regalate dall’allenatore) e le prime vesciche ai piedi. A diciotto firmai il mio primo contratto da professionista. La squadra? Il club più forte del Paese, il Rapid Vienna.
MI chiamo Josef Bican, detto Pepi. Era il 29 novembre 1933 quando esordii nella nazionale austriaca. Appena ventenne. L’anno successivo partecipai ai Mondiali in Italia. Uscimmo in semifinale battuti dall’Italia (che vincerà poi il titolo di Campione del Mondo).
Nel 1935 lasciai il Rapid Vienna dopo aver segnato 68 reti in 61 presenze.
Andai al SK Admira Vienna per due anni. Segnando 22 goal in 31 partite.
Poi arrivò lui. E la sua voglia di annettere l’Austria alla Germania.
Io giocare nella nazionale tedesca? Mai.
Lasciai l’Austria e tornai in Boemia, la terra dove era nato papà. Prendendone la cittadinanza. Niente mondiali del 1938 causa burocrazia, ma all’esordio, in Cecoslovacchia- Svezia segnai tre reti.
Avevo già giocato in due nazionali, Austria e Cecolsovacchia. Ma non era finita
Quando Hitler, sempre lui, occupò la Cecoslovacchia, indossai la maglia della nazionale del Protettorato di Boemia e Moravia.
Una soddisfazione segnare tre reti alla Germania seppur in una amichevole.
Vi assicuro che non ero niente male.
Forte di testa, di destro, di sinistro (calciavo con entrambi i piedi anche i rigori), nei passaggi e soprattutto velocissimo.
Non per niente avevo vinto diverse gare correndo i 100 metri in 10.08.
Un fulmine.
Con l'arrivo di Hitler fui costretto a lavorare in un'acciaieria continuando a giocare a calcio nello Slavia Praga. Durante tutta la guerra.
Mi chiesero di diventare cittadino tedesco e calciatore della Germania nazista.Rifiutai.
Ero timidissimo, e odiavo i totalitarismi.
Tutti
Squadre italiane ne ho incontrate durante la mia carriera.
L’Ambrosiana e il Genoa per esempio, nella Coppa dell'Europa Centrale (Mitropa Cup). Vincemmo la coppa e io vinsi la classifica di capocannoniere con dieci reti in otto partite.
Dopo la guerra mi volevano tutte le squadre d’Europa.
Ero tentato di accettare l’offerta della Juventus, ma amici mi dissero che in Italia le elezioni sarebbero state vinte dai comunisti e il clima sarebbe cambiato.
Declinai l’offerta.
E rimasi in Cecoslovacchia. Già.
Con il colpo di Stato del 1948 i comunisti me li ritrovai in casa. Niente più trasferimenti.
Non firmando per il Partito Comunista finii nella loro “lista nera”. Mi trasferii al Vítkovice, squadra legata alle acciaierie, vincendo la classifica cannonieri per la decima volta.
Furono anni terribili.
Tornai alla mia vecchia squadra, lo Slavia Praga, che i sovietici chiamavano Dynamo Praga.
Ho giocato fino a 42 anni, sapete? Continuando a segnare.
Da allenatore-giocatore una volta entrai a partita iniziata. Segnando quattro reti.
Trascorsi poi anni nella povertà più assoluta, praticamente dimenticato.
Qualcuno mi ha riscoperto solo nel 1989, definendomi uno dei più grandi attaccanti di sempre.
Quante reti ho segnato nella mia carriera? Tante. Qualcuno dice 5.000, altri 2.000.
Esagerati.
Non capisco perché la FIA non consideri le reti segnate durante la seconda guerra mondiale mentre giocavo nel Protettorato di Boemia e Moravia. Misteri.
Comunque ho segnato 805 reti in partite ufficiali e ben 1460 amichevoli comprese.
Tante vero?
E ancora. Ho vinto diversi campionati.
Sono stato dodici volte capocannoniere e cinque volte vincitore della Scarpa d'Oro come miglior marcatore europeo.Con lo Slavia Praga ha vinto cinque campionati segnando in totale, con quella maglia, 417 gol in 240 partite.
Una bella media.
Sono l’unico ad aver segnato in 3 nazionali diverse. Ho la serie più lunga di partite consecutive in gol, diciannove (Messi ne ha 21 ma intervallate da un infortunio).
Perché Pepi? Fu la mia fidanzatina Jarmila, poi mia moglie, a chiamarmi così.
Sempre stato Josef Bican Pepi.
Si racconta che fossero tutti nella mia città quell’anno. A Vienna nel 1913, intendo.
Tito, Hitler, Stalin, Freud, Trockij e io, Pepi.

Josef Bican Pepi è morto a Praga il 12 dicembre del 2001 a seguito di un infarto, all'età di 88 anni.
“É bello che si siano accorti di me, di questo emigrante del mondo. …Io e Pelé abbiamo alcune cose in comune: eravamo due morti di fame che giocavano scalzi. Gli tendo la mano, da fratello a fratello…”
Grazie a @VittorioBotti per avermi suggerito di raccontare la storia di Josef Bican detto Pepi, sempre lontano dalle ideologie totalitarie del tempo.
L’uomo al quale facevano tutti la stessa domanda prima di entrare in campo.
“Quanti gol segnerai oggi?”

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11 Dec
Vi giuro, ho fatto quello che potevo.
E’ tutto registrato. Il radiocronista Andrew West lo stava intervistando.
“Sono qui. Rafer ha afferrato l’uomo che ha sparato. Prendigli la pistola. Il dito…il dito…prendi l’arma Rafer. Bravo, l’hai preso”.
L’ho preso, bloccato, è vero, ma troppo tardi. Quel giorno di più non potevo fare.
E mi dispiace. Da morire.
Non essere riuscito a salvargli la vita, intendo.
Un dispiacere che non ho mai dimenticato.
Mi chiamo Rafer Johnson e sono nato a Hillsboro, Texas, il 18 agosto 1934.
Papà voleva darci un futuro migliore di una baracca senza elettricità e impianto idraulico. Per questo, all’età di nove anni, ci eravamp trasferiti con mio fratello Jim a Kingsburg, in California.
Read 25 tweets
8 Dec
Come anticipato nel thread di ieri sera, che potete leggere nel link sotto, mi chiamo Michail Illarionovič Goleniščev Kutuzov.
Vi stavo raccontando che mi trovavo col mio esercito nel villaggio di Borodino pronto ad affrontare l’esercito di Napoleone.
bit.ly/2IpDy3y
Era un bel colpo d’occhio vedere i miei uomini schierati di fronte all’esercito francese lungo tutte le colline. Con quei bei cannoni tutti neri. Il morale alto. Pronto a difendere la Santa Russia e "le mogli e i figli". Il primo sparo? Alle sei di mattina del 7 settembre 1812. Image
La forza della cavalleria francese era come un bulldozer. Resistemmo fino all’impossibile. Non ci voleva proprio il ferimento del principe Ivanovič Bragation che guidava l’ala sinistra, la mia seconda armata. Un durissimo colpo. (Bragation morirà il 12 settembre) Image
Read 24 tweets
7 Dec
“La scaltra volpe del Nord” mi definiva.
Che carino. Mai ricambiato.
Per me lui rimaneva sempre “quel vecchio rapinatore”.
Altri mi definivano un essere pigro, capriccioso e insopportabile.
Ambizioso e donnaiolo.
Non so. Troppi difetti per un uomo solo.
Io ero molto altro. Image
Sono nato a San Pietroburgo, capitale dell’Impero russo, nella notte del 16 settembre 1745.
Mia madre era una Beklemishevy, una famiglia nobile.
Morì quando ero ancora piccolo, dopo aver partorito altri due figli. Mi crebbe nonna.
Mio padre, Ilario Matveevich, aveva servito lo zar Pietro il Grande combattendo contro i turchi. Fu lui a portarmi a corte per conoscere la zarina Elisabetta. Strane abitudini.
Usciva dalla stanza solo la domenica e viveva di notte circondata da poeti, cantanti e amanti. Image
Read 22 tweets
5 Dec
Aprile 1911.
Settimana scorsa ho mandato in stampa il mio libro. Per evitare una censura da parte delle autorità, dato il contenuto altamente accusatorio nei confronti del Governo italiano, ho cercato di darne ampia diffusione.
Il prefetto voleva impedirmelo.
“In riferimento alla legge 28 giugno 1906 n° 278 non è possibile impedire la diffusione del libro” gli aveva scritto il Procur. Generale. Meno male.
Ho inviato due copie anche al Re e Regina. So che il prefetto va in giro a dire che l’autore di quel “lurido libello” deve pagare.
28 maggio 1911. Ho ricevuto indietro le copie che avevo inviato al Re Vittorio Emanuele e alla Regina Elena. “Il Re vi ringrazia per il pensiero che avete avuto nell’inviare questa vostra opera, ma a Sua Maestà non interessa”. Speravo molto in loro. Di ottenere almeno giustizia.
Read 25 tweets
3 Dec
Sarà pure una leggenda, ma non mai ho fatto niente per smentire una così bella storia. “Diavolo rosso” mi chiamavano.
E proprio quella leggenda racconta che l’appellativo mi venne rifilato da un parroco.
Quando finii nel bel mezzo di una processione creando il panico.
“Chiellì a l’è al diaul!” "Quello lì é il Diavolo!" aveva urlato il prete quando mi aveva visto in sella alla mia bicicletta da corsa con una maglia rossa, tipo camicia garibaldina.
Il mio motto di allora?
Fare ciò che per gli altri era impossibile. Image
Mi chiamo Giovanni e sono nato ad Asti (Trincere) il 4 giugno 1885. Papà faceva l’oste. Da ragazzo ero abbastanza irrequieto, ma amavo una cosa sola, correre in bicicletta.
Riuscii a comprarne una lavorando in una bottega di armaiolo meccanico.
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30 Nov
Giorni fa, alla fine del thread sulla battaglia di Lepanto, Johannes vi ha raccontato che solo uno dei comandanti della flotta turca riuscì a salvarsi. Si chiamava Uluç Alì Pascià, alla nascita Giovanni Dionigi Galeni.
Nato in provincia di Crotone. Calabrese.
Che poi sarei io.
Che ci faceva un calabrese al comando dell'ala sinistra dello schieramento ottomano?
Forse è il caso di raccontarvi la mia storia. Dall’inizio.
Sono nato a Le Castella, una frazione di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Johannes ha scritto giusto.
Alla nascita mi chiamavo Giovanni Dionigi Galeni, nato nel 1519 da papà Birno, che mi insegnò a leggere, a scrivere e andar per mare, e mamma Pippa De Cicco, una contadina.
Perché mi chiamavano “rognoso”?
Per via di una tigna sulla testa.
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